1 gennaio 1948 - 2008 : La Costituzione compie 60 anni

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view post Posted on 14/12/2007, 12:49
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1 gennaio 1948, nasce la Costituzione

Origini e nascita
Lo Stato italiano nasce, da un punto di vista istituzionale, con la legge del 17 marzo 1861 che attribuisce a Vittorio Emanuele II, «Re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «Re d'Italia». È la nascita giuridica di uno Stato italiano (anche se altri Stati hanno già portato tale nome nel passato, dai Goti ai Longobardi per finire al periodo napoleonico). La continuità tra il Regno di Sardegna e quello d'Italia è normalmente sostenuta in base all'estensione dell'applicazione della sua legge fondamentale, lo Statuto albertino concesso da Carlo Alberto di Savoia nel 1848, a tutti i territori del regno d'Italia progressivamente annessi al regno sabaudo nel corso delle guerre d'indipendenza. La conservazione dell'ordinale dinastico da parte di Vittorio Emanuele, e l'estensione dello Statuto albertino ai territori annessi hanno portato gli storici a parlare di "piemontesizzazione" dello stato italiano ad opera dei Savoia.

Lo Statuto albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel 1848 e rese l'Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Era una tipica costituzione "ottriata", ossia graziosamente concessa dal sovrano e, da un punto di vista giuridico, si caratterizzava per la sua natura "flessibile", ossia derogabile ed integrabile in forza di atto legislativo ordinario. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi (benché il potere esecutivo fosse detenuto completamente dal re, sempre più spesso il Consiglio dei ministri rifiutò di restare in carica quando non gradito alla camera elettiva).

Il primo Parlamento dello Stato unitario, in principio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 2% della popolazione; nel 1882 il diritto di voto fu portato al 7% della popolazione, con riforme nel 1912 e 1918 il diritto fu esteso fino a una forma di suffragio universale maschile.[1]

Malgrado l'articolo 1° proclamasse il cattolicesimo religione di stato le relazioni fra la Santa Sede e lo Stato furono praticamente interrotte tra il 1870 il 1929, per via della Questione romana.

A causa della mancanza di rigidità dello Statuto, col giungere del fascismo lo Stato fu deviato verso un regime autoritario dove le forme di libertà pubblica fin qui garantite vennero stravolte: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei Deputati fu abolita e sostituita dalla «Camera dei fasci e delle corporazioni», il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista, mentre il partito unico fascista non funzionò come strumento di partecipazione, ma come strumento di intruppamento della società civile e di mobilitazione politica pilotata dall'alto. Tuttavia lo Statuto albertino, nonostante le modifiche, non fu formalmente abolito.

I rapporti con la Chiesa cattolica vennero invece sanati e rinsaldati tramite i Patti lateranensi, che ristabilirono ampie relazioni politico-diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato italiano.

Nel 1943, verso la fine della seconda guerra mondiale, Benito Mussolini perse il potere, il re Vittorio Emanuele III nominò il maresciallo Pietro Badoglio per presiedere un governo che ripristinò in parte le libertà dello statuto ; iniziò così il cosiddetto «regime transitorio», di cinque anni, che terminò con l'entrata in vigore della nuova Costituzione e le successive elezioni politiche dell'aprile 1948, le prime della storia repubblicana. Ricomparvero quindi i partiti antifascisti costretti alla clandestinità, riuniti nel Comitato di liberazione nazionale , decisi a modificare radicalmente le istituzioni per fondare uno Stato democratico.

Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano ad entrare nel governo, non fu possibile al re di riproporre uno Statuto albertino eventualmente modificato e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, era messa in discussione. La divergenza, in clima ancora bellico, trovò una soluzione temporanea, una «tregua istituzionale», in cui si stabiliva: la necessità di trasferire i poