Gianni Cipriani lascia Epolis

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view post Posted on 16/10/2009, 18:52
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Questo numero della rivista di intelligence è diverso da molti altri, perché ha uno schema differente ed è quasi una monografia, con qualche altro intervento di corredo. Una scelta ben precisa perché l’uscita della rivista, nella sua fase finale di preparazione, ha coinciso con il terribile attentato contro i soldati italiani a Kabul e l’ottavo anniversario dell’intervento militare internazionale in Afghanistan, cominciato il 7 ottobre del 2001.
Abbiamo ritenuto - e crediamo fortemente in questa scelta - che dopo otto anni fosse giunto il momento di fermarci a ragionare e analizzare in maniera critica tutto ciò che è stato fatto in questi anni, cominciando proprio da ciò che si sarebbe dovuto fare ma che alla fine non si è fatto per tante ragioni, legittime e meno legittime.
Insomma, avviare sull’Afghanistan una seria riflessione, che tra l’altro è già cominciata all’interno della nuova amministrazione degli Stati Uniti, mentre - al contrario - nel nostro paese è ancora lungi dall’essere posta con la necessaria attenzione e il necessario approfondimento, almeno in sede politica.
Purtroppo, nonostante il lodevole lavoro di alcuni studiosi in grado di analizzare documenti e rapporti e nonostante il coraggioso lavoro di molti giornalisti che testimoniano la guerra afghana correndo per questo moltissimi rischi, a livello di comunicazione di massa e di dibattito politico la questione Afghanistan è rimasta cristallizzata in pochi slogan: missione di pace, guerra al terrorismo, lotta ai talebani. Il resto è rimasto sullo sfondo, come se non esistesse o - peggio - come se si trattasse di un fastidioso esercizio da grilli parlanti che disturbasse il senso più profondo della missione.
Proprio questa cristallizzazione comunicativa ha vanificato qualsiasi seria riflessione e ucciso sul nascere critiche e dissensi sulla missione internazionale, diventata una sorta di divino irrinunciabile dovere contro il quale era una bestemmia muovere obiezioni. Del resto, quando non esistono contenuti ma solo contenitori, è assai facile parlare per slogan facilmente orecchiabili che raggiungono un’opinione pubblica disattenta, poco informata nel merito e anche piuttosto spaventata: c’è qualcuno che può criticare i soldati che portano gli aiuti alle popolazioni stremate dalle miseria e dalla guerra? C’è qualcuno che vuole davvero che i nostri paesi siano nelle mani di terroristi sanguinari e senza un briciolo di umanità? C’è qualcuno che vuole che i talebani, con le loro conce¬zioni oscurantiste e il loro fanatismo smisurato, possano estendere la loro influenza fino ad imporre, un domani, il burqa anche alle donne occidentali sottomesse al termine di una perduta guerra di civiltà?
E’ chiaro che, posta in questi modi, la questione afghana poteva avere un solo tipo di risposta possibile. Vogliamo la pace, vogliamo combattere il terrorismo e i suoi sponsor talebani, quindi la missione internazionale è giusta e doverosa.
Però poi passano gli anni. Uno, due, tre… fino ad otto. E tutte le fonti più autorevoli, dall’Onu alle organizzazioni indipendenti fino ad¬dirittura al comandante delle forze armate statunitensi in Afghanistan, McChrystal, parlano di una situazione disastrosa, di abusi, corruzioni e peggio ancora e di una popolazione che, alla fine, torna a simpatizza¬re per i vecchi talebani e di vecchi nemici dei talebani che adesso hanno preso le armi e combattono contro il governo Karzai sostenuto dalla coalizione internazionale.
Allora diventa legittimo e doveroso domandarsi: dopo tanti anni di intervento militare è giusto discutere dell’attualità, della strategia e degli obiettivi della missione internazionale? Ci si potrà nascondere per sempre dietro la retorica delle frasi pompose e ad effetto per non affrontare la realtà per quella che è e porvi rimedio? I costi economici, ma soprattutto umani, che si stanno pagando per l’Afghanistan sono necessari? Cosa ne ricaviamo in cambio? Cosa siamo riusciti a fare?
Il problema, a nostro avviso, è quello di sgomberare il terreno dalla retorica, dalla propaganda e della mistificazioni per lasciare spazio a una riflessione seria e critica, ma soprattutto priva di preconcetti. Si può essere critici per come sono andate in questi otto anni le cose in Afghanistan senza per questo essere sostenitori del terrorismo o dei talebani; senza per questo mancare di rispetto ai soldati, senza per que¬sto amare di meno il nostro paese o la democrazia rispetto a quanti hanno acriticamente sostenuto per otto anni tutte le scelte dell’ammi¬nistrazione Bush e, soprattutto, i suoi metodi.
Se una persona sta male, possiamo essere tutti d’accordo che sia meglio curarla piuttosto che lasciarla morire. Ma se dopo molto tempo le cure non solo non hanno effetto, ma hanno provocato il contagio di altre persone, quantomeno si dovrebbe cambiare cura o cambiare me¬dico o porre al riparo la popolazione dal rischio dei contagi.
Quando un’azienda sbaglia una strategia industriale o imprendito¬riale, cerca di cambiare la strategia, manda a casa il managment, se è animata da buone intenzioni e non solo da biechi interessi speculativi cerca di trovare soluzioni anche coinvolgendo i lavoratori. Difficile che veda per otto anni i suoi bilanci in rosso senza cambiare una virgola.
Esempi paradossali? No. Perché tutte le analisi dimostrano il so¬stanziale fallimento di otto anni di intervento in Afghanistan. E se l’amministrazione Obama ora comincia a porsi qualche dubbio, altro-ve - segnatamente qui in Italia - non ci si confronta troppo con la realtà ma, appunto, ci si nasconde nella retorica e nella pubblica indigna¬zione. Salvo poi, si potrebbe essere facili profeti, accodarsi in maniera passiva se gli Stati Uniti alla fine decidessero di cambiare radicalmente strategia. Esattamente come è accaduto negli anni di Bush, le cui gesta - dalla guerra preventiva, ai rapimenti, alle torture, alla negazione dei diritti umani e civili - hanno visto cantori plaudenti che solo adesso, con Obama presidente, cominciano a ricordarsi dei diritti e a prendere le distanze dagli eccessi. I lettori più attenti avranno notato che i toni di
E questo editoriale, come del resto quelli del saggio introduttivi, sono più appassionati del solito. Più da requisitoria (o da arringa) che da com¬passato saggio scientifico, come quelli generalmente ospitati. È vero. Ma perché, vorrei ripeterlo una volta di più, intorno all’Afghanistan e alla missione internazionale va rotto l’accerchiamento mediatico, pro¬pagandistico che sta impedendo una seria riflessione. Vanno sradicati i luoghi comuni che vengono utilizzati come sua giustificazione. Soprat-tutto, consci che la nostra rivista è solo una piccola voce, stimolare una riflessione più generalizzata e scelte più consapevoli.
Nello stesso tempo, chiarito il senso dei toni, va detto che in que¬sto numero non si è rinunciato ad un solo briciolo di scientificità ma, al contrario, le pagine afghane sono costruite attraverso documenti e rapporti provenienti da fonti autorevoli e non di parte.
Proprio lì ci sono quei dati e quelle analisi troppo spesso sottaciute o minimizzate o utilizzate solamente in parte. Ad esempio uno dei rapporti maggiormente utilizzati per la redazione di questo numero è quello scritto dal generale McChrystal, comandante delle forze ame¬ricane in Afghanistan. Rapporto mediaticamente diventato noto sola¬mente sulla base di un principale elemento: la richiesta di un maggior numero di truppe per avere maggiori possibilità di vincere militar¬mente.
La parte meno nota di cui praticamente non si è parlato, ma assai più interessante ai nostri fini, è quella analitica, nella quale il generale ha elencato uno ad uno gli errori del governo e della missione Isaf e ha spiegato perché la popolazione non ha fiducia in Karzai e sempre più preferisce i talebani. Della seconda parte non si è discusso. Ossia: cosa fare per pacificare un paese dopo otto anni di guerra. Eppure gli spunti dati dal generale statunitense erano molti.
Del resto, sempre proseguendo sull’analisi partendo dalle fonti più autorevoli, abbiamo scelto di mettere a confronto il documento del generale McChrystal, scritto nel settembre del 2009, con il rapporto sul¬l’Afghanistan divulgato dal segretario generale dell’Onu nel settembre del 2007. La cosa sorprendente, come è evidenziato nel saggio introduttivo, è che le emergenze evidenziate nel 2007 erano le stesse messe in rilevo nel 2009 come giustificazione dei fallimenti. In altri termini questa analisi comparativa dimostra come negli ultimi due anni, oltre a combattere militarmente i talebani (con risultati altalenanti) su tutto il resto i risultati sono stati scarsi, se non insufficienti o, perfino, si
potrebbe dire che la situazione sia peggiorata. La domanda legittima, per tornare all’esempio del malato che non guarisce, è se qualcuno abbia mai in passato - o sperabilmente voglia farlo in futuro- abbia subordinato il ruolo della missione militare al raggiungimento degli obiettivi democratici, umanitari ed economici.
Altra fonte non sospettata di collusione con i terroristi e i talebani, utilizzata per questo numero, è il generale Curtis E. Lemay, capo di stato maggiore dell’aeronautica degli Stati Uniti. Il quale - nel saggio che pubblichiamo - si pone - da militare e da comandante dell’aviazione – un problema di non poco conto: i bombardamenti sono necessari per vincere militarmente la guerra afghana. Ma i bombardamenti provocano vittime civili, aumentano l’odio della popolazione verso le forze internazionali e si traducono in una sconfitta politica.
Senza girarci intorno, è questo il problema dei problemi. L’illusione dei bombardamenti chirurgici e delle bombe intelligenti, grande strumento propagandistico ai tempi della prima guerra del golfo, è tramontata da tempo. Ora c’è da fare, anche nei confronti dell’opinione pubblica, i conti con i morti veri e con l’odio della gente, altrettanto vero.
Ovviamente, dal suo punto di vista, Lemay ipotizza due soluzioni: una teoricamente condivisibile, l’altra poco convincente e poco realistica. La prima è quella di modificare le regole di ingaggio per ridurre al massimo gli “effetti collaterali”. E si tratta già di una presa d’atto e della premessa di una nuova filosofia, rispetto alle precedenti che te¬nevano solo in considerazione l’obiettivo militare senza troppo curarsi del resto. La seconda è quella di fare una grande azione di contro-pro-paganda, utilizzando la radio (l’84% degli afghani ne possiede una) per sostenere che la colpa della morte dei civili è dei talebani che si fanno scudo della popolazione e cercano strumentalmente l’ “incidente” per alimentare l’odio.
Il dato più interessante è che il generale Lemay, al pari del generale McChrystal, ha affermato che l’odio e l’insofferenza nei confronti delle forze militari internazionali sta crescendo. Ossia: dopo otto anni di missione militare e di missione Onu per portare pace, democrazia e benessere, l’odio nei confronti dei liberatori aumenta. Si può dire che il medico stia sbagliando cura? O c’è un obbligo non scritto a continuare così senza modificare nulla? Quanto alla droga, abbiamo pubblicato l’indagine dell’Undoc (Ufficio delle Nazioni Unite contro droga e crimine) pubblicato nel settembre del 2009. Si tratta di cifre e di un resoconto delle attività di quell’ufficio, che sono altalenanti. Ma su tutto emergono due elementi: “L’abbassamento dei prezzi - è scritto nel documento - è conseguente dei crescenti livelli di produzione, che si ritiene superi ormai la domanda di oppio e derivati sul mercato illecito”. Quindi il calo dei prezzi e della relativa produzione che si è registrato ultimamente è solo una “correzione di mercato” dovuta al fatto che in Afghanistan la produzione e il traffico di droga è così vasto che lo stesso mercato ha difficoltà ad assorbire e smerciare tutta la produzione. Più chiaro di così non si può. Dopo otto anni di intervento internazionale il paese che rifornisce di oppio quasi tutto il pianeta, continua a farlo.
Oltre a ciò, tra il 2002 e il 2007, i sequestri di droga si sono attestati tra l’1% e il 2% della produzione. Nel 2008 le percentuali dei sequestri sono state le stesse. Ciò vuol dire che nonostante la produzione di droga sia aumentata largamente, circa il 98% raggiunge indisturbata il mercato illecito internazionale. Si può considerare un successo o un fallimento?
Su queste base e utilizzando questi documenti - oltre alla straordinaria testimonianza di Ennio Remondino, grande inviato di guerra, capace grazie all’esperienza e all’intuito, di cogliere al volo molte questioni, ben prima che diventino freddo oggetto di discussione degli analisti - abbiamo preparato il dossier Afghanistan. Nella speranza che se letto, analizzato, criticato e discusso nel merito, senza partire dai pregiudizi, ma riflettendo serenamente su cosa sia meglio fare, qua¬li siano le strategie migliori per contrastare il terrorismo, a cosa ser¬va l’impegno - economico e umano - della missione militare. Tenendo conto che dopo otto anni l’Afghanistan è praticamente all’anno zero.
Nelle altre sezioni della rivista abbiamo ospitato due saggi di Simone Vernacchia e Lorenzo Valeri sulla sicurezza informatica e la protezione delle infrastrutture critiche, nonché un intervento di Alberto Crespi, pregiatissimo critico cinematografico, sull’intelligence nel cinema.
Tra i documenti abbiamo pubblicato quelli desecretati dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, sui metodi utilizzati dalla Cia per interrogare i sospetti di terrorismo.

