Calipari, prosciolto il marine Lozano

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 25/10/2007, 15:16
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


Calipari, prosciolto il marine Lozano
La terza Corte d'Assise di Roma ha dichiarato il difetto di giurisdizione e disposto il non luogo a procedere

Mentre l'opinione pubblica e l'attenzione della massa superficiale e colpevolista si concetra su Clemente Mastella, rendendolo agli occhi dei garantisti un simpatico sannita, per il quale nasce spontanea una sottile solidarietà, scivolano nel dimenticatoio le vicende più importanti della repubblica, della sovranità nazionale e della giustizia.

Riporto le dichiarazioni di Casson e mi eclisso nel dispiacere e nella sconfitta momentanea, convinto che la giustizia è solo rinviata.

CASSON: «RINUNCIA ALLA SOVRANITA' NAZIONALE» - «Non è soltanto una rinuncia alla giurisdizione - ha commentato il senatore dell'Ulivo ed ex pm Felice Casson -. È una grave rinuncia alla sovranità nazionale. Pensavo che certi tempi e certe soggezioni, anche giuridiche, fossero passati: evidentemente non è così. Con questa decisione si è rinunciato alla ricerca della verità».


nella foto Mario Lozano, sospettato dell'omicidio di Nicola Calipari che veglia su Saxetum.

Edited by Claudio Bozzacco - 25/10/2007, 16:49

Attached Image: lozano.jpg

lozano.jpg

 
Top
Barry Lyndon
view post Posted on 19/6/2008, 07:09





oggi probabilmente la Cassazione metterà la parola fine sulla vicenda giudiziaria, decideranno se processare o meno Lozano
 
Top
view post Posted on 19/6/2008, 09:00
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


Garzie per la segnalazione Barry!
Mentre ipotizziamo pagliuzze nell'occhio di Chavez ci ritroviamo un bel travo nel nostro occhio!!
In una larga fetta di opinione pubblica italiana c'è un fervente movimento atlantista, questo stesso forum lo dimostra, sembrerebbe che gli alleati angloamericani durante la seconda guerra mondiale avrebbero dispensato cioccolato alla popolazione affamata e per questo ancora oggi godrebbero di solidarietà e rispetto che però negli anni si è trasformato in asservimento.
Il caso Calipari lo dimostra, probabilmente dall'Unità d'Italia ad oggi non esiste un singolo caso di oblio nazionale come quello innescato dopo il fattaccio del 4 marzo 2005.

Se qualcuno ne conosce un'altro lo posti, diversamente il caso Calipari sarebbe la gravissima prova che la sovranità del popolo italiano è limitata e che delle sanguinose conquiste costituzionali ed istituzionali possiamo farci una bella frittata.

Forse siamo un pò distratti da quei movimenti trasversali alla politica che strillando ci ricordano di lucidare o riordinare questo o quel busto, enfatizzando strumentalmente le gesta ancora da accertare di persone che magari sono stati trascinati dal feretro in situazioni e su esposizioni che magari non avrebbero mai voluto.


«Lozano non fu l'unico a sparare»
La rivelazione in un documentario sulla morte di Nicola Calipari durante la liberazione Sgrena


L'ex soldato Usa, Mario Lozano: ha sparato lui contro il convoglio di Calipari e Sgrena. Ma forse non è stato il solo (Ansa)

NEW YORK —Mario Lozano non fu l'unico a sparare contro Nicola Calipari, il dirigente del Sismi ucciso a Bagdad il 4 marzo 2005 dopo la liberazione della giornalista del ManifestoGiuliana Sgrena, sequestrata il mese prima dalla Jihad islamica. Gli altri «cecchini» non furono identificati perché la scena del «delitto» fu ripulita in fretta dagli americani, per impedire all'Italia di investigare.

Sono solo alcune delle provocatorie tesi avanzate da Calipari Friendly Fire, il documentario di Fulvio Benelli ed Emanuele Piano della Oyibo Productions che verrà trasmesso da Al Jazeera International il 25 giugno. Alla vigilia dell'appello in Cassazione che, oggi, il 19 giugno deciderà se archiviare la vicenda giudiziaria, il documentario mette in guardia dalla facile tentazione di seppellire una delle più dolorose pagine di storia recente. «Abbiamo le prove che gli americani avevano individuato la casa dov'era detenuta la Sgrena ed erano pronti al blitz», spiega Benelli, che ha investigato la vicenda per più di un anno. «Era questione di ore, ma, avendolo saputo, i servizi italiani hanno agito d'urgenza perché temevano la morte dell'ostaggio nelle operazioni».

Dalle perizie, inedite, coordinate dal professor Domenico Compagnini di Catania e depositate presso lo studio legale Gamberini (quello della Sgrena) si evincerebbe che gli spari non vennero da una sola arma, come giurano gli americani, per i quali si trattò di «tragico incidente». «Non è stato possibile trovare la maggior parte dei bossoli perché gli americani ripulirono subito la scena — teorizza il giornalista/ regista — Impedendo per oltre un mese alla nostra polizia scientifica di analizzare il veicolo». Ma dall'analisi svolta poi dagli italiani risulterebbe che il solo Lozano non poteva essere artefice dei 58 spari accertati (ma forse molti di più) che colpirono l'auto. La tesi è avvalorata dal diretto interessato. «La mia M240B è l'arma più grande di tutte — racconta nel film —. Quando spara non riesco a sentire se anche altri sparano».

