Gianni Cipriani lascia Epolis

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view post Posted on 22/1/2008, 19:30
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Il mio addio sofferto al “miracolo” E polis

Nella vita di un giornalista ci sono articoli che non si vede l'ora di scrivere; articoli che si preferirebbe non scrivere e articoli che non vorremmo mai scrivere. Questo editoriale di oggi avrei preferito non scriverlo, perché è quello con il quale mi congedo da E Polis. Una scelta non piacevole. Diciamo pure dolorosa, perché un'esperienza come quella fatta in questo giornale non può essere racchiusa solo nell'espressione “lavoro”, ma in un insieme molto più ampio e più composito di sensazioni e sentimenti propri di quelle stagioni di profonda condivisione. Mesi nei quali un giornale locale si è trasformato in un network di 15 testate, tutte molto apprezzate. Più dai lettori che dall'establishment. E tuttavia da settembre - ossia da quando ho preso la decisione di andarmene dopo aver garantito la transizione post-crisi - non ho mai avuto un ripensamento, nonostante (lo dico senza retorica) in E Polis lascio una parte della mia anima. Sulle ragioni molto si è detto; talvolta si è cercato di speculare. Non ci voglio tornare per non annoiare i lettori. Posso solo dire che non mi considero una persona adatta a tutte le stagioni, né appartengo alla categoria di coloro i quali, pur di mantenere una poltrona, sono capaci di qualsiasi capriola e compromesso con la propria identità. Con il cambio di proprietà ho considerato esaurita la mia stagione e ne ho tratto le conseguenze. Tutto qui. In maniera lineare e senza retropensieri. Alla nuova proprietà, tuttavia, voglio dare atto di essere intervenuta in un momento di grave difficoltà del giornale e di averlo fatto ripartire. Garantendo in tal modo molti posti di lavoro, che sarebbero irrimediabilmente andati perduti. Lo stesso editore, in questi mesi, ci ha lasciato lavorare in piena autonomia anche se - immagino - le nostre idee non sempre collimavano con le sue. Lo ringrazio per questo e anche per aver cercato, con garbo, di dissuadere me e mio fratello Antonio dal nostro proposito di andarcene.
Vorrei dire, infine, che in E Polis ho incontrato persone straordinarie. Dal più anziano dei giornalisti, al più giovane dei collaboratori, passando per gli editorialisti e tutte le lavoratrici e i lavoratori. Senza di loro questo miracolo non sarebbe mai stato possibile. Li ringrazio uno ad uno di cuore. A tutti loro e a tutti i lettori auguro un sereno 2008 di pace. Buona fortuna.


E Polis 29 Dicembre 2007
Gianni Cipriani

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view post Posted on 19/3/2008, 12:49
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il nuovo lavoro dei fratelli Cipriani

http://www.dnews.eu/sez_video/index.htm
 
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Il mistero Orlandi e il buio sul nostro passato


Non mi sorprende affatto la grande attenzione mediatica che si è riaccesa intorno al “gial lo” della scomparsa di Emanuela Orlandi. Anzi, mi sarei sorpreso del contrario, perché dal punto di vista della comunicazione gli “ingredienti” ci sono tutti, a cominciare dal “mistero” che di per sé ha una forza attrattiva e seducente. A ciò si aggiunga il fatto che il caso Orlandi non è mai del tutto scomparso dalle cronache e quindi è una storia “fresca” nonostante siano trascorsi decenni. In ultimo, a rendere l’intrigo ancora più intrigante - e il gioco di parole è voluto - contribuisce la rinnovata moda complotto logico letteraria che investe il Vaticano e la Chiesa, presentati come luogo del “male” piuttosto che come espressione del “bene”. E la rappresentazione del contrario, con il suo effetto di disorientamento, è come un fuoco di artificio emozionale. Piace, attira, cattura l’attenzione. Tutto questo, però, spiega molto, ma non tutto. Perché se ancora ci interroghiamo su quei misteri, su quelle pagine buie, se ancora immaginiamo scenari più o meno credibili o più o meno deliranti, è perché quei buchi neri tali erano e tali rimangono. Il nostro paese non ha fatto i conti fino in fondo con la sua storia, né su quell’intreccio di poteri forti, occulti e internazionali che hanno a lungo condizionato la nostra democrazia. Non c’è stata la forza; non c’è stata la possibilità; non c’è stata la volontà. E oggi non conviene più. Il caso Orlandi ci appassiona come un semplice “giallo”. In realtà dovremmo averne paura. Per ciò che è stato ieri e per ciò che è ancora oggi.