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http://www.cesint.org

Edited by Claudio Bozzacco - 22/12/2009, 14:55
 
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Free Press o New Press
Sfoglio agile, popolare, sostanza più alta.
Codici comunicativi più leggibili.
No giornale autoreferente.
No modelli istituzionali.

 
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Spy story di Dubai: la Ue condanna l'uso dei passaporti falsi

L’Unione Europea si appresta a rilasciare una dichiarazione di condanna riguardo l’utilizzo di passaporti europei fatto dagli uomini del commando di killer che hanno assassinato il dirigente di Hamas Mahmoud al Mabhou a Dubai.
La condanna dell’uso dei passaporti falsi, però non sarà in alcuna maniera collegata ad Israele e non sarà espressamente detto che Israele ha organizzato l’omicidio tramite un gruppo di agenti del Mossad. E questo nonostante le recenti rivelazioni della stampa britannica, secondo la quale l’azione degli 007 killer è stata ordinata direttamente dal primo ministro Benjamin Netanyahu in una riunione avvenuta nei primi giorni di gennaio in un vertice tra governo e servizi segreti.
Nei giorni scorsi gli ambasciatori europei erano stati convocati per consultazioni al ministero degli Affari Esteri di Abu Dhabi, capitale del Emirati arabi. I rappresentanti degli emirati avevano espressamente chiesto che i ministri degli Esteri condannino l’uso dei passaporti europei utilizzati per l’omicidio e anche una dichiarazione di sostegno per le autorità di Dubai che si stanno occupando del caso. Da Dubai, però, nessuna richiesta di condanna per l’azione di Israele. Anzi, non è nemmeno previsto che Israele sia citato.
Ad ogni modo la linea “morbida” non sembra mettere tutti d’accordo. Ad esempio l’Irlanda vuole una dichiarazione in cui si condanni Israele. Già domenica il ministro degli esteri irlandese ha detto che a Dubai ora sono convinti al 99% che si tratti di opera del Mossad e ha intenzione di chiedere lumi al suo omologo israeliano, Avigdor Lieberman con il quale è previsto un incontro.
Tuttavia le autorità israeliane sono ancora sulla difensiva. La linea di Lieberman è quella di dire che non esiste alcuna prova certa del coinvolgimento di Israele e che non è nemmeno stato accertato fino in fondo se il dirigente di Hamas sia stato assassinato o sia morto per cause naturali.
SPY STORY
Intanto emergono nuovi particolari sulle indagini. Secondo il capo della polizia di Dubai alcuni componenti del commando killer erano già stati nell’emirato un anno prima utilizzando lo stesso passaporto falso. Inoltre la “talpa” che con le sue rivelazioni ha consentito agli 007 del Mossad di individuare ed eliminare Mahmud Mabhouh sarebbe un suo socio. Un uomo con il quale il dirigente di Hamas aveva strette relazioni e che era in grado di conoscere tutti i suoi spostamenti.
Dal canto suo, al contrario, Hamas ha negato che ci sia stata una talpa al suo interno, ma ha criticato la condotta del dirigente assassinato, sostenendo che l’uomo aveva comprato i biglietti aerei su internet ed aveva anche telefonato a casa una volta arrivato a Dubai.