Al suo ritorno in Italia, la Sgrena dichiarò che forse qualcuno, tra gli americani, non voleva farla tornare viva in patria per punirla dei suoi reportage anti-Usa. Washington aveva criticato i nostri servizi segreti che non avevano esitato a pagare ingenti riscatti per la liberazione di altri ostaggi, qualcuno allora parlò di «lezione esemplare degli Usa all'Italia ». Alla domanda «c'è stato un complotto?» Lozano risponde: «Dopo l'11 settembre tutto è possibile, potrei anche essere vittima di una cospirazione».

Più tardi il militare contraddice la versione ufficiale Usa secondo cui la strada in cui si trovavano, la Route Irish, era presidiata per l'imminente passaggio dell'allora governatore Usa a Bagdad. L'argomentazione dei funzionari Usa («Non eravamo a conoscenza dell'operazione Sismi») viene smentita dalla presenza all'aeroporto del Capitano Green, il comandante americano che all'arrivo di Calipari gli aveva consegnato, coordinandosi con il generale italiano Mario Marioli, il badge per muoversi in zona. Secondo l'ex 007 Wayne Madsen, intervistato nel video, il segnale lanciato da Calipari era stato intercettato dall'Nsa che non si premurò di passarlo ai militari al fronte. «Madsen ha lasciato l'Nsa — afferma Benelli — Perché indignato dalla policy del "prima sparo e poi domando chi sei" usata in Iraq. Gli americani hanno imposto la loro versione, addossando l'errore agli italiani che non hanno neanche saputo chi era la persona che avrebbe dovuto dare la comunicazione a Lozano e non l'ha data. La catena di comando non è mai stata indagata».

L'incidente sarebbe «la riprova del caos ai vertici». «In Iraq gli americani non hanno il polso della situazione e ciò spiega perché la guerra va male — precisa Benelli —. Dal documentario emerge che i soldati sono lasciati liberi di fare ciò che vogliono». La vedova di Calipari, che ha visto in anteprima e molto apprezzato il documentario, è tra quanti oggi chiedono al governo Berlusconi luce sulla vicenda. In una seduta al Senato, subito dopo la morte di Calipari, il premier dichiarò che l'Italia avrebbe fatto tutto il possibile per accertare la verità. «Se non lo farà — conclude Benelli —, il Paese creerà un terribile precedente per il prossimo Calipari, costretto ad andare in un territorio nemico a liberare la nuova Sgrena».


corriere sera
Alessandra Farkas
19 giugno 2008
 
Top
Percival
view post Posted on 19/6/2008, 09:08




CITAZIONE (Claudio Bozzacco @ 19/6/2008, 10:00)
Se qualcuno ne conosce un'altro lo posti, diversamente il caso Calipari sarebbe la gravissima prova che la sovranità del popolo italiano è limitata e che delle sanguinose conquiste costituzionali ed istituzionali possiamo farci una bella frittata.

http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_del_Cermis
 
Top
Percival
view post Posted on 19/6/2008, 09:14




Repubblica.it

Dieci anni dopo il pilota chiede clemenza e rivela: ci fu un accordo sulla condanna
I due militari Usa non vogliono essere radiati con disonore
"Cermis, patto segreto
dietro il processo"
di ANDREA VISCONTI

NEW YORK - A dieci anni dalla tragedia del Cermis il pilota e il co-pilota del Prowler che il 3 febbraio 1998 tranciò i cavi della funivia di Cavalese non sono ancora convinti di meritare di essere radiati dai Marines con disonore. È in corso infatti una procedura in appello per Richard Ashby e Joseph Schweitzer che quel giorno erano ai comandi di un aereo decollato da Aviano che aveva sorvolato Cavalese in maniera spericolata.

Velocità eccessiva e violazione dei limiti minimi di altitudine di volo furono i fattori esaminati dalla Corte marziale che scagionò i due Marines dall'accusa di omicidio colposo. Furono però radiati con disonore dalle forze militari per avere interferito con la giustizia. Avevano nascosto un videotape che riprendeva le manovre spericolate di quel giorno e lo avevano distrutto gettandolo il un falò. Una punizione all'acqua di rose: Ashby fu condannato a sei mesi di reclusione, di cui ne scontò solo quattro per buona condotta, e Schweitzer non passò neppure un giorno in carcere.

Andando in appello i due Marines hanno dimostrato di non accettare neppure questo verdetto così benevolo. Vorrebbero vedere rovesciata la radiazione con disonore per ottenere la pensione e altri vantaggi amministrativi. Richard Ashby ha chiesto che il giudice conceda la clemenza: bisognerà aspettare il 15 febbraio per vedere se l'autorità giudiziaria militare è intenzionata a concederla. Ashby basa la sua richiesta su quello che secondo lui fu un vizio nelle procedure giuridiche.