Gianni Cipriani
Direttore Responsabile DNews
www.dnews.eu

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L'extradition de Marina Petrella: «Des débats pas très rationnels en Italie»

Entretien avec Gianni Cipriani, journaliste, auteur du livre «Les brigades rouges, la menace du nouveau terrorisme» et expert auprès de la commission parlementaire italienne sur le terrorisme

Que pense l’opinion publique italienne de l’extradition de Marina Petrella?

Il faut distinguer deux choses. L’Italien moyen ne s’intéresse pas trop à cela, notamment parce que ce sont des choses qui remontent à trente ou quarante ans. Je ne crois pas que la nouvelle de l’extradition de Marina Petrella ne revête un intérêt particulier pour l’opinion publique italienne. Toutefois, certaines personnes plus informées se préoccupent de la situation des Italiens à l’étranger. Pour eux, le fait que les anciens criminels ne soient pas extradés, c’est une offense pour la justice italienne. Il y a aussi quelques associations qui ont été créées en mémoire aux victimes des brigades rouges qui sont très actives et alimentent un certain battage médiatique. Le fait que Sarkozy demande à Berlusconi la grâce de Petrella n’est pas très bien vu. Ou on laisse la justice italienne s’en charger ou bien il s’agit d’une histoire entre présidents…

Quelle est la réaction de la gauche italienne?

Quasiment toute la classe politique italienne de droite comme de gauche a fait pression sur la France pour l’extradition des anciens brigadistes. Même si l’opinion publique ne se sent pas véritablement concernée, cela reste un instrument de propagande populaire. Il faut comprendre que les débats politiques ne sont pas très rationnels ici en Italie. C’est un peu comme aux Etats-Unis lorsqu’il est question de peine de mort. Il n’y a qu’une toute petite partie de l’extrême gauche – ce qui représente très peu de personnes – qui pense que juger des personnes plus de 30 ans après s’apparente à une vendetta.

Quel est l’héritage des brigades en Italie?

L’opinion publique italienne a été choquée en 1999 par l’assassinat de Massimo D’Antona par des personnes qui se réclamaient des Brigades Rouges. Mais je ne crois pas que des personnes comme Marina Petrella ou Cesare Battisti n’aient quoi que ce soit à voir avec ces nouvelles brigades rouges. Aujourd’hui, les brigades rouges ne concernent qu’un tout petit groupe de personnes. Mais l’histoire continue de fasciner les gens. Il reste des passages obscurs, il n’y pas de vérité. Depuis trente ans, on dit beaucoup de choses. Ca explique notamment pourquoi il y a tant de films sur le sujet depuis quelques années.


http://www.20minutes.fr/article/241446/A-l...s-en-Italie.php

http://it.wikipedia.org/wiki/Marina_Petrella


L'Italia, nel rispetto della sovranità nazionale Francese, da mesi chiede attraverso il Primo Ministro, il Ministro dell'Interno e l'Ambasciatore Italiano in Francia l'estradizione di Marina Petrella, cittadina Italiana già processata e condannata dalle diverse Corti Italiane in primo e in secondo grado per omicidio, sequestro di persona e terrorismo.

Gli Stati Uniti, nel rispetto della sovranità nazionale Italiana, mandarono un gruppo di poliziotti, sotto le false vesti di funzionari di ambasciata, a caricare in un furgone Abu Omar, egiziano residente sul suolo Italiano, ne processato ne condannato, sequestrato e trasportato presso una base militare di Aviano e da qui traslato in carceri segrete e sottoposto a tortura.

Confrontando le due storie mi chiedo dove sia finita la dignità del nostro stato e dei cittadini che ivi risiedono, questa probabilmente viene calpestata in primis da quei movimenti politici che si dicono di ispirazione Nazionale.

