| Anticipo su saxetum l'articolo che ho scritto per la prossima uscita del Monte. L'intenzione originale era quella di scrivere, appunto, un articolo sulla Chiesa di San Benedetto A mano a mano che il lavoro procedeva, però, cresceva la mole degli argomenti coinvolti sempre più mi rendevo conto di come la questione fosse meritevole di ben altro livello di impegno ed approfondimento. Mi ero quasi scoraggiato, anche a causa di concomitanti impegni lavorativi. Per mesi il materiale raccolto ha giaciuto silente, disperso in vari file del mio PC. E lì sarebbe rimasto chissà per quanto se l'amministratore, nella serata di ieri, non mi avesse di nuovo sollecitato quasi "manu militari" la consegna di un articolo per Il Monte entro le 12 di oggi. Per ottemperare alla brutale ingiunzione ho dedicato parte della mattinata a redigere il seguente testo in cui ho cercato di condensare, in brevi flash, alcuni fatti e talune ipotesi. La forma è molto laconica ed essenziale poiché la fretta, si sa è nemica del bello. Neppure escludo la presenza di imperfezioni od errori sintattici, stilistici e dattilografici. E' lavoro di un paio d'ore, ma credo spese abbastanza bene. Né è venuto fuori il sottostante articoletto e col materiale rimasto ce n'è abbastanza per scriverne un altro. Per il prossimo numero, però.
Non molti sono a conoscenza delle ragioni storiche per nel nostro paese esiste una chiesa dedicata a San Benedetto (meglio nota come chiesa di Sant'Anna). Eppure la presenza benedettina nel territorio di Montella, risalente quanto meno al periodo della dominazione longobarda (571-1076 D.C.) è stata cospicua e significativa. Documentalmente provata è la donazione da parte del feudatario di Montella, Simone di Tivilla nel luglio del 1158, della Chiesa di San Giovanni del Gualdo (gualdo, da wald = bosco)all'importante abbazia benedettina di Cava dei Tirreni. In uno alla Chiesa -sita nell'odierna località Cerrete - venivano donati i terreni annessi e le persone di stato servile che li lavoravano. Ancora più antica pare essere stata la comparsa dell'ordine fondato dal santo di Norcia nelle zone ricomprese nell'attuale tessuto urbano montellese. Con certezza si può dire che, nel luogo dove oggi sorge la Chiesa di San Benedetto era insediata una badia o meglio grancia benedettina, alle dipendenze del monastero di San Benedetto di Salerno, prima, e di quello della SS.Trinità di Cava dei Tirreni, in seguito. Ne è rimasta traccia in una serie di documenti riportati dallo Scandone e precisamente: il Catasto onciario del 1752, comprendente una "rubrica delle Badia di San Benedetto di Montella"; un istrumento del 23 marzo 1591 per notar Paolo Trevisani, in cui si attesta che alcuni montellesi avevano preso in fitto "granciam terre montelle" (sic!); un atto pubblico del 20 novembre 1597 per notar Paolo Boccuti, dove si menziona un Fabio Verderosa, quale locatario della grancia di Montella ed un Giovan Angelo Palatucci, subaffittuario. Sull'antichità della fondazione della grancia concordano maggiori storici locali, il Ciociola e lo Scandone, che la collocano temporalmente negli ultimi due secoli della dominazione longobarda (IX-X secolo). Il Ciociola, nella sua opera “Montella. Saggio di memorie critico cronografiche” ne fa risalire l'istituzione a tal Erimano, Conte di Conza, che, il due settembre 901, avrebbe fatto donazione ai Benedettini di Salerno del casale Serpillo (che il Canonico colloca nella contrada montana detta di Serrapullo), con alcune corti in "Balinolo" e in "Montilla", già appartenute al gastaldo Potone, suo zio. Diversa l'ipotesi dello Scandone, che sulla scorta di un famoso ma controverso documento del 762 (forse il più antico scritto in cui compaia il nome Montella) ricollega l'insediamento benedettino locale all'antichissimo monastero di Santa Sofia in Benevento. Evidenti tracce emergono pure dalla toponomastica locale: nei pressi di Sant'Anna vi è una via intitolata a San Mauro, pupillo e discepolo di San Benedetto e fondatore a Granfeuil, in Francia, di un