(ndr)Agenti del mossad girano anche in italia e hanno accesso alle informazioni riservate.

Il nuovo sito
www.giannicipriani.eu/

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Edited by Claudio Bozzacco - 24/2/2010, 19:55
 
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Terrorismo, attenti alle provocazioni

Chiunque sia minimamente esperto di eversione e affini, sa perfettamente che i terroristi si dividono essenzialmente di due categorie. Ci sono coloro i quali coltivano il desiderio (folle) di poter cambiare il mondo; o di affermare la loro identità politica, culturale, religiosa o nazionale a suon di bombe e azioni armate. E ci sono coloro che in mente non hanno alcun chiaro e definito progetto, ma che ugualmente si ingegnano con petardi, bombe, pistole e così via, quasi per il gusto personale di protagonismo; per fare qualcosa, seppur senza costrutto. Tecnicamente potrebbero essere definiti, come ho detto prima, terroristi. Ma con una valutazione più politica possiamo dire che si tratta di avventurieri, violenti irresponsabili e molte ma molte volte veri e propri provocatori.
I provocatori sono coloro che "annusano" il clima e piazzano il "botto" per cercare di inserirsi e fare clamore; i provocatori sono quelli delle azioni ad orologeria. I provocatori sono quelli che, storicamente, nel nostro paese si sono sempre manifestati in fasi di cambiamenti; in delicati momenti sociali e politici. Sono quelli che in Italia hanno dato vita alla cosiddetta "destabilizzazione stabilizzante", ossia alle azioni eversive che, in realtà, dovevano solamente servire a rendere più forte e intoccabile quel potere (o quei poteri) che a parole si faceva finta di combattere. E non parlo solo di piazza Fontana e delle altre stragi - chiaro esempio di destabilizzazione stabilizzante - ma di tutto quel pulviscolo di episodi che ci hanno ininterrottamente accompagnato dagli anni Settanta al nuovo millennio.
Perchè dico questo? Perché ho la netta, anzi nettissima impressione - e altro non aggiungo ma ci siamo capiti - che si stia creando un clima favorevole al riapparire dei "terroristi" ad orologeria. Dei provocatori, insomma. In veste "para" brigatista o anarcoide o in veste islamica o in qualsiasi altra veste, a seconda della fervida fantasia del momento.
I segnali sono chiari; tanto più chiari per qualsiasi avventuriero, prezzolato o no. Ne elenco alcuni, facendo una sintesi di quello è stato fatto apparire mediaticamente e - quindi - di ciò che è "vero" per l'opinione pubblica.
Non molto tempo orsono sono stati diffusi alcuni volantini, chiaramente opera di buontemponi, a firma Nuclei di Azione territoriale. Prima ancora che si potesse fare qualsiasi analisi seria del contenuto, il ministro dell'Interno ha lanciato l'allarme terrorismo, che nei giornali è stato presentato come il prossimo ritorno delle Brigate Rosse. Non solo: si è parlato di collegamenti (inesistenti) con cellule di Al Qaeda in Italia, quasi per alimentare l'idea di un network brigatista-islamico che così tanto spaventa l'opinione pubblica.
Nei giorni scorsaiuna normale circolare riservata del capo della Polizia è stata trasformata mediaticamente in un tentativo dei terroristi di dare l'assalto alle elezioni (nemmeno fossimo in Iraq) mentre - sempre mediaticamente - è stato dato clamore alle telefonate dei tanti mitomani che ogni giorno annunciano bombe e disastri, come se fossimo alla vigilia dell'omicidio di Kennedy. E' di questi giorni la notizia - che non ha riscontro in alcuna vera indagine - di un progetto di uccisione di Berlusconi con una autobomba, gridata con esasperazione dei quotidiani vicini al premier: se fosse vero a Berlusconi sarebbe già stato impedito da tempo di muoversi con tutta quella facilità con cui oggi si muove. Ma tant'è. L'elenco, naturalmente è assai più lungo, ma per avere un'idea basta.
Questo clima; questo venticello è l'ideale per le provocazioni. Soprattutto ora che c'è la palpitante attesa di un evento che possa provocare l'indignazone e l'esecrazione a reti unificate; la denuncia dell'odio contro l'amore; della violenza contro la libertà. Un clima che arma la mano dei "terroristi" di seconda specie. E quindi consiglierei a tutti prudenza e attenzione. Perché tante volte quando si evocano gli spettri, qualcuno si sente autorizzato a farli riapparire. Non con la brutalità di un tempo, ma quanto basta per alimentare paure e psicosi collettive.
E quindi, mi sento di dire, che se qualcosa dovesse accadere da qui all'estate; quel qualcosa non rientreberre nella categoria terrorismo o eversione; ma in quella della provocazione o della destabilizzazion stabilizzante. Questo è bene che si sappia. Chi sta portando acqua al torbido stagno dove nuotano avventurieri - prezzolati o no - è bene che la pianti prima che la situazione sfugga di mano. Tutti gli altri vigilino e stiano bene attenti.
Le mie preoccupazioni non sono infondate. Ma forse parlarne ed essere vigili è una buona medicina per disinnescare qualche mano irresponsabile.

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view post Posted on 27/3/2010, 19:37
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Sulle buste e i pacchi bomba inviati a Milano
(trascrizione dell'intervista rilasciata da Gianni Cipriani alla radio nazionale greca)

Il ministro Maroni dice che questi sono atti di terrorismo da stroncare per evitare che il paese torni agli anni di piombo. E io che sono più pessimista (o forse più realista) dico: queste sono provocazioni da stroncare sul nascere, per evitare che il paese torni alla strategia della tensione.
E la differenza è fondamentale. Durante gli anni di piombo c'erano formazioni terroristiche che, nella quasi totalità, attraverso omicidi e bombe perseguivano, nella loro follia, un progetto politico che li portasse alla conquista del potere.
Negli anni della strategia della tensione c'erano gruppi e gruppuscoli pieni di infiltrati, avventurieri e provocatori che con le bombe non perseguivano nulla, se non rinforzare il potere. Non a caso questa stagione è stata anche chiamata quella della "destabilizzazione stabilizzante", ossia dopo ogni bomba l'opinione pubblica allarmata chiedeva ordine e sicurezza e si spaventava del cambiamento. Esattamente ciò che volevano coloro i quali le bombe e i bombaroli proteggevano e sponsorizzavano.
Parlare oggi di strategia della tensione fa ridere, certo. A patto di non dimenticare che la strategia della tensione (quella vera) cominciò proprio con quattro fessi che si divertivano a far scoppiare petardi. Poi le cose presero una consistenza diversa.
Però due cose le possiamo dire: i meno giovani non ricordano Gianfranco Bertoli. Bertoli era un mezzo avventuriero, con un passato di informatore del Sifar, immischiato nella destra eversiva che a un certo momento qualcuno decise di mascherare da anarchico stirneriano, gli fece imparare bene la parte e lo mandò a lanciare una bomba alla questura di Milano proprio il giorno in cui si commemorava la morte del commissario Calabresi. 17 maggio 1973: quattro morti e cinquantadue feriti. Un'azione neofascista, pensata per dare la colpa - come si direbbe oggi - alle sinistre. Ecco - prima cosa - spero di sbagliarmi ma ho l'impressione che ci sia in giro qualche nipotino di Bertoli e qualche nipotino dei suoi manipolatori dell'epoca.
Seconda cosa: Globalist aveva preannunciato un clima che avrebbe partorito petardi a orologeria. Premesso che nessuno aveva la palla di vetro e premesso che nessuno era addentro alle segrete trame di provocatori e loro mandanti, è evidente che gli elementi da analizzare erano chiari e concordanti.
Ad ogni modo nessuno può parlare in questo caso di dietrologia. Casomai siamo di fronte ad un'opera di "avantologia" o "anticipologia" o chiamatela come volete.
Cui prodest? Guardate gli effetti mediatici del petardo e delle minacce e mi sembra chiaro chi cerchi di trarne vantaggio. Per il resto, senza voler fare allarmismi, sono preoccupato. Quando i "botti" sono troppo puntuali, significa che c'è un meccanismo stimolo-risposta abbastanza collaudato. E il botto di oggi, se dovesse servire, potrebbe diventare qualcosa di ancora peggio domani.