Edited by Claudio Bozzacco - 11/7/2008, 10:23

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Sviluppi sul rapimento di Emanuela Orlandi.
Nella vicenda verrebbero coinvolti banda della magliana, vaticano, Calvi, Giulio Andreotti, Mehmet Ali Ağca e monsignor Paul Marcinkus, che all'epoca era presidente dello IOR, la "banca" vaticana.
Se ne sta occupando anche la trasmissione di rai 3 chi l'ha visto ricevendo per altro diverse minacce.

http://it.wikipedia.org/wiki/Emanuela_Orlandi


«Sequestro Orlandi, ecco l’auto». Parcheggiata da 13 anni
Trovata la Bmw indicata dalla teste Minardi per il trasporto di Emanuela. Era di un boss della Magliana

ROMA—C’è un nuovo colpo di scena nella vicenda di Emanuela Orlandi, rapita e scomparsa a Roma all’età di 15 anni il 22 giugno 1983. Dopo Sabrina Minardi, la supertestimone, un’altra persona ha deciso di confidarsi con gli inquirenti. È accaduto durante uno degli ultimi interrogatori: «Andate al parcheggio di Villa Borghese, il parcheggio sotterraneo. Là troverete la macchina, la Bmw che state cercando... ». Una rivelazione precisa, senza tentennamenti. La Squadra Mobile è andata sul posto e l’ha trovata. Sì, è proprio la Bmw 745i di color grigio scuro di cui parlò nei mesi scorsi Sabrina Minardi, l’ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano, poi diventata la donna di Enrico De Pedis, detto «Renatino», il boss della Banda della Magliana. La Scientifica la sta già esaminando palmo a palmo alla ricerca di qualche traccia di Emanuela. Potrebbe essere un passo avanti importantissimo per l’inchiesta della Procura di Roma, diretta da Giovanni Ferrara.

«Renato e Sergio me la misero in macchina — raccontò agli investigatori nei mesi scorsi la Minardi, che era alla guida di quella Bmw—La ragazza era frastornata, confusa. Piangeva, rideva. Le avevano tagliato i capelli in maniera oscena. Mi disse: Mi chiamo Emanuela...». In quell’occasione — già qualche tempo dopo il rapimento—secondo la Minardi lo stesso De Pedis le chiese di accompagnare la Orlandi con quella Bmw dal benzinaio del Vaticano, dove l’aspettava a bordo di una Mercedes targata Città del Vaticano un uomo distinto, che la supertestimone non ha esitato a descrivere con l’aspetto di un prete, un monsignore.

A rivelare l’ultima novità è il settimanale Visto, oggi in edicola, che pubblica anche la foto dell'auto ritrovata. Ma il particolare che ha suscitato molte perplessità a Palazzo di Giustizia è che la Bmw risulta parcheggiata a Villa Borghese dal 1995: il ticket d’ingresso parla chiaro, cioè ben dodici anni dopo il rapimento e senza che nessuno in questi 13 anni che nel frattempo sono passati si sia mai insospettito per quell’auto abbandonata. Inoltre, secondo Visto, «dai primi accertamenti risulta che il primo proprietario dell'auto sia stato Flavio Carboni, l'imprenditore indagato e poi assolto nel processo di primo grado nell'inchiesta sulla morte del banchiere Roberto Calvi. La Squadra Mobile di Roma sta ancora analizzando l'automobile ma si è già saputo che ha trovato tracce interessanti».

Non è tutto, però. Se è vero che il primo proprietario dell’auto è Flavio Carboni, l’ultimo intestatario della vettura risulta essere un ex appartenente alla Banda della Magliana, ma non De Pedis. Ora, naturalmente, gli agenti della Scientifica stanno già setacciando l’auto nella speranza di trovare qualcosa, anche solo un capello, che possa portarli, venticinque anni dopo, a scoprire la verità sulla sorte della ragazza scomparsa (secondo la Minardi, il corpo chiuso in un sacco fu gettato da Renatino dentro una betoniera a Torvajanica).

Forse si tratta anche della stessa macchina utilizzata per il rapimento (quel 22 giugno di 25 anni fa un vigile urbano sostenne di aver visto Emanuela entrare proprio in una Bmw scura davanti al palazzo del Senato). Quello che è certo è che l’ultima scoperta costituisce un puntello solidissimo al racconto dell’ex donna di De Pedis, anche se in molti punti rimane ancora oscuro e sgangherato: «Io a monsignor Marcinkus a volte portavo le ragazze lì, in un appartamento a via di Porta Angelica. Lui era vestito come una persona normale. C’era poi il segretario, un certo Flavio...».

Fabrizio Caccia
14 agosto 2008
corriere sera

Edited by Claudio Bozzacco - 14/8/2008, 10:22
 
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view post Posted on 29/10/2008, 10:15
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New press criticata in pubblico ma copiata in privato
Gianni Cipriani
www.giannicipriani.it


Mi raccontava giorni orsono un insigne professore universitario che tra gli studenti che frequentano gli atenei, ben pochi comprano un quotidiano. Nemmeno - sembra un paradosso gli iscritti a Scienze della comunicazione, che si apprestano a diventare i giornalisti e i comunicatori del domani. La stampa gratuita ha cominciato a colmare gradualmente questo vuoto. E man mano che la qualità è aumentata gli under 25 hanno cominciato ad abituarsi a leggere un giornale e ad avere un “bisogno” di informazione che non sia solo la raccolta, più o meno casuale, di notizie, notiziole e commenti da internet, ma segua una gerarchizzazione più strutturata. Questa considerazione, da sola, basterebbe a spiegare l’utilità sociale della “new press”, ossia la stampa gratuita di qualità. La quale, tra l’altro, raggiunge un pubblico vastissimo, assai più ampio della stragrande maggioranza dei quotidiani a pagamento. Molti se ne sono accorti. Molti hanno dovuto accorgersene per l’evidenza dei fatti. Qualche salotto ancora storce il naso, liquida il fenomeno come “serie B” dell’informazione e guarda con sospetto e conservatorismo all’innovazione dei giornali e dei processi produttivi per realizzarli. Nulla di nuovo, dal luddismo in poi. Salvo poi vedere che la stampa “tradizionale”, per sopravvivere e svecchiare si deve ispirare ai codici comunicativi della vituperata free press. Restano alcune domande: dov’è la serie A? E dov’è la serie B? E chi sta davvero dalla parte dei giovani e dei lettori?
 
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view post Posted on 10/12/2008, 17:08
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Video de La 7

Tetris: Bologna, una strage annunciata?

Conduce
Luca Telese

Partecipano:
Gianni Cipriani, Andrea Colombo,
Gianni Barbacietto, Giuseppe Valerio Fioravanti.


http://www.la7.it/approfondimento/dettagli...tris&video=1820

 
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La crisi ci impone una nuova etica negli affari


Secondo una recentissima analisi dell’intelligence di sua Maestà britannica, poco meno che ignorata da noi, se la crisi economica dovesse continuare ed espandersi su questi binari e a questi ritmi, allora il Regno Unito rischierebbe - in un futuro non così lontano - di essere messo a ferro e a fuoco da moltitudini di manifestanti esasperati. Ho buoni, anzi buonissimi motivi per ritenere che anche l’Italia corra questo rischio. Teorico, ovviamente. Ma non ci vuole la palla di vetro per prevedere che se un Tir ad alta velocità va a sbattere contro un muro, il rischio che qualcuno si faccia male esiste. E in questo momento la crisi è il Tir, mentre ciò che si sta facendo per contrastarla è il muro. Posto che il Tir per ora non si può fermare, l’unica cosa su cui lavorare è il muro: spostarlo più indietro, studiare nuove e sostanziose protezioni per attenuarne l’impatto e così via. E invece mi pare che il muro stia ancora al suo posto, mentre il Tir si avvicina. Uscendo dalla metafora, mi pare che in questi tempi difficili, accanto ad atteggiamenti responsabili e costruttivi, emerga anche un voglia di “cogliere l’occasione” per aggredire tutele e diritti, rendere i lavoratori sempre meno protetti e approfittare delle difficoltà come alibi per destrutturate un sistema di garanzie, alla ricerca di nuove e selvagge forme di “deregulation” per sfamare l’avidità dei profitti, che poi sono le stesse che ci hanno portato alla crisi. Come ha chiaramente denunciato Barack Obama. La crisi si affronta con nuove regole, una nuova etica negli affari e una rinnovata solidarietà. Altrimenti non ci lamentiamo del probabile e prossimo “botto ”.

6 marzo 2009, ore 23:00
Tg2 - Punto di vista
“I successi della nuova free press” ne parlano in studio
Gianni Cipriani, direttore responsabile di DNews e
Mario Morcellini, preside di Scienze della Comunicazione dell’università La Sapienza
 
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view post Posted on 22/4/2009, 11:07
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le interviste a uno dei migliori giornalisti italiani

Gianni Cipriani
(ex giornalista de " l'unità ")


radio radicale

http://www.radioradicale.it/scheda/277017/...-del-fabbricato


tg2 - Punto di vista
http://www.tg2.rai.it/rubriche.asp?id_p=22...cerca=&d_cerca=

un giorno avremo Cipriani a Montella per un dibattito?
 
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Non molto tempo fa sul nuovo canale digitale Rai 4, è stato trasmesso un telefilm americano - di cui non ricordo il nome - che aveva una trama molto eloquente: si raccontava la storia di una avvenente (perché i ?belli? sono sempre più simpatici e suscitano maggiore benevolenza) funzionaria dell?Intelligence americana di stanza a Guantanamo, la quale durante un interrogatorio assai stringente aveva fatto morire un detenuto legato al terrorismo islamico. Tutta la sceneggiatura era congegnata in maniera tale che, accanto al racconto del processo ?ingiusto? al quale la funzionaria era stata sottoposta a causa di quella morte, contemporaneamente sviluppava il thriller delle indagini che gli altri 007 facevano, partendo dalla poche parole strappate al detenuto poco prima di morire. Risultato? Quelle frasi smozzicate avevano consentito ai ?bravi agenti? di sventare un attentato (in territorio americano, si badi bene?) che avrebbe provocato molti morti. Il resto del telefilm è facilmente immaginabile: al processo gli avvocati della bella funzionaria incantano giudice e giuria popolare spiegando come quella morte fosse necessaria per salvarne altre. E alla fine, secondo il più classico stile retorico-hollywoodiano arriva il verdetto: non colpevole. Apoteosi conclusiva: assolta dalle ingiuste accuse, la funzionaria-eroina torna al lavoro, dove è accolta dal commosso applauso dei suoi colleghi. La giustizia ha trionfato. Non ci vuole molta fantasia per comprendere che quel telefilm, scritto e realizzato in piena era Bush, appartenesse a quel filone della cinematografia propagandistica funzionale alle imperanti dottrine della Casa Bianca, che volevano mettere in primo piano le cause di giustificazione di avvenimenti, fatti, circostanze e dottrine altrimenti ingiustificabili. E quindi il funzionario dell?intelligence che tortura fino alla morte il prigioniero è l?eroe, perché è così che si salvano i cittadini americani dal terrorismo. Ma non è questo il dato che voglio sottolineare: da sempre settori della cinematografia sono utilizzati come volano propagandistico. E non è certo il telefilm giustificazionista sulle torture ad aver cambiato le sorti del pianeta. Il problema è un altro. E cioè che mentre qualche sceneggiatore si affannava a raccontare una trama avvincente per legittimare la filosofia di Guantanamo, la commissione Servizi armati del Senato degli Stati Uniti, nel suo rapporto sugli abusi commessi nelle carceri americane nel corso della cosiddetta ?guerra al terrorismo? (di cui abbiamo scelto di pubblicare ampi stralci) aveva detto che questi metodi avevano ottenuto tre risultati: 1) diminuzione delle capacità di intelligence e, quindi, delle capacità di poter salvare vite umane; 2) le capacità di resistenza del ?nemico? erano uscite rinvigorite; 3) compromessa l?autorità morale degli Stati Uniti. Considerazioni assai dure, messe nero su bianco - è bene ricordarlo - nel settembre 2008, ben prima della vittoria elettorale di Barack Obama e della rivoluzione dell?intelligence che il nuovo presidente ha promesso. Tra l?altro, va aggiunto, che accanto a queste considerazioni sul fallimento della strategia muscolare e aggressiva, nella relazione della commissione del Senato era stato aggiunto un altro elemento di riflessione: abusi e torture non erano state colpa di pochi e fanatici militari che avevano approfittato del loro ruolo o avevano dato sfogo al loro sadismo. Al contrario, è stato scritto, l?origine di questa degenerazione ?va ricercata nella sfera degli alti funzionari governativi? che hanno ...

http://www.cesint.org/archivio/Archivio%20.../R.I.art.13.htm

Direttore
Gianni Cipriani
Centro Studi Strategie Internazionali

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Se nel metrò ci lavorano i marocchini si rischia l’attentato?