monastero. Vissuto nel VI secolo, figlio di un nobile romano, Mauro venne affidato, ancora impubere,al santo, di cui divenne il collaboratore prediletto Ad ispirazione benedettina potrebbe ricondursi la stessa esistenza, a breve distanza dal casale di San Mauro, di una Chiesa eretta al culto di San Leonardo (anch'egli legato alla storia nascita del monachesimo comunitario e “stanziale”) con annesso ospedale per pellegrini, già collabente nel 1534. Non solo. Da altri documenti riportati dallo Scandone nell' Alta Valle del Calore ci viene notizia dell'esistenza di due fondi agricoli, uno denominato Corte di San Benedetto e l'altro Corte San Mauro, benefici ecclesiastici. E' ancora lo Scandone ad ipotizzare che "a breve distanza dalla Corte di San Benedetto fosse stata eretta dai monaci, lungo la strada che menava dalla "corte del duca" al castello, una piccola cappella a San Mauro" e che "da questa dovè prendere il nome il casale che tuttora lo conserva, sebbene della cappella siasi perduto persino il ricordo". "E' anche probabile - continua lo storico- che tal casale fosse in origine abitato da persone, che coltivavano la terra del monastero e specialmente la corte di San Mauro". (AVC, I, p. 66, n. 4). Proprio per l'amministrazione di questi fondi sarebbe stata creata in Montella una "grancia", gestita da un nucleo di monaci facenti capo alla casa-madre si Salerno. Ma cos'era una grancia? Il termine Grancia si riferisce ad un insediamento monastico, di solito di limitate dimensioni, con annessi granai, depositi, stalle ecc.: In sostanza una piccola azienda agricola, gestita da monaci e dipendente da una casa madre. Queste strutture conobbero enorme diffusione soprattutto nei secoli XI e XII d.c., a seguito delle cospicue donazioni di territori, immobili e servi da esponenti della nobiltà feudale in favore di monasteri ed abbazie. Capitava sovente che a gestire i possedimenti così acquisiti venisse inviato un manipolo più o meno consistente di religiosi, con compiti di amministrazione e di organizzazione del lavoro. A tutto ciò non era estraneo lo scopo di favorire il reinsediamento umano ed agricolo in località che nei secoli precedenti erano state abbandonate ovvero di favorire l'utilizzo o la bonifica di nuove aree agricole. Attorno a tali centri, infatti, sorgevano e si sviluppavano insediamenti abitativi destinati ad ospitare prima i servi della Grancia (che ne lavoravano i terreni) con le loro famiglie e successivamente tutti coloro che si fossero posti al servizio e sotto la protezione dei monaci. Non pare azzardato prospettare una simile ricostruzione storica anche per quanto riguarda la "nostra" badìa o grancia. Tra l'VIII ed il X secolo, con l'apparente consolidarsi del potere longobardo, iniziò una prima fase di ripopolamento di quelle aree pianeggiante che erano state abbandonate a seguito della caduta dell'impero romano e delle successive vicende storiche: dalle devastanti guerre gotiche, alle guerre civili tra i principi longobardi. A Montella, come altrove, alcune delle zone spopolate furono oggetto di donazione al laborioso ordine benedettino, con l'impegno da parte di quest'ultimo di insediare sul posto un nucleo di monaci che fungessero da punto di riferimento sia economico (per la gestione dei fondi) che spirituale (cura delle anime). Venne così edificata la chiesa di San Benedetto, a cui fu annessa con ogni probabilità oltre ad un ricetto per monaci e famigli vari, almeno un granaio e delle stalle. Quanto alla dotazione fondiaria tutto porta a presumere che essa fosse abbastanza vasta e che ricomprendesse, oltre alcuni terreni in località Prati, tutte le aree coltivabili (dette in antico "corti" e più recentemente "campi") esistenti nel perimetro della ex - parrocchia di San Benedetto, erede diretta, sotto un profilo ecclesiatico, dell'antica grancia e quindi: 1) l'area oggi occupata dalla Villa "De Marco" - nella quale la chiesa di San Benedetto e la sagrestia della stessa sono sostanzialmente inglobate-e quelle circostanti, fino al