Edited by Claudio Bozzacco - 27/3/2010, 20:22
 
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view post Posted on 12/4/2010, 12:06
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view post Posted on 6/5/2010, 10:40
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Le gogne mediatiche e le facce da culo

La gogna mediatica esiste. Figuriamoci se chiunque sia minimamente serio lo possa mettere in dubbio. Ed esiste anche, in talune circostanze, un'ondata forcaiola che prende chi capita, colpevoli, meno colpevoli e innocenti. Ed è per questo che, talora, una serena valutazione postuma dei fatti porta a riabilitazioni, ripensamenti, valutazioni con metro diverso.
Ma se tutto ciò esiste - ed esiste - esiste anche il processo uguale e contrario. Che potremmo variamente definire: il polverone preventivo e il polverone postumo, la rimozione della memoria, la distorsione dei ricordi. Il tutto sintetizzabile in una poco elegante ma efficace espressione: la faccia da culo (fdc d'ora in avanti) intesa come categoria interpretativa che si basa sulla furbizia e sulla disonestà intellettuale.
Facciamo qualche esempio. Calciopoli, per dirne una. Che cosa abbiano combinato Moggi e soci è (ed è stato) sotto gli occhi di tutti. All'epoca, quando scoppiò lo scandalo, tutti avevano ben chiaro quali partite erano state falsate; quali fossero gli ordini che Lucianone dava al telefono; come molte giornate del campionato di serie A fossero state pilotate. E così via. E tutti avevano ben chiaro che, sebbene Moggi fosse un po' il fulcro dello scandalo, a finire nei guai sono state decine di persone e molte società di calcio. NOn solo la Juventus. Forse all'epoca c'è stata una indigestione di intercettazioni e verbali. E forse per questo, nella grande massa di dati, il ricordo si è poco alla volta diradato ed è rimasta una generica rimembranza di quelle pastette, almeno da parte dell'opinione pubblica e dell'informazione meno specializzata.
E così è scattata l'operazione Fdc, che ha fatto leva proprio sulla confusione. Chi era colpevole? Chi truccava le partite? Chi pilotava i risultati? No. Chi parlava con gli arbitri. Una telefonata con un arbitro era più che sufficiente, secondo lo schema fdc, a dimostrare la colpevolezza di tutti, ergo del sistema. Ergo noi soli abbiamo pagato e quindi non siamo i lazzaroni, ma semmai le vittime.
Se poi qualcuno pilotava le partite e qualcun altro diceva buongiorno e buona sera, chissene frega. Il polverone esige approssimazione e grida scomposte. Quanto basta per alimentare una campagna vuota ma in grado di accalappiare qualche titolone nei giornali e qualche opinionista di rango cooptato nel sistema fdc.
Quanto alle mignotte che dire? Sembra di essere in un paese nel quale affari e potere non possono essere esercitati se non grazie ad uno stuolo di ruffiani procacciatori di pulzelle. E loro, gli ineffabili utilizzatori finali? Cadono dalle nuvole. Ma è ovvio: io incontro una mai vista e conosciuta fino a pochi minuti prima, ci scambio due chiacchiere, il tempo di una cena o di un massaggio e poi me la ritrovo nel letto con autoreggenti d'ordinanza o bikini da strip dance e cosa penso? Che in dieci minuti ho fatto una conquista perché sono bello, bravo, potente e affascinante. Ricostruzione fdc doc (nel senso di origine controllata). Il dubbio che sia una puttana pagata no, eh? Quello mai.
Oppure io compro un appartamento. Chi non ha un familiare, un conoscente che non si è contorto nel tentativo di comprare casa? La ricerca del mutuo, dell'affare, il costo al metro quadro fin troppo alto e il budget che diventa sempre più insufficiente, con le rate da pagare che tolgono il sonno.
Poi uno arriva, trova una casa prestigiosa, bella, larga spaziosa, magari con vista su un monumento e quanto la paga? Più o meno quanto una catapecchia che si trova nelle periferie urbane più degradate. Che culo. Anzi, che fdc. Mi aspetto la prossima puntata: veramente non ho mai saputo che qualcuno me l'avesse pagata per due terzi sottobanco. Io pensavo che fosse un affarone. Del resto perché lo schema fdc non dovrebbe prevedere anche la figura dell'utilizzatore finale da appartamento?
E noi che facciamo? Questa cricca di calciopolari, utilizzatori finali e cacciatori di case sottocosto, li vogliamo beatificare tra venti anni o subito? Incartiamo e portiamo a casa?
Direi di no. Continuo a ritenere che non sia poi così complicato distinguere un Bettino o Silvio qualsiasi da un Enrico o un Benigno, tanto per fare un esempio. E poi, dopo tanti anni, ho rivalutato Lombroso. Secondo me le fdc si risconoscono. Lombrosianamente, ma si riconoscono. Ma ora perdonatemi, due ragazze che non ho mai visto ma che devono essersi innamorate di me a prima vista, mi invitano a seguirle. Il tempo di firmare qualche falsa fidejussione, arrangiare un paio di sorteggi arbitrali, comprare un attico sotto costo, promettere un milione di posti di lavoro e torno a raccontarvi il resto. Puntuale come un rolex d'oro e un telefonino svizzero. Promesso.

Gianni Cipriani
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Il Migliore
 
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view post Posted on 18/5/2010, 18:09
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Cari colleghi, questa lettera a tutti voi, giornaliste e giornalisti di DNews, è per ringraziarvi.
Siate forti e fieri per quello che abbiamo fatto insieme in questi anni di lavoro gomito a gomito. Abbiamo costruito un progetto innovativo, un qualcosa di unico nel panorama editoriale italiano, per organizzazione del lavoro, per capacità di recuperare i sani concetti di un giornalismo, fatto di ricerca di notizie, di idee, di pensiero libero. Fino all'ultimo giorno ci siamo dati da fare per trovare "una notizia che gli altri non hanno", per non lavorare acriticamente sulle agenzie e sulla base delle gerarchie dettate dalla televisione. Per un giornalismo di fatti da trovare e raccontare, di immagini inedite da mostrare, di rispetto e dialogo con il lettore, di tensione ideale. Di etica e di rispetto per se stessi e per la professione che ognuno di noi ha scelto.

Certe volte è stato come predicare nel deserto. Anche perché la fatica è stata tanta; diciamo che dopo un avvio promettente in cui le premesse e promesse sono state rispettate, sono giunti i giorni neri, in cui ci siamo dovuti battere per tenere a galla un progetto così bello e apprezzato da tutti, ma non dalla proprietà.
Noi due, assieme a Sergio Juan, a Edoardo Lucheschi, a tutti voi, dovevamo portare il free di qualità verso il web. Ricordate il primo sito con le interviste sul futuro di questa professione? Sulla crossmedialità eccetera... Si trattava di un pensiero lungimirante: un free che parlasse a tutti e non fosse un ghetto per chi non legge, e un web che proseguisse il percorso di rapporto con i lettori. Lo studio per realizzare il web è ancora è chiuso nel cassetto. A Sergio Juan non è stata confermata la consulenza, Edoardo Lucheschi è stato allontanato e con lui la possibilità, invocata dai centri media, di avere una distribuzione controllata e certificata anche di un prodotto free.
Ma noi siamo rimasti uniti, anche nelle difficoltà, anche quando si è aperta una crisi improvvisa e devastante, immediatamente dopo l'acquisto di Metro da parte di Nme, una società che successivamente è diventata tutta di Litosud. Come dire: due società, due giornali, uno stesso padrone e uno stesso sistema.
Siamo rimasti uniti e abbiamo passato l'estate a cercare soluzioni che garantissero il lavoro di tutti.