Sostiene infatti che ai tempi del processo che si tenne a Camp Lejeune, in North Carolina e durò quasi un anno - ci fu un patto riservato fra accusa e difesa per scagionare lui e il co-pilota delle accuse più gravi riservando però loro una bacchettata sulle mani, forse per soddisfare le pressioni che venivano dall'Italia. Ashby e Schweitzer ritengono che dieci anni fa i due team legali si erano messi d'accordo per mettere sotto il tappeto l'accusa di omicidio colposo multiplo. Ma l'accordo prevedeva di tenere duro per quanto riguarda l'accusa di avere occultato e distrutto le prove.

La loro colpevolezza significava perdere tutti i benefici di una carriera militare. Non soltanto la pensione ma anche condizioni favorevoli come il diritto a mutui a tassi agevolati, assicurazioni mediche e sulla vita basso costo e l'accesso a banche che offrono prodotti finanziari attraenti esclusivamente per militari sia attivi che in pensione. Ad Ashby, che oggi ha 42 anni, non andava giù di perdere tutti questi privilegi ed è andato in appello. A prendere in mano la situazione è stato il generale Joseph Weber, comandante del Marine Corps Forces Command, che ha messo in moto un procedimento per rivisitare il caso di Ashby e Schweitzer.

Nel caso di quest'ultimo la decisione è arrivata il 28 novembre scorso. Il generale Weber ha deciso che la procedura giuridica fu corretta e non c'era motivo di cambiare il verdetto. Era stato questo giovane di Long Island a distruggere le prove qualche giorno dopo la tragedia. Schweitzer il 1 novembre scorso aveva testimoniato davanti al tribunale di Camp Lejeune facendosi perfino venire le lacrime agli occhi. Aveva dichiarato di non aver mai visionato le immagini del videotape girate quel lontano 3 febbraio. "Accetto la responsabilità per le mie azioni e rispetto la decisione che fu presa dalla giuria", aveva detto Schweitzer.

Per Ashby invece la questione è ancora aperta e non è detto che Weber debba pronunciarsi in modo analogo. Una cosa il generale non ha il potere di fare: non può aumentare la sentenza che fu imposta allora. Potrebbe eventualmente ridurla eliminando le conseguenze amministrative negative. Si saprà solo dopo il 15 di febbraio se la clemenza è una strada percorribile.

Quel giorno di dieci anni fa c'erano altri due piloti dei Marines a bordo del Prowler. Anche loro furono sottoposti a Corte marziale ma sia William Rainey che Chandler Seagraves furono giudicati non colpevoli in quanto non solo non erano ai comandi ma, seduti dietro, avevano anche scarsa visibilità delle manovre. Nonostante questo sorprende perfino coloro che seguono da vicino il sistema di giustizia militare Usa il fatto che Seagraves abbia continuato a volare.

Anzi nel settembre 2002 gli fu data addirittura l'opportunità di distinguersi diventando pilota d'élite con i cosiddetti "Angeli Azzurri". Da allora ha accumulato oltre 1900 ore di volo ottenendo tre medaglie e vari riconoscimenti. Una volta ha perfino partecipato al noto David Letterman Show in tarda serata facendo battute sui privilegi riservati a questi piloti.



Attached Image: cerm.jpg

cerm.jpg

 
Top
luigino2
view post Posted on 19/6/2008, 10:25




Ed ecco uno dei motivi perchè le basi militari Usa devono essere chiuse...
Quando lo si dice, ti prendono per filo-sovietico...Strano il mondo eh?
 
Top
DANIELE87
view post Posted on 19/6/2008, 12:57




dove ci sono le basi nato c'è la liberta....dove non ci sono (vedi in cina dove sta il dalai lama).....

Edited by Percival - 19/6/2008, 16:04
 
Top
Barry Lyndon
view post Posted on 19/6/2008, 13:53




non se ne fa nulla...

da repubblica.it
Roma, 14:08
CALIPARI: DOPO TESI PG AVVOCATO STATO SI RIMETTE A CORTE
L'Avvocatura dello Stato ha deciso di "rimettersi alla decisione della Corte" di Cassazione dopo aver ascoltato le tesi, esposte dal pg Montagna, secondo il quale il soldato Usa, Mario Luis Lozano, accusato dell'omicidio volontario di Nicola Calipari, sarebbe coperto da un' "immunita' funzionale" che non permette al giudice italiano di processarlo per quanto accaduto. L'avvocato dello Stato, Massimo Bachetti, che rappresenta la Presidenza del Consiglio dei Ministri, non aveva presentato il ricorso alla Suprema Corte in qualita' di parte civile, ma si era associato alle richieste avanzate dalla Procura di Roma di annullare la sentenza con cui la Corte d'Assise della Capitale aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Lozano, ritenendola viziata nelle motivazioni. Stamane, pero', durante l'udienza pubblica del processo Calipari, l'avvocato Bachetti ha deciso di mantenere una "posizione agnostica", dati "gli elementi nuovi sull'immunita' esposti dal Pg", pur "confermando che l'impianto della sentenza impugnata e' viziato in diritto. L'Avvocatura dello Stato, nella sua arringa, non si e' espressa "ne' in senso favorevole alla giurisdizione ne' in senso contrario". "Il profilo nuovo emerso dalle tesi del Pg ha una sua forza - ha spiegato Bachetti - e il mio, dunque, non e' un dietro-front, perche' ribadisco in ogni caso i vizi di motivazione della sentenza della Corte d'Assise. Il fatto e' che e' cambiata la posizione della pubblica accusa". Le indicazioni di Palazzo Chigi, anche provenienti dal precedente Governo, rileva l'avvocato dello Stato, "sono quelle di vedere l'evoluzione del procedimento e le richieste della Procura Generale della Cassazione. Io ho deciso di astenermi dall'esprimermi sul punto e mi sono rimesso alla Corte".
 