limitare del "giardino" della corte (idest sino all'odierna Piazza Palatucci; 2) l'area oggi occupata dalle scuole elementari e quella adiacenti via Serrabocca (antico casale, anch'esso ricadente nel perimetro di quella che fu la parrocchia di San Benedetto); 3) le aree a ridosso del vallone Santa Maria (lato San Mauro, Piazzavano) dalla zona "Avanti Corte" (esclusa) fino al Vico Ferri. Ai margini dei terreni di competenza della grancia sorsero invece gli insediamenti abitativi dei servi, dei coloni e di tutti coloro che in un modo o nell'altro avevano a che fare con la coltivazione di detti terreni: San Mauro, Piazzavano, Serrabocca. Appare pertanto da condividere l'illuminante intuizione dello Scandone, avvalorata, peraltro, dalle peculiarità urbanistiche delle zone sopra cennate. Queste sono infatti caratterizzate da insediamenti abitativi di modeste dimensioni, distanti fra loro in quanto dislocati proprio a ridosso di grosse estensioni coltivabili (cui appaiono legati da uno strettissimo nesso funzionale), ma comunque facenti capo alla medesima parrocchia. Nè può tralasciarsi di considerare come proprio quelli di San Mauro, Piazzavano e Serrabocca siano i nuclei abitativi più antichi presenti in quest'area, che solo negli ultimi due secoli ed in particolare a partire dagli anno '60-70, è venuta assumendo l'aspetto che oggi le conosciamo e che per centinaia di anni è stata una delle meno urbanizzate di Montella, tanto da ospitare il cimitero e l'ossario comunale (di cui la Chiesa del Purgatorio costituiva la cappella) fino ai primi decenni del secolo XIX. Nulla di certo è dato sapere sul quando e sul perché la grancia, intesa come insediamento monastico, ebbe a finire. E' probabile che il suo progressivo declino sia stato dovuto alla crisi conosciuta dall'ordine benedettino a partire dal secolo XIV anche a causa della "concorrenza" esercitata dai cosiddetti ordini mendicanti. Sopravvisse comunque nel titolo di Badìa o Grancia, una eco del glorioso passato. Il residuo patrimonio fondiario continuò ad essere amministrato dai benedettini di Cava dei Tirreni - succeduti ai confratelli di Salerno - che lo cedevano in fitto a propri fiduciari. che a loro volta lo subaffittavano ai locali. A seguito dell'occupazione napoleonica (1806) i beni della Badìa, analogamente a molti altri beni ecclesiastici, vennero confiscati e venduti a privati cittadini: lo stesso edificio sacro venne requisito e destinato ad ospitare i soldati francesi. Tra il secolo XVI ed il secolo XVIII la Badia di San Benedetto di Montella venne eretta in commenda, gestita da un rettore o commendatario che amministrava la Chiesa ed i suoi beni, percependone le rendite, mentre all'esercizio del culto provvedeva un sacerdote. Il commendatario era spesso un importante ecclesiastico: nel 1591 risulta investito di tale titolo il Cardinale Aldobrandini, mentre, nel 1752, la Badia era posseduta, come consta dal catasto onciario (una sorta di censimento), "dallo eminentissimo cardinale Orsini". Proprio in ragione del suo essere commenda cardinalizia, la Chiesa di San Benedetto restò autonoma dalla Collegiata e, all'atto della fondazione della stessa, non entrò a far parte del cosiddetto "capitolo". Solo in epoca successiva accanto a quella della badìa venne edificata una chiesa parrocchiale, questa dipendente dal capitolo che l'amministrava tramite un vicario-curato. Nel 1707, scrive infatti il Canonico Ciociola, "due chiese ivi esistevano, l'una col titolo di Badia e l'altra col titolo di Parrocchia". Quest'ultima si rese indipendente dalla Collegiata nella seconda metà del secolo diciottesimo e nel 1855 venne dotata di propria fonte battesimale e del diritto di tenere propri registri, separati da quelli della Chiesa madre. Sul finire del '700 (quando, per impulso del Vescovo di Nusco, Monsignor Bonavenura, quasi tutti gli edifici di culto di Montella vennero ampliati, ricostruiti od abbelliti) entrambe le chiese vennero demolite e sostituite dall'attuale.
Edited by Percival - 8/11/2008, 16:20
|