Ma torniamo a questi giorni. Sulle motivazioni del licenziamento non serve spendere neanche una parola: sono palesemente immotivate. Pretestuose, e servono solo a toglierci politicamente di torno in un momento caldo. In un momento in cui si apre una partita importante per tutti voi.

Parliamo invece di questa professione e ricordiamoci che la libertà di stampa e la democrazia dell'informazione dipendono giorno per giorno da ognuno di noi. E' difficile fare bene questa professione in una palude in cui prevalgono logiche discutibili, in cui la vicinanza con i potenti e una sorta di asservimento al sistema di potere, procura incarichi e denaro. E' difficile avere la testa alta e il coraggio del proprio sguardo quando sembrano prevalere i giornalisti d'acqua dolce.
Ma se una speranza c'è per questa professione, si cela in chi ha il coraggio delle proprie idee, di innovare e di faticare. In chi ha la voglia di essere testimone di ciò che accade e non "riportino" di ciò che serve che si sappia.
Se una speranza c'è ancora, va riposta sulle migliaia di colleghi e colleghe che giorno dopo giorno, in tutto il paese, in piccole o grandi realtà, sul web, sono testimoni della realtà. Non volti noti e televisivi, ma giornalisti bravissimi e sconosciuti alla maggioranza. Paladini di una informazione libera e democratica, come noi tutti con i nostri giornali, fatti con grandissimo senso di rispetto e professionalità proprio perché letti maggiormente dai giovani e giovanissimi. Da tutta quella fascia di persone che va informata seriamente e non indottrinata di sciocchezze.

Comunque vada questa storia, colleghi e colleghe, noi ci saremo ancora. Se non qui, altrove, ma sempre in campo, con progetti che abbiano il segno dell'innovazione e principi etici. Dalla parte della democrazia dell'informazione.

Un abbraccio fraterno
Antonio Cipriani e Gianni Cipriani

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Come per la vicenda epolis rinnovo la mia solidarietà per Gianni Cipriani che lessi la prima volta su reporter associati prima che venisse assorbito da Rupert Murdok.
Questo passaggio probabilmente è un avvisaglia che sta per succedere qualcosa dopodicché bisongerà trovare nuovi equilibri.
Le epoche passano ma i migliori restano.
:D

Edited by Claudio Bozzacco - 18/5/2010, 19:31
 
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Carissimi, ho testè ricevuto una cortese lettera del Nebbioso Insabbiatore di Gladonia, carica che più o meno è equivalente al nostro ministro di Grazia e Giustizia, con la differenza che in quel di Gladonia la parola "giustizia" è stata abrogata con preciso decreto dellutrale già molti lustri orsono, poiché era la parola stessa "giustizia" ad essere profondamente scorretta e ingiusta e poteva instillare nelle gladionesche appecoronate masse sopite un cenno di risveglio da qui alle prossime venti generazioni.
Da allora l'espressione giustizia, a seguito di apposita espunzione dizionariale, è stata sostituita dalle ben più consone "cazzimia" o "cazzitua" a seconda se nel procedimento - nomato in Gladonia "sabbiatura" - si è parte incolpata, ovvero parte citriol-infilza, che più o meno sarebbe la parte lesa.

Ciò con indubbio beneficio per la velocità delle sabbiature e dei relativi costi, acciocché l'incolpato, ove convocato nel portoso nebbiale ha il diritto, anzi il dovere di rispondere "cazzimia" per vedersi l'incolpazione trasformata in elogiale merito; mentre il sabbioso giureconsulo ha il diritto, anzi anche lui il dovere, di rispondere "cazzitua" alle protestali piagniture, acciocché il citriol-infilzato si trasformi in incolpato, con obbligatione di risarcire l'innocente sfruttatore o ladro o chicchessia, purché prevaricatore e farabutto.
In tal modo in Gladonia regna la pace sociale, talché molti fedeli sudditi dell'Utilizzatore Finale si fregiano di altissime e commendevoli onorificienze quali gran puttaniere, spulzellatore di minori, esimio sfruttarore di migranti da Bangonia, eccelso devastatore delle arti, rapinator-cortese, pappon regale, insaputal comprator di case, loffion delle latrine, evasor sublime, mafiosal compare, pizzettal riscossale, pizzin poetale, moggial arbitrale, arbitral truffale, prevital mazzettale, chiappettal oratoriale e seguitar potrevvesi lungamente con questa Araldica di cui il gladoniesco regno si inebria l'animo dopo la sapiente silviesca riforma medaglierale.
Altresì ogni anno, nei giardini della residenza ufficiale dell'Utilizzatore Finale, il ben noto Pinocchiale, vengono consegnati gli ambiti diplomi di Farabutto al merito e lo speciale Minzolino d'oro, targa con incisa la chiarissima massima: "Anche la prescrizione è assoluzione quando mi pare. Comunque cazzimia", di cui viene insignito il lecchinal linguale che abbia meglio raspato secondo i carfagnali canoni, gelminialmente vagliati dalla Commissione del Cullindo, che poi sarebbe il lindo culo.

Ma il Nebbioso Insabbiatore ha ritenuto di scrivermi, non tanto per elogiare i dettami del decreto dellutrale, quanto piuttosto per suggerirmi una riforma di alta civiltà giuridica in materia intercettazionale utile anche nelle globalistiche lande.
Mi dice l'Insabbiatore che a Gladonia, con preciso provvedimento criccale, è stata inserita una norma nel decreto dellutrale che consente senza troppe comunistal polemiche di disporre intercettazional azione senza limiti di tempo o di materia, talchè l'incolpato nel portoso nebbiale abbia il diritto, anzi il dovere di dar conto dell'intercettazionale indaginal penale. E qui, lo confesso miei carissimi, ho avuto un sussulto: a Gladonia fanno le intercettazioni senza limiti di tempo, né di reato. E difatti il Nebbioso Insabbiatore mi ha spiegato che sul punto la norma sopravanza il "cazzimia", acciocchè per favorire la pace sociale dalle possibili intemperie delle pecoronal masse che dovessero svegliarsi dal letargo corre l'obbligo al loffion delle latrine come al merital Farabutto o Minzolino d'oro di dar conto della intercettazionale attività. Ma a condizion che valga il metodo dell'autocertificazione. Talchè la subrettal ministra possa giurare di aver parlato di ricamo e cucito, specificando che la "patta" era il risultato di una partita di scopa; mentre il criccal terremotale beatamente dica di aver riso per una comical barzelletta dell'Utilizzatore Finale e il chiappettal oratoriale sostenga senza tema di smentita che il fanciullin fottuto era un'improvvida esclamazione dopo il casual peston di callo, che Dio ci perdoni.
L'autocertificazione, mi dice il Nebbioso Insabbiatore, consente di coniugare il dovere di un onesto cazzimia/cazzitua con la necessaria privacy e dichiara il diritto, anzi il dovere, dell'incolpato di dichiare a piacimento il colloquial contenuto, con diritto di emendamento di ciascuna parola. Talché a Gladonia la moggial espressione: "gli tiro un siluro nel culo" diventerebbe dopo l'autocertificazione, "come posso aiutarla?", benemerita enunciazione per lodare il moggial parlante di fronte alle pecore.
Io non so voi, ma il Nebbioso Insabbiatore mi ha indicato una via saggia e lungimirante, che garantisce la velocità dei procedimenti, l'abbattimento dei costi, la tangente incorporata e introduce il principio dell'autocertificazione giudiziaria che consentirebbe anche al senatore Di Girolamo di uscire di galera e ad Anemone di essere un fiorellino immacolato. Gladonia sta cominciando a piacermi. In cambio della direzione di un Tg1 a scelta sono disposto a cantar le lodi del merital Farabutto e del loffion delle latrine. Nel frattempo mi esercito a vado a farmi dare una raspatina alla lingua.
 