La storia è questa: un marocchino, avendone i requisiti, si è visto rifiutare la domanda di assunzione come operaio all’Atm di Milano, perché possono essere accettate solo quelle degli italiani e dei cittadini Ue. In sede di discussione del ricorso, gli avvocati dell’Atm, dopo aver ricordato che il trasporto pubblico è strettamente connesso alla sicurezza (visti anche i pianificati attacchi da parte degli estremisti islamici al metrò) hanno sostenuto: “il legame personale del cittadino allo Stato dà maggiori garanzie in relazione alla sicurezza e incolumità pubblica”. Giusto, anzi giustissimo. Condivido appieno e applaudo a questa raffinata interpretazione della norma. E’ del tutto evidente che un lavoratore arabo chiuderebbe gli occhi di fronte a un terrorista o, peggio, potrebbe trasformare un bus in un’autobomba. E un autista romeno non potrebbe violentare una passeggera? E un conducente africano a scelta - tanto sono tutti neri - non potrebbe mandare cattivo odore e attentare alla salute dei passeggeri peggio di una bomba chimica? Vi fidereste poi a salire su un mezzo guidato da un messicano che, in spregio alla sicurezza dei trasporti, potrebbe assopirsi all’ora della siesta? Un cinese, curdo, libico, turco o armeno non potrebbe riempire il portabagagli di clandestini? Di autisti israeliani, indiani, esquimesi, aborigeni, sioux e giapponesi non saprei cosa dire. Ma non li voglio a prescindere. Se sono stranieri, allora, non muoveranno un dito, di fronte a terroristi, violentatori, ladri e rapinatori. Ovvio. Si studi nelle scuole la dottisima memoria di questi avvocati. E basta perdere tempo con la Costituzione.
 
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I moralisti che odiano le prostitute ma votano le escort

Ricordate il film “Il moralista” con Alberto Sordi? E’ la storia del severissimo segretario dell’ufficio internazionale della moralità, che in realtà è un losco affarista che gestisce locali notturni. Chissà perché, ma le cronache sulle festicciole a base di pizza e di escort, mi hanno fatto ritornare alla mente quel film. E già, perché basta rileggere due anni di dichiarazioni e di ordinanze per vedere che fino a poco tempo fa il male dei mali del Belpaese era la prostituzione. E giù a leggi e dichiarazioni contro prostitute e clienti: basta con lo sconcio! Però, a pensarci bene, il mio parallelismo è ingiusto. Quelle erano “puttane”, queste altre “escort”. E c’è una bella differenza. Le prime costano 30 euro; le seconde possono chiedere duemila euro o una licenza edilizia; le prime aspettano sul ciglio della strada un’auto che si accosti; le seconde hanno l’autista con macchinoni di lusso e vetri fumè; le prime possono incorrere in sanzioni, le seconde al massimo rischiano di finire candidate in qualche elezione che conta. Eppure, nonostante le differenze, a me non dispiacerebbe se qualche sindaco rifilasse una multa anche ai frequentatori di escort. Se non altro per par condicio con quegli sfigati beccati a pantaloni calati in una stradina buia da una volante: in fin dei conti sono tutti “utilizzatori finali”. Quanto alla “morale” di questa storia, ripensando ai tanti paladini della famiglia, dell’ordine e della decenza, mi viene in mente Petrolini. Il quale, durante un recita disturbata da uno spettatore che rumoreggiava dal loggione, si fermò e disse: “Io non ce l’ho con te. Ma con il vicino tuo che non ti butta di sotto”.

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Le tragiche fatalità provocate dal
profitto senza regole


Non molto tempo fa, all’indomani del tragico terremoto d’Abruzzo, questo giornale lanciò una campagna di grande successo: “un’etichetta per la casa ”, per chiedere maggiore trasparenza e rigore nei controlli sulla qualità e la stabilità delle case. Oggi, se non suonasse come tragica ironia, dovremmo aggiungere a quella sulle abitazioni un’ulteriore campagna: un’etichetta per i vagoni. Perché una direttiva europea in tema già c’è, ma non è ancora applicata. E allora anche in questo caso morte e distruzioni non possono essere imputate alla sola fatalità, ma anche – se non soprattutto - ad un sistema contorto, complicato ma totalmente inefficace che rende impossibili controlli degni di questo nome e che chiude gli occhi di fronte a manutenzioni che puntualmente non vengono fatte o sono rimandate. Siamo alle solite, verrebbe da dire. Nei trasporti (come per le case) c’è qualcuno che ci guadagna, che ci specula. E qualcuno che muore. E più in generale ci sono tragedie che vengono provocate dall’avidità, dalla voglia di guadagni di pochi furbi e irresponsabili che poi hanno un costo sociale fin troppo grande. Ora occorre fare alcune richieste: che le normative sulla sicurezza nei trasporti siano rigorosamente esaminate e i “buchi neri” (come evidenziamo nella nostra inchiesta) prontamente rimossi; che mai e poi mai in nome del profitto si rinunci a fare manutenzione. E più in generale che i ladri del futuro e delle vite altrui vengano messi nelle condizioni di non nuocere. Ma su quest’ultima ipotesi, purtroppo, non sono ottimista.

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Afghanistan, un fallimento lungo otto anni


Il paradosso del pasticcio afghano è racchiuso in un recentissimo rapporto appena pubblicato dall’Ufficio droghe e crimine delle Nazioni Unite: l’anno scorso la produzione di oppio è calata del 10%. Bene, si dirà. E invece no: male. Anzi malissimo perché il calo non è stato un successo ottenuto dalla forze internazionali o dal governo “democratico”, ma una necessità imposta dai signori della droga per tenere alto il prezzo dello stupefacente. Come mai? Perché nell’Afghanistan “liberato” dai talebani le cose vanno male ma così male che è stato prodotto e venduto molto più oppio di quanto il mercato internazionale potesse smerciarne, con conseguente crollo dei prezzi. Segno inequivocabile del fallimento delle politiche internazionali che hanno riguardato Kabul. Il prossimo ottobre saranno passati 8 anni dall’intervento militare e dalla liberazione (o occupazione) dell’Afghanistan. In questi 8 anni tutti hanno spiegato la necessità di quell’intervento con il bisogno di democrazia, la lotta al terrorismo,la lotta al traffico di droga, la pace e il rispetto dei diritti umani. Ma cosa di questi obiettivi è stato raggiunto in un tempo che supera di tre anni la durata della seconda guerra mondiale? Niente. O poco. La retorica sulle missioni di pace sulla lotta agli oscurantisti che imponevano il burka e quant’altro hanno a lungo oscurato l’assenza di qualsiasi strategia concreta. Ma i nodi vengono al pettine. I produttori di droga, protetti ora dai talebani ora dai signori della guerra (talora alleati delle forze internazionali) fanno affari come e più di prima. La popolazione civile muore quotidiana mente in attentati e bombardamenti e odia talmente tanto i “liberatori” , da rimpiangere, se non sostenere i talebani. Quanto poi a democrazia, dopo 8 anni se ne vede solo una parvenza, mentre gli osservatori dell’Ue accusano il presidente Karzai di brogli, al cui confronto quello recentemente accaduto in Iran sembra una barzelletta. Quanto ai burka, al rispetto dei diritti umani i passi in avanti sono stati davvero limitati e forse non hanno superato i confini della città di Kabul. Di fronte a questo scenario, che troppo spesso viene taciuto, è del tutto evidente che i nostri militari sono sempre più a rischio. È sbagliato parlare di terrorismo, quando ci sono migliaia di armati sostenuti da gran parte della popolazione. è una guerra –la guerra asimmetrica – combattuta tra forze irregolari e guerriglieri che mordono e fuggono. Anche questo sarebbe bene dirlo con chiarezza. E domandarci, seriamente cosa si può fare per l’Afghanistan, riconoscendo il fallimento di questi lunghissimi 8 anni che hanno prodotto guerra e morte, niente pace e solo un briciolo di democrazia.

Gianni Cipriani

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Edited by Claudio Bozzacco - 21/11/2009, 07:35
 
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