Top
luigino2
view post Posted on 19/6/2008, 17:47




CITAZIONE (DANIELE87 @ 19/6/2008, 13:57)
dove ci sono le basi nato c'è la liberta....dove non ci sono (vedi in cina dove sta il dalai lama).....

Infatti, come è noto, in Francia (e in svariati altri paesi) c'è la dittatura...
 
Top
view post Posted on 3/3/2009, 23:03
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


4 marzo 2005 - 4 Marzo 2009
Per non dimenticare

La salma dell'agente, nel terzo anniversario della sua scomparsa, è stata traslata nella cappella di famiglia presso il cimitero del Verano a Roma, mentre la procura di Roma e i legali della famiglia Calipari hanno presentato un ricorso in Cassazione contro il non luogo a procedere, per difetto di giurisdizione, da parte della terza Corte d'assise di Roma, contestandone i presupposti di legge.

L'ex marine si era dimostrato soddisfatto ("Ho ricevuto un trattamento corretto. Fu un terribile incidente"), mentre la Rosa Villecco Calipari, vedova dell'agente del Sismi, avevano così commentato la sentenza: "Hanno ucciso Nicola per la seconda volta, e stavolta in nome del popolo italiano".

La Corte presieduta dal giudice Angelo Gargani, richiamandosi ad una consuetudine del diritto internazionale che assegna allo stato di origine la giurisdizione sui contingenti militari impegnati all'estero, ha dichiarato il difetto di giurisdizione per Mario Lozano, l'ex soldato Usa che il 4 marzo 2005 uccise a Bagdad l'agente del Sismi Nicola Calipari.

Il nome di Mario Luis Lozano era emerso grazie ad una decriptazione fatta da un giovane blogger di Bologna sugli omissis del rapporto redatto dalla Commissione d'inchiesta statunitense. Il dipartimento di Giustizia di Washington aveva già comunicato che non sarebbero stati resi noti "ufficialmente" i nomi del componenti del commando militare Usa.

Il ministro degli Esteri e vicepremier Massimo D’Alema, dopo l’incontro del 16 giugno 2007 avuto con il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, si era detto dispiaciuto che, sulla vicenda Calipari, “non ci sia stata collaborazione da parte americana".

L'8 febbraio 2007 il Giudice per le Indagini Preliminari di Roma Sante Spinaci ha deciso il rinvio a giudizio del marine Usa Mario Luis Lozano, che la sera del 4 marzo 2005 al check point alle porte di Bagdad sparò e uccise il funzionario del Sismi. Secondo la magistratura italiana Nicola Calipari fu ucciso volontariamente, per fermarlo e impedirgli di portare a termine la sua missione. Nell'inchiesta si ipotizzava ''un delitto politico'' che ledeva gli interessi di sicurezza dello Stato italiano.

4 marzo 2005, Route Vernon, Bagdad
“Mancano 700 metri e ci siamo, mi ha detto Nicola, poi ci ha colpito la prima raffica. Nicola mi ha spinta giù tra i sedili della macchina e si è buttato sopra di me, evidentemente per proteggermi". Così Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto sequestrata a Bagdad un mese prima e liberata grazie ad un'operazione coordinata dall'agente del SISMI, racconta i drammatici momenti della morte di Nicola Calipari.
E' la sera del 4 marzo 2005. L'agente del Sismi ha appena liberato Giuliana Sgrena.
Insieme viaggiano a bordo di una Toyota Corolla guidata da un collega di Calipari, il maggiore del SISMI Andrea Carpani. La vettura imbocca la rampa che dalla route Vernon si immette sulla Irish; è l'ultimo tratto di strada prima di raggiungere l'areoporto. La strada è buia. Nessun segnale lascia prevedere la presenza di un posto di blocco. Carpani procede sicuro. Poi la tragedia.
Una manciata di secondi e il "fuoco amico" di una pattuglia del 69° reggimento “irlandese” uccide Nicola Calipari.
Ma come è potuto accadere?
Perchè quel posto di blocco volante (Block point in gergo) non aveva le segnalazioni luminose previste dalle regole d'ingaggio?
Possibile che gli americani non sapessero della missione di Nicola Calipari?
Sono molti gli interrogativi ancora aperti per capire se si è trattato soltanto di una tragica fatalità o di qualcosa di più.