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view post Posted on 22/10/2010, 20:19
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view post Posted on 7/11/2010, 09:28
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Tornano gli "anarchici" e tornano i pacchi bomba. E tornano i commenti e le analisi di sedicenti esperti che delle teorie e pratiche "insurrezionaliste" non sanno nulla e che, meravigliati, scoprono o fanno finta di scoprire che in estate fa caldo e in inverno fa freddo, ossia scoprono il legame che esiste tra "anarchici" italiani e greci.
In particolare, stando alle dichiarazioni del solito ministro dell'Interno Maroni (che per fini di bieca convenienza propagandistica tende sempre a leggere le dinamiche sovversive in chiave di politica interna e all'interno dello schema anti-berlusconiano) i pacchi bomba di questi giorni sarebbero alimentati dallo scontro politico in atto e dai toni esasperati. Come se alla base di un'azione internazionale della galassia insurrezionalista potesse esserci alla base il caso Ruby o un diverbio a Ballarò. Follie interpretative.
Peccato che gli "insurrezionalisti" (io preferisco chiamarli così perché l'anarchismo ha ben altra nobiltà rispetto al reticolo di bombaroli senza prospettive) abbiano una strategia/non strategia che è alla base delle loro azioni sia in Italia sia ell'estero. E che tra le cose che fanno e le farlocche interpretazioni dei politici nostrani non c'è legame alcuno.
Gli "insurrezionalisti", a differenza di altri gruppi, rifiutano per principio ogni forma di organizzazione con un vertice ed una base (non ci devono essere "capi") preferendo forme di rapporti orizzontali (tutti sullo stesso piano) e informali. Ossia la rete insurrezionalista è una non-organizzazione che viene alimentata dai singoli (o piccoli gruppi di si creano e si sciolgono rapidamente) attraverso quella che si chiama "propaganda del fatto". Che sarebbe l'azione. E' solo l'azione che deve far parlare di sé.
Ciò premesso, gli insurrezionalisti un minimo di base teorica ce l'hanno, se non altro per distinguere i confini di quello che è il campo insurrezionalista da quello delle altre organizzazioni eversive, rispetto alle quali c'è una netta presa di distanza.
E tra le tante produzioni, probabilmente una delle più interessanti rimane il "Contributo per il dibattito al movimento anarchico ed antiautoritario" fatto dalla Fai (la Federazione anarchica informale) nel marzo del 2005 e che un po' indica le linee guida di questo filone che sono ancora attuali:
Il Contributo/Fai era stato redatto in tre punti, il primo dei quali

“Su èlites rivoluzionarie, specialisti, rapporti col “sociale” e progettualità spicciola e la concretezza dell’utopia!” è quello in cui si sintetizzano meglio le linee-guida della Fai.

L'incipit dimostra l’esistenza di una dialettica piuttosto vivace (che c'era allora come adesso) all’interno del movimento rivoluzionario:

Il movimento anarchico èdev’essere un movimento rivoluzionario non è né un movimento d’opinione che propaganda libertà civili da conquistare tramite folkloristici colorati e incruenti balletti e sfilate né il club esclusivo di un gruppuscolo di saccenti teorici dell’insurrezione che, a seconda di come tira il vento, si immergono nel sociale...

In questo senso la Fai riaffermava una sorta di terza opzione rivoluzionaria. Da un lato c’è la chiara presa di distanza dal movimento (in particolare quello no-global) accusato sostanzialmente di essere poco scomodo al potere costituito anzi di essere “un folcloristico buffone che da solo si è messo in ginocchio di fronte al padrone”.
Nello stesso tempo c’è la presa di distanza dai “saccenti teorici dell’insurrezione” e da coloro che sono troppo immersi nelle loro analisi per poter cogliere i dati della realtà; ovvero a leggere in maniera distorta ogni avvenimento che riguardi la classe.

La seconda parte del documento era titolata “Di chi è la colpa della repressione?” era rivolta ad una polemica tutta interna al movimento nel quale c’era chi sosteneva che le azioni della Fai provocassero una ulteriore stretta autoritaria ed una maggiore repressione. Scrivevano gli insurrezionalisti: “Nostro compito è produrre non solo ferite innocue ma lavorare per successivi colpi sempre più gioiosamente letali”.
Una linea che non è mai cambiata nel corso degli anni.

Nel terzo paragrafo del documento “Una vita per lo spettacolo (noi e i media)” era spiegata la strategia mediatica della Fai, che è quella di ottenere con le azioni il massimo della visibilità. Proprio perché le azioni sono un volano di propaganda rivoluzionaria. La bomba può uccidere. Anzi, se uccide è meglio. La bomba può sabotare qualcosa. Se ci si riesce è meglio. Ma la bomba deve soprattutto far parlare di sé.
Dicevano gli insurrezionalisti: “Il passaggio attraverso il veicolo mediatico TV, carta stampata, Internet, ecc) è rischioso ma inevitabile”. Per aggiungere: “Preferiamo che siano i compagni con l’efficacia delle proprie azioni a costringere la stampa a parlarne che una stampa impietosita da innocui e pittoreschi manifestanti ci ricami su un accondiscendente trafiletto”.

Molte altre cose si potrebbero aggiungere a proposito della rete internazionale insurrezionalista.
Ma, per tornare al tema iniziale, è evidente che l'insurrezionalismo si basa su alune linee-guida che sono immutabili nel tempo: la lotta contro un sistema che opprime l'uomo; la lotta contro ogni tipo di autoritarismo (anche quello marxista-leninista per essere chiari) che negli ultimi decenni ha preso forma nella mobilitazione contro il carcere,contro le forze di polizia e contro le politiche di contrasto all'immigrazione. E infine la strategia mediatica per far parlare di sé.
Il tutto senza avere una organizzazione strutturata, ma solo reti di solidarietà che comunicano tra di loro in maniera informale, attraverso la "propaganda del fatto" e pochi incontri internazionali.
Questa è, sulla base dei documenti, una reale descrizione del movimento insurrezionalista. Nulla a che vedere con quanto dice Maroni, come ognuno può comprendere con i propri occhi.
Finisco con una domanda: quei "gioiosi" insurrezionalisti che da Atene hanno spedito pacchi bomba in tutta Europa, Berlusconi compreso, pensavano in tal modo di uccidere i destinatari di quei plichi o di far parlare di sé o propagandare meglio (in quel determinato ambito rivoluzionario) il loro verbo?
La risposta è chiara ed evidente per chi ha perso un po' di tempo a studiare i documenti. Ma poiché, come è ovvio, nemmeno la metà della metà dei sedicenti esperti di terrorismo che frequentano i salotti tv si è mai provata a studiare le cose di cui si parla, allora va benissimo credere che la mano degli insurrezionalisti sia stata armata dal caso Ruby, da Ballarò, da Annozero e via improvvisando.
Ma così non è. Né in questo modo di affronta seriamente un fenomeno, come quello dell'insurrezionalismo, che esiste e ha le sue logiche. Che non sono certo quelle gettate demagogicamente in pasto all'opinione pubblica
 
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view post Posted on 20/11/2010, 08:19
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Scelgo queste pagine che sono una sorta di elogio all'intelligenza e all'elevazione umana sul mondo, per riportarvi alcune riflessioni.

Il berlusconismo invece simboleggia i vestiti, il cibo, il sesso, la macchina, la cosa.
Ovvero la sola sopravvivenza fisica dell'uomo e non l'esaltazione della sua virtù.

I SEGNI ASTROLOGICI E GRAFOLOGICI DELL'INTELLIGENZA



L’intelligenza è intesa come la capacità complessa, in gran parte innata, di fronteggiare situazioni nuove, provenienti dall’ambiente e di risolvere i problemi, che, via via, si presentano, più che con l’esperienza con la comprensione, attraverso la valutazione degli elementi collegati alla situazione. Di conseguenza è presupposta la capacità di intendere con abilità, pensare, saper interpretare e giudicare. Insomma, l’intelligenza è la capacità di penetrare le apparenze, nella loro espressione multiforme e presuppone una mente analitico-razionale. Eppure, non è così chiaro ancora cosa sia questo fattore che tanto incide nella vita e nella capacità o meno di raggiungere obiettivi e mete prefissate.

I filosofi parlarono di intelletto, termine che fu usato in un doppio significato. Uno generico inteso come facoltà di pensare, l’altro più specifico comprendente l’intelligenza. San Tommaso (1225-1274) affermò: <<il nome di intelletto implica una certa conoscenza intima; intelligere è quasi un leggere dentro (intus legere). Questo è evidente a chi considera la differenza tra l’intelletto e i sensi: la conoscenza sensibile concerne le qualità sensibili esterne, la conoscenza intellettiva penetra sino all’essenza della cosa>> (S. Th., II, 2, q. 8, a. I.). Per Spinoza (1632-1677) l’intelligenza è sinonimo di ragione.