La commissione d'inchiesta congiunta
Per la prima volta nella loro storia gli Stati Uniti accettano di istituire una commissione d’indagine militare congiunta, a guidare la delegazione italiana è il diplomatico Cesare Ragaglini. Ma la conclusione dell’indagine non porterà a una verità condivisa dai due paesi. Secondo la versione americana i militari hanno rispettato le regole d’ingaggio, la questione è chiusa. L’Italia non accetta la versione americana. I dubbi italiani riguardano il funzionamento del posto di blocco, la difficoltà di comunicazione e soprattutto i quattro, cinque secondi , immediatamente precedenti alla sparatoria, nei quali la pattuglia avrebbe dovuto seguire determinate procedure di avvertimento e di segnalazione della sua presenza. In Italia intanto si apre un procedimento giudiziario contro ignoti affidato ai sostituti procuratori Ionta, Saviotti e Amelio.Gli omissis della relazione statunitense che nascondono i nomi dei soldati coinvolti, vengono facilmente aggirati con una banale operazione informatica da un blogger italiano, che svela i nomi di tutti i soldati americani coinvolti. Il 22 dicembre 2005 l’indagine italiana si chiude con il rinvio a giudizio per omicidio volontario e tentato omicidio a carico del soldato Mario Lozano. Ma Lozano è irreperibile.

Chi era Nicola Calipari?
Nicola Calipari nasce a Reggio Calabria il 23 giugno del 1953, sposato, due figli: Silvia (20 anni) e Filippo (14). La moglie Rosa lavora al CESI, l’ufficio che coordina i servizi segreti italiani. Nel 1979 entra in Polizia e viene assegnato alla squadra mobile di Genova e nel 1982 arriva alla Questura di Cosenza. Nel 1988 minacciato dalla mafia calabrese, è costretto a trasferirsi in Australia con tutta la famiglia. L’anno successivo approda alla questura di Roma come dirigente della squadra mobile. Successivamente dirige una sezione della Criminalpol e nel 1999 l’ufficio stranieri del Ministero degli Interni. Nel 2002 diventa caporeparto delle operazioni all’estero del SISMI, il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, che opera alle dipendenze del Ministro della Difesa e sotto la supervisone del Presidente del Consiglio.

In Iraq
Il 13 giugno del 2003, dopo la fine delle operazioni militari su larga scala, viene inviato il primo contingente italiano a sostegno della ricostruzione irachena. Anche una squadra del SISMI viene inviata a Baghdad: circa venti persone, coordinate da Nicola Calipari. IL SISMI informa il governo del rischio rapimenti, ma non basta.
Il 13 aprile vengono rapite quattro guardie del corpo private italiane sulla strada che da Baghdad porta ad Amman. Il giorno successivo arriva l’annuncio dell'uccisione di uno degli ostaggi: Fabrizio Quattrocchi. L'8 giugno vengono liberati con un blitz gli altri tre. Fonti giornalistiche ipotizzano una trattativa e il pagamento di un riscatto, sempre smentita dalle autorità.
Il 20 agosto 2004, viene rapito il giornalista free lance Enzo Baldoni sull’autostrada che da Bagdad porta a Najaf. Questa volta la trattativa non sarà possibile, verrà giustiziato sei giorni dopo.
Il 7 settembre 2004 vengono sequestrate due operatrici umanitarie italiane Simona Torretta e Simona Pari dell'associazione "Un ponte per...". Vengono liberate il 28 settembre in seguito a una trattativa condotta dagli uomini del SISMI. Per Nicola Calipari e la sua squadra, la liberazione delle due ragazze è un successo clamoroso, ma devono rimanere nell’ombra e lasciare agli altri la raccolta degli elogi.

Il rapimento di Giuliana Sgrena
Il 30 gennaio 2005 si vota in Iraq: Giuliana Sgrena viene inviata per conto del giornale Il Manifesto a Baghdad per seguire le prime elezioni irachene del dopo Saddam. Dopo qualche giorno, il 4 febbraio la giornalista viene rapita mentre esce dall’università: sono le 13 e 50. Poco dopo attraverso Internet viene rilasciato un ultimatum al governo italiano affinché ritiri le truppe dall’Iraq entro settantadue ore; lo firma l’“Organizzazione della Jihad Islamica”. Nicola Calipari si attiva immediatamente. Passano i giorni e la preoccupazione aumenta. Calipari e i suoi lavorano nell'ombra mentre in tutto il paese monta la mobilitazione per il rilascio della giornalista. In poco tempo si riesce a stabilire un contatto con i rapitori e ad avviare la trattativa per la liberazione, ma la situazione è molto difficile. Poi la svolta. Il 4 marzo del 2005 Calipari e alcuni suoi collaboratori arrivano a Baghdad. E' il momento buono.
“Ho sentito una voce. Sono Nicola, sono Nicola non temere sono amico di Gabriele e di Pier, adesso sei libera. Non temere.” La Sgrena ricorda così il momento della sua liberazione e l’incontro con Nicola Calipari. Sono le 18.30 di venerdì 4 marzo 2005 in un punto imprecisato di Baghdad; dopo un mese esatto di prigionia Giuliana Sgrena viene liberata. Si tratta ora soltanto di arrivare all’aeroporto e di imbarcarsi per l’Italia.

Verso l'areoporto, il checkpoint 541
Quella sera piove a Baghdad e lo spostamento dell’ambasciatore John Negroponte, invitato a cena a Camp Victory, avviene in auto invece che in elicottero. Il convoglio dell’ambasciatore deve passare sulla Route Irish. Per questo vengono formati dei posti di blocco dai militari americani. Tra questi il BP (Block Point) 541, situato su una rampa della Route Vernon. Il suo compito è di evitare che qualsiasi veicolo si immetta nella Route Irish.
La macchina dell'ambasciatore passa ma il Blocco non viene smobilitato.
La Toyota Corolla con a bordo Nicola Calipari e Giuliana Sgrena sta passando proprio sulla rampa della Route Vernon per immettersi sulla Irish e proseguire verso l’aeroporto. Sono le 20 e 50. L'automobile si avvicina inconsapevolmente al blocco. Una prima raffica la colpisce, poi gli altri colpi. Il “fuoco amico” uccide Nicola Calipari e fersice Giuliana Sgrena.
Nell’inchiesta americana i militari hanno dichiarato che l’auto viaggiava a forte velocità e nonostante i ripetuti avvertimenti non si è fermata. Ma l’autista della macchina e la stessa Giuliana Sgrena hanno dato una ricostruzione completamente diversa. Le procedure da seguire, le regole d’ingaggio al checkpoint sono o non sono state rispettate? Il checkpoint deve essere caratterizzato dai seguenti elementi: segnaletica in lingua locale e in inglese in corrispondenza della linea d’allerta a una distanza di 200 – 400 metri dalla linea di stop, con coni riflettenti in funzione di restringimento della carreggiata a una sola corsia in corrispondenza della linea di avvertimento. Segnaletica che impone al veicolo di arrestarsi a cento metri dalla linea di stop. Linea di stop con ostacoli tipo cavalli di frisia o barriere di cemento. Il BP 541 è allestito in maniera completamente diversa, non c’erano cartelli, non c’erano coni riflettenti. La mancanza di questi segnali rende impossibile per una macchina capire che c’è un posto di blocco, dopo una rampa in salita e dietro una curva. Secondo le regole d’ingaggio il mitragliere deve tenere nella mano sinistra un potente faro che deve indirizzare sul parabrezza dell’auto, un altro militare deve indirizzare il fascio di un laser sempre sul parabrezza, nel caso l’autovettura non si arresti il mitragliere deve appoggiare il faro sull’autoblindo e sparare dei colpi traccianti al lato dell’autovettura per segnalare il posto di blocco. Se l’auto ancora non si ferma, il mitragliere deve sparare al motore dell’autovettura, solo dopo è autorizzato a sparare all’interno dell’abitacolo. Secondo la perizia italiana queste procedure non sono state rispettate. Le testimonianze italiane parlano di un'andatura normale, di un improvviso fascio di luce e quasi contemporaneamente dell'arrivo dei colpi.
 
Top
irpinia
view post Posted on 4/3/2009, 09:54




molto interessante, il reportage di stamattina su rai tre, "la storia siamo noi", riguardante la morte di Calipari.....
con la testimonianza della Sgrena...tutto molto toccante.
personalmente mi ha fatto molto rabbia, per cio' che poi non e' stato.....ovvero l'assoluzione, studiata a tavolino a mio avviso, del militare Lozano.....a mio avviso la colpa era di tutt e 7 i militari del posto di controllo e non solo di chi ha materialmente sparato....
 
Top
view post Posted on 4/3/2009, 20:24
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


Quello di Calipari è un caso eclatante di sudditanza giuridica, politica e militare dell'italia.
Cosa sarebbe capitato se i ruoli si fossero invertiti.

Cioè se ad un posto di blocco di militari italiani in uno stato straniero avessero ammazzato
John Negroponte, capo della cia in iraq nel 2005.
Per me ci avrebbero almeno cannoneggiato.

jpg

Edited by Claudio Bozzacco - 8/5/2012, 20:55
 
Top
view post Posted on 2/11/2010, 22:18
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


di Luigi Malabarba

E’ assai attendibile che quanto recuperato da Wikileaks corrisponda a quanto conservato negli archivi informatici del Pentagono. Si tratta concretamente del pochissimo che i comandi americani abbiano a parziale e pur contraddittorio conforto alla tesi del “tragico incidente”, in un luogo dove delle autobomba sarebbero ovviamente potute arrivare. Non importa se le fonti siano esponenti vicini ad Al Qaeda in carcere, che non è chiaro perché dovrebbero dare una mano agli Usa se non perché sotto tortura o comunque per finalità anche comprensibilmente diverse dalla ricerca della verità.
La verità politica, che non potrà diventare verità giudiziaria per il boicottaggio americano alle indagini della Procura della Repubblica, è che è difficilmente confutabile che il plenipotenziario ambasciatore americano a Baghdad, John Dimitri Negroponte, abbia creato le circostanze del tragico incidente per metter fine alla linea negoziale italiana per la liberazione degli ostaggi, anche di altri paesi. E con successo, bisogna ammetterlo.
Quello stesso Negroponte, teorico della guerra sporca dal Vietnam alla creazione del Battaglione 316 a sostegno dei contras antisandinisti in Honduras, a responsabile politico-militare in Iraq e Afghanistan, a cui è stata affidato il compito di ristrutturare tutti i servizi di sicurezza americani negli anni scorsi e i cui archivi non sono certo nelle sedi ufficiali del Pentagono.
Sarebbe ingenuo pensarlo, sapendo che, a richiesta del Congresso o del Senato americano, quel materiale, ancorchè non divulgabile, il Ministero della Difesa dovrebbe trasmetterlo all’autorità inquirente di Washington.
Per questo Wikileaks, preziosissimo in gran parte dei casi, può anche diventare portatore sano di una velenosa patologia mistificante, se non si considera come funzionano i servizi.
Vediamo di ricostruire almeno un pezzo di quella vicenda. Quando nel marzo 2006, a un anno dall’uccisione a Baghdad dell’agente del Sismi Nicola Calipari mentre riportava a casa Giuliana Sgrena, ben pochi credettero alle rivelazioni del detenuto iracheno Mustafa Mohamed Salman. Tantomeno il pool antiterrorismo della Procura di Roma che si apprestava a chiedere il rinvio a giudizio del fuciliere scelto Mario Lozano per omicidio volontario al posto di blocco 541 della Route Irish, l’autostrada che collega la capitale irachena al suo aeroporto. I pm Ionta, Saviotti e Amelio da alcuni mesi avevano invano inviato a Baghdad una richiesta di rogatoria internazionale nei confronti di Salman, che accusava lo sceicco Hussein del rapimento della giornalista del Manifesto e – unica versione esistente sul mercato che potesse essere compatibile con la tesi difensiva americana – di aver avvisato il Ministero dell’Interno iracheno (e di conseguenza il comando militare americano) che un’autobomba si stava dirigendo all’aeroporto.
Assai più credibile, infatti, e più agghiacciante, appariva il racconto – ma chi si ricorda più – di Wayne Madsen, già funzionario della National Security Agency e consulente del progetto di intercettazione Echelon, secondo cui le autorità americane monitoravano Calipari durante l’intero periodo della sua missione in Iraq e che avrebbero saputo esattamente la sua posizione al momento della sparatoria il 4 marzo del 2005. A conforto della testimonianza di Madsen c’erano, ad esempio, le registrazioni delle telefonate di Calipari alla Presidenza del Consiglio a Roma mentre si dirigeva in auto verso l’aeroporto con Giuliana Sgrena e l’altro agente del Sismi Andrea Carpani, una volta liberata la giornalista. Il Pentagono, autore di quelle registrazioni, le aveva fatte circolare per gettare ulteriore discredito sull’operazione salvataggio: basti pensare ai riferimenti al Festival di Sanremo in cui il governo Berlusconi pensava di celebrare il successo dell’impresa…
Quello stesso Pentagono che qualche mese prima aveva montato una campagna contro i servizi italiani e la squadra di Nicola Calipari, autori o complici delle liberazioni di tre dei quattro contractors italiani rapiti, poi delle due Simona e anche di due giornalisti francesi; tutti liberi – si diceva – al prezzo di finanziare i gruppi terroristi, in spregio del divieto esplicito imposto agli alleati dall’ambasciatore John Negroponte.
Ma aggiungerei anche, per testimonianza personale, che quando visitai con altri parlamentari italiani membri dell’allora Copaco (oggi Copasir) la sede centrale della Cia a Langley nel 2004, nell’illustrare gli strumenti storici e gli attuali sistemi d’intercettazione in particolare nei teatri di guerra come l’Iraq, i funzionari dei servizi americani ci avevano dimostrato come l’apparato consentisse di monitorare al dettaglio ogni spostamento e di registrare ogni comunicazione nei luoghi sensibili. Come la Route Irish, appunto.
Ironia della sorte, a quell’incontro era presente anche Nicola Calipari, che quindi - e non solo grazie alla conferma avuta in quell’occasione, è ovvio – nelle sue missioni era ben cosciente di essere “osservato”, al punto che più volte ha dovuto destreggiarsi per evitare il fiato sul collo del comando americano e dei servizi dei paesi alleati (i ritardi nella liberazione di Chesnot e Malbrunot furono dovuti a queste interferenze alleate, per essere espliciti).
Come se non bastasse, Calipari – oltre ad aver comunicato il proprio arrivo a Baghdad e ottenuto i lasciapassare dal comando americano, che difficilmente può aver pensato a una gita di piacere del numero due del Sismi incaricato dal governo italiano di fare il possibile per ottenere la liberazione della giornalista rapita – al momento del ritrovamento dell’auto con Giuliana a bordo aveva un elicottero americano che gli volteggiava sopra come più volte hanno dichiarato Andrea Carpani e la stessa Sgrena.
Ma veniamo alla “novità” della rivelazione di Scheik Hussein, come risulta dai files ufficiali del Pentagono ottenuti da Wikileaks, risalenti al 1° novembre 2005, nel corso di un interrogatorio dei servizi giordani (e confermato, come abbiamo visto, dal terrorista Mustafa Salam qualche mese più tardi): Hussein, una volta intascati i 500mila dollari del riscatto pagato dal governo italiano – forse l’unica verità del racconto, anche se il pagamento non è avvenuto al momento della liberazione, ma prima e neanche in Iraq – avrebbe informato dell’arrivo all’aeroporto di un’autobomba il Ministero dell’interno iracheno, che a sua volta avrebbe allertato il comando americano, che immediatamente avrebbe messo in guardia la blocking position 541 sulla Route Irish.
A parte che non si capisce perché Hussein, dopo aver fatto affari importanti – i più importanti, secondo gli americani – proprio attraverso i sequestri e i riscatti pagati dagli italiani, avrebbe dovuto tendere una trappola proprio a Nicola Calipari. A parte alcuni problemi non secondari di congruenza con gli orari e i tempi di permanenza della pattuglia attivata per garantire il passaggio di Negroponte diretto alla base di Camp Victory. E’ proprio dall’inchiesta ufficiale americana sull’uccisione di Calipari che si è saputo che un guasto al sistema Voip non permise al comando americano di comunicare con la pattuglia sulla Route Irish quando l’ufficiale di collegamento italiano presso l’aeroporto, generale Mario Marioli, informò i colleghi americani che la Toyota Corolla grigio chiaro del Sismi stava rientrando su quell’autostrada e di garantirne il passaggio. Come sarebbe arrivata allora a quella stessa pattuglia l’informazione di Hussein sull’autobomba in arrivo? Mistero. E trascuriamo pure l’errore di Hussein sul tipo di auto, perché la Chevrolet blu – questo è il tipo di auto indicato da Hussein - poteva essere quella con esplosivo a bordo con cui Giuliana Sgrena era stata lasciata dai sequestratori in centro a Baghdad. Ma poi perché il comando militare Usa si sarebbe dovuto fidare della confidenza di quello che, almeno per loro, era uno dei capi di Al Qaeda in Iraq? Altro mistero.
Tra i vari dubbi che restano, a mio avviso, in questa vicenda e che sono il frutto della mancata istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta indispensabile a fronte dell’inibizione dell’azione giudiziaria per un fatto così grave, c’è quello delle eventuali complicità americane in Italia contro la linea trattativista che giustamente coinvolgeva, pur con motivazioni non coincidenti, tutta la maggioranza politica di centrodestra e tutta l’opposizione, estrema sinistra compresa. Per avere qualche idea in più di quale fosse il “partito americano” in Italia, quello che ha tentato di depistare Calipari persino dopo la liberazione di Giuliana Sgrena (e che Calipari ha volutamente ignorato!), basterebbe una lettura attenta dei giornali italiani all’indomani dell’omicidio di Nicola, quando tutti si inchinavano di fronte al suo sacrificio. Tutti, tranne chi parlava dei furbetti che così facendo finanziano Al Qaeda; quelli che “gli americani non potevano sapere” perché i nostri li stavano imbrogliando per non farsi beccare; quelli che Mario Marioli è sì il più alto ufficiale dell’esercito italiano in Iraq e che fa ottenere le credenziali a Calipari all’aeroporto di Baghdad, “ma non sa niente” di cosa ci stia a fare il capo del Sismi in quel paese: non ha mai visto neanche la tv o la prima pagina del Corriere della sera per mesi…Sulla pelle di Calipari si è condotta una guerra senza quartiere per mettere le mani su tutto l’apparato di sicurezza del paese, estromettendo – con le buone o con le cattive – ogni possibile concorrente. In un ambiente di sciacalli non dovrebbe meravigliare.
 