Kant (1724-1804) la intese come la capacità di rappresentarsi ciò che non può essere compreso dai sensi. Leibniz (1647-1716), a sua volta, intese per intelletto <<la percezione distinta unita alla facoltà di riflettere, che non c’è nell’anima delle bestie>> (Nouv. Ess., II, 21, 5). Il filosofo tedesco Wolff (1679-1754) la riassume come <<facoltà di pensare>> (Psychol. Empirica, 275). Fichte (1762-1814) affermò che essere intelligente vuol dire conoscersi. Secondo lui l’essenza dell’intelligenza è intuire sé stessa. Secondo il punto di vista Ermetico, essa, per il Kremmerz (1861-1930) <<è il fenomeno più eccelso dello stato vibratorio del meccanismo psichico (...). Parte suprema della personalità umana, la quale è Unità dell’organismo universale; è la sintesi di Una vita animale e di Tutta la vita universale (...). L’intelligenza è lo sforzo della Mente per concepire - assorbendone le virtù - l’Ente da cui trae origine. Intelligo, quasi in te lego, da cui intellectus>> (G. Kremmerz, La scienza dei magi, Mediterranee, Roma 1976, vol. II.).

Come questa facoltà si manifesta sempre il Kremmerz lo spiega con un esempio: <<se studiate un problema di algebra e non riuscite a trovarne la soluzione, né sperate di riuscirvi, e si affaccia... improvvisa una determinazione del vostro intelletto che vi dà la via vera... quella che in voi si è prodotta è una luce intellettuale che viene dalla parte più nobile di voi stessi, che pare per la sua sottilità una ispirazione a voi estranea: questa è intelligenza...>> (Ibidem). Prima di addentrarmi nel terreno dell’astrologia per esporre le configurazioni dell’intelligenza è utile chiarire il concetto che rende comprensibile e possibile la lettura del cielo. La forza che anima i sistemi planetari ha identica natura di quella che muove gli uomini. Tra l’uomo (microcosmo) e l’universo (macrocosmo) circola l’identica energia vitale.

Andrè Barbault scrive: <<esiste un sincronismo perfetto fra questi due mondi ed è per questo che le cose si svolgono parallelamente in cielo e in terra. Partendo da questo concetto di armonia fra l’individuo e il mondo, ambedue debbono poter essere confrontati e paragonati a una certa ora e in un determinato luogo: l’oroscopo non è altro che l’algoritmo e la matrice di questo rapporto. (...). …questa teoria ermetica acquista tutto il suo significato in un secolo come il nostro in cui si constatano analogie fra il mondo infinitamente piccolo dell’atomo e quello infinitamente grande dell’astronomia, come se le leggi di organizzazione avessero lo stesso peso ad ogni livello della natura>> (A. Barbault, Dalla psicoanalisi all’astrologia, Morin, Siena 1971). Vediamo ora quali sono i segni astrologici che indicano l’intelligenza in un oroscopo. Prima di tutto è da considerare Mercurio.

S. Agostino osservava che: <<se qualcuno è nato nel momento in cui Mercurio si trova in uno dei campi di Saturno, e questo pianeta vi esercita effettivamente la sua potenza, ebbene, questa persona avrà una notevole intelligenza e il dono di penetrare profondamente nel senso delle cose>> (Summa contra gentes). Sono, altresì, favorevoli all’intelligenza i buoni aspetti tra Mercurio e la Luna e gli stessi pianeti domiciliati, situati in case angolari o in aspetto con l’Ascendente. L’intelligenza è feconda se il Sole è nei Gemelli e in casa IV o se Marte, situato nei Gemelli, occupa la V. Altri indicatori sono il Sole o l’Ascendente in un Segno d’Aria (Gemelli, Bilancia, Acquario) oppure in Vergine o nello Scorpione. E’ realizzativa se il Sole occupa la casa IV ed è in Cancro. Saturno, in congiunzione con Nettuno, la rende vivissima e, Urano in III, e nello Scorpione, la rende geniale.

Non è così semplice, tuttavia, lo studio del cielo natale ed occorre prendere le debite distanze dalle chiacchiere dei ciarlatani. Montaigne affermava: <<ci vuole più a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose>>. La grafologia è lo studio di un altro cielo. Nell’istante in cui verghiamo la nostra scrittura ci proiettiamo nello spazio. L’universo nel quale viviamo è simboleggiato dal foglio e la movimentalità scrittoria rappresenta il nostro modo di agire, in rapporto agli altri, in questo universo. Padre Girolamo Maria Moretti (1879-1936), caposcuola della grafologia in Italia, elenca (G. Moretti, Grafologia, Messaggero, Padova 1977) i segni grafici sostanziali, cioè quelli che riguardano la sostanzialità, il fondamento della personalità umana, relativi all’intelligenza, che, di seguito riassumo.

La scrittura <<larga di lettere>> indica profondità intellettive nello scrivente. Se è <<larga tra lettere>> è segno di comprensione rapida dei problemi. Il ragionamento e la capacità di critica sono rilevati dalla scrittura <<larga tra parole>>. La logica si denota dal segno grafico <<slegata>>. La scrittura <<sinuosa>> indica capacità di penetrazione psicologica e quella <<minuta>> rivela che lo scrivente è dotato di giudizio fine. La <<chiara>> è capacità di apprendere e comunicare in modo chiaro e comprensibile. Il segreto della vita è che l’uomo interagisce con più universi ed è egli stesso un piccolo universo. Gli archetipi, simboli eterni dell’anima umana, sono i pianeti. La vita è tutto un fluire di energie da un cielo all’altro, un’interrelazione di sottili forze esplicantesi in un incessante dualismo, male e bene, che bisogna superare e risolvere come un tutto indivisibile (altrimenti è la distruzione dell’essere) nell’unità della grande legge dell’universo.

Giuseppe Cosco
 
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view post Posted on 21/12/2010, 09:33
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Provocatori all'opera mentre qualcuno cerca il morto

Qualcuno vuole il morto? Detta così forse l'espressione può sembrare esagerata. E allora è meglio spiegare esattamente in maniera più articolata come stanno le cose: a qualcuno non dispiace affatto che nei prossimi giorni possa scapparci un morto o, quantomeno, qualcosa di grave. Qualcosa di eclatante che delegittimi la sacrosanta protesta che vede insieme molti e diversi soggetti e realtà sociali uniti contro nuove ingiustizie e nuovi autoritarismi. Un gesto, un episodio che spinga qualla parte poco informata dell'opinione pubblica a stringersi intorno alle richieste di ordine e sicurezza con addentellato di deriva fascistoide, fino a forme di stato di emergenza e repressione indiscriminata.
Queste affermazioni non sono espressione di una contro-propaganda preventiva o di facili dietrologie, ma il frutto di una seria e responsabile analisi dai fatti, degli scenari e del quadro politico e istituzionale di riferimento. Al netto di alcune fughe dietrologiche della settimana passata il problema resta: i rischi di incidenti, anche gravi, sono altissimi. C'è molta voglia di menare le mani e perfino le armi e le molotov. E c'è chi farà di tutto per assecondare questa deriva secondo il più scontato e antico dei calcoli, che però funziona sempre e, soprattutto, funziona adesso: il caos è la migliore medicina del potere quando questi è in difficoltà.
I motivi di queste affermazioni sono sostanzialmente tre. Il primo - e il più evidente - è l'irresponsabile atteggiamento del governo e di alcuni esponenti della sua maggioranza che non fa altro che esasperare un clima già rovente di suo e lancia segnali assai chiari per i più zelanti tra i servitori istituzionali.
In passato chi scrive ha già avuto modo di esaminare una serie di dichiarazioni, analisi e allarmi del ministro Maroni sul terrorismo che non facevano altro che inseguire i luoghi comuni e rincorrere antiche paure, ma che erano fuorvianti e inattendibili nel merito. E' quel clima, tanto per essere chiari, in cui è nata la campagna sul misterioso attentatore di Belpietro, frutto della "campagna di odio" della sinistra. E' quel clima che evoca il bisogno e la speranza di un ritorno del terrorismo, che poi, puntualmente, fa capolino. Sia perché ci sono gruppi di sbandati che pensano di poter tornare protagonisti e guadagnare qualche titolo sui giornali (gli insurrezionalisti) sia perché i provocatori di professione - e ce ne sono - non aspettano altro per poter mostrarsi utili ai loro referenti para-istituzionali. E scrivere qualche documento farlocco o far esplodere qualche petardo. Dire come si sta facendo in queste ore che ci vogliono leggi speciali non significa altro da un lato esasperare la piazza; dall'altro mettere in moto meccanismi perversi di settori istituzionali (minoritari e isolati quanto si vuole) che faranno del loro meglio perché si arrivi ad una situazione in cui la stretta autoritaria possa essere accolta dagli applausi. Non ci prendiamo in giro: quando chi è al potere lancia segnali chiarissimi, non ci si può meravigliare se poi tra i servitori dell Stato compaia qualcuno più realista del re. Si tratta di una dinamica che va ben oltre quanto accadde durante le sciagurate giornate di Genova.
In secondo luogo, mentre si parla a sproposito di nuovi daspo e retate preventive, i gruppi pericolosi si stanno organizzando quasi alla luce del sole senza che - almeno fino ad ora - sia stato fatto qualcosa per fermarli. Si tratta del solito distacco tra la propaganda demagogica (tanta) e fatti concreti e mirati (nessuno). Ed in questo scenario, oltre ai settori dell'estrema sinistra sempre e comunque sotto accusa (ne parleremo meglio dopo) alle prossime manifestazioni si stanno preparando a prendere parte gruppi di fascisti organizzati e gruppi di ultras calcistici politicamente orientati. Gente che si è addestrata sul campo. Li potremmo definire veterani del disordine. Usciranno dal nulla - questa è la loro intenzione - per sfasciare, picchiare, provocare, incendiare. Se non saranno fermati in tempo accadrà. Poi non si dica che nessuno l'avrebbe mai immaginato. Quanto ai centri sociali, il discorso è assai complesso. Centri sociali è una definizione assai generica che non fa distinzione tra centinaia di anime e idealità diverse, molte delle quali non potrebbero essere catalogate in maniera negativa. In quell'ambito ci sono gruppi violenti che (è storia vecchia più di quaranta anni) aspirano in tal modo di assumere una leadership politica che non saprebbero esprimere con le sole armi della ragione. Se ciò è vero, come è vero, non si può rimanere perplessi nel vedere (è un esempio ma molto indicativo) che alcuni furgoni carichi di ogni ben di dio del violento, siano la settimana scorsa arrivati fino in centro, utilizzati come arsenale volante. Peggio se, come sembra, alcuni testimoni riferiscono che queste cose sono accadute la sera prima. Si preparava il campo di battaglia nell'ignavia e nell'inerzia generale. Insomma ci sono squadre di violenti ben definite e ben delinate che, volendo, si possono bloccare. Ci sono fascisti e ultras i cui nomi forse non sono del tutto ignoti. Ma si ha davvero interesse a fermarli? Oppure nei complicati meccanismi istituzionali qualcuno cerca di mettere i bastoni negli ingranaggi perché questi soggetti siano in piazza a fare casino? O meglio: a fare quel casino che il "partito del morto" spera e si aspetta?
Il terzo elemento di preoccupazione è dovuto al tipo di protesta. In piazza ci vanno e ci stanno andando soggetti sociali che non hanno una cultura delle manifestazioni, sono sostanzialmente disorganizzati, non hanno gerarchie, comandanti. Sono tanti sotto-insiemi che poi fanno "la" piazza. Da un punto di vista politico la potremmo definire una situazione di trasversalità democratica realmente positiva. Da un punto di vista della piazza, però, sono evidenti le vulneralibità. Persone inesperte e prive di un servizio d'ordine reale possono essere oggetto di provocazione; utilizzate come schermo dai provocatori di professione. Potrebbero perfino diventare inconsapevole massa di manovra strumentalizzata dai soliti noti se gli eventi dovessero degenerare. Potrebbero perfino - i non violenti - diventare propagonisti di qualche assalto se provocati e aizzati con arte. Quindi la maggioranza di chi scenderà in piazza non avrà gli strumenti nè politici nè organizzativi per poter essere al riparo da provocazioni, infiltrazioni e attacchi.
Il "partito del morto" e delle città messe a ferro e a fuoco può ancora fermarsi. Siamo ancora in tempo. Quello che serve nelle prossime ore è una grande responsabilità da parte di tutti. E chi può scongiurare un copione già scritto si muova adesso.

Gianni Cipriani e Gianluca Santilli
 
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view post Posted on 31/12/2010, 19:51
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Chiudiamo l'anno con una lezione di controcomplotto
buon 2011


di Gianni Cipriani

La stravagante rivelazione sulle manovre per screditare Berlusconi tramite un attentato a Fini, nonché la voce sull'esistenza di un video nel quale una prostituta parlerebbe del leader di Futuro e Libertà, sono qualcosa di più del fumo negli occhi gettato in pasto alla gente.

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Sono avvertimenti trasversali e mezzi da propaganda e contro-propaganda per riabilitare Silvio Berlusconi agli occhi di una opinione pubblica piuttosto disorientata da "puttanopoli", anche alla luce delle parole non proprio gentili della figlia Barbara che sarà pure "influenzata" dalla madre - come ha detto lo stesso Berlusconi cercando di difendersi - ma sarebbe difficile anche per Cicchitto e Bondi e gli altri fedelissimi adusi a spararla grossa, far passare la signorina come una pedina dei comunisti.
Del resto Berlusconi l'utilizzatore finale, quello della D'Addario, quello della nipote di Mubarak in arte Ruby, quello chiamato in causa dall'all'altra escort intervistata a Sky aveva lanciato la linea difensiva settimane orsono: oscure manine o manone nonché la criminalità organizzata pagano le signorine per screditarmi. Nulla di vero, ennesimo complotto ai suoi danni, la linea dei portavoci, tv e giornali di famiglia. Dato il "la" mediatico, ecco comparire magicamente la voce che mette insieme tre elementi: escort, video, Fini. Un po' come dire: vedete, anche Fini potrebbe inciampare in una escort che gli rovina l'immagine. E se voi pensate che si tratti di una manovra per screditare il presidente della Camera, come non potete pensare che anche io (Berlusconi) sia stato vittima di un simile disegno? Non mi va di entrare nei tecnicismi ma nei manuali di guerra psicologica questo approccio ha una doppia definizione: come propaganda si definisce tecnica di distorsione logica con ricorso ai sillogismi fuorvianti; come contro-propaganda si definisce metodo della diversione, ossia l'arte di creare diversivi. Quanto alla notizia di un possibile attentato a Fini per incolpare Berlusconi, dificile non vedere il tentativo (l'ennesimo) di alimentare la figura del Berlusconi vittima preventiva di qualcuno che gli vuole male. Tentativo senza logica nella sostanza, ma buona mossa per la propaganda spicciola. Qualcuno più malizioso, poi, ci potrebbe vedere anche un messaggio trasversale lanciato allo stesso Fini: gli attentati oggi sono voci, ma chissà un domani...
Io non voglio enfatizzare l'ennesima puntata di questa Italia dei veleni, dei dossier, degli sputtanamenti a vantaggio dell'impunità dei soliti noti e del solito sistema di potere. Tuttavia c'è una deriva che non promette nulla di buono. Come considerazione finale, però - lo so che è un tormentone - approfitto per riproporre una domanda che sgorga spontanea proprio mentre il direttore di Libero parla di attentati e trame meretriciali: ma che fine ha fatto il killer di Belpietro? Dov'è il misterioso attentatore armato dall'odio della sinistra che ha fatto parlare di sé le prima pagine dei giornali? Qualcuno ne ha notizia? Il misterio killer di Belpietro è forse lo stesso che si appresta ad assassinare Fini?
Tra tanti dubbi di una cosa sono assai convinto: Belpietro farebbe bene ad occuparsi prima degli "attentati" suoi. Quando avrà trovato il killer potrà parlare e perfino preoccuparsi per Fini.
 
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32 replies since 22/1/2008, 19:30   6542 views
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