Top
view post Posted on 13/1/2012, 17:59
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


Passano gli anni e mentre il ricordo si affievolisce la vicenda si va chiarendo.
Infatti qualche mese fa dalle rivelazioni di wikileaks uscì la notizia che la sparatoria sull'auto che trasportava Nicola Calipari e la giornalista del manifesto fu messa in atto perchè i rapitori della giornalista avevano dato la falsa notizia che all'aeroporto si stavano recando degli attentatori. Così fu preparato il checkpoint e il resto della storia lo sappiamo tutti.

Quindi i diplomatici usa già avevano questa informazione però per averla abbiamo dovuto aspettare un pò di anni, sono state fatte cause, indagini e altro.

Se vi trovate a Roma qualche volta andatevi a fare una passeggiata nel parco di piazza Vittorio. Qui è stato dedicato un giardino all'agente caduto in Iraq.

jpg

Inoltre nei pressi di questo giardino se siete fortunati potete assistere ad esercizi di Tai Chi.

Video

Edited by Claudio Bozzacco - 14/1/2012, 09:46
 
Top
view post Posted on 8/5/2012, 19:53
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


Buonasera cari,


della vicenda di Calipari si è interessato Carlo Lucarelli dedicandogli una puntata del suo programma.
Questo è il link dove potrete trovare maggiori informazioni ed il sito dove dovrebbero pubblicare il video.

http://www.lucarelliracconta.rai.it/dl/por...b0e3ec260b.html

Tuttavia considerato che per una buona fruizione dei siti della Rai sono necessari computer potenti che non tutti hanno, sarebbe meglio publicare il video in un player leggero come youtube.
:D

 
Top
24 replies since 25/10/2007, 15:16   853 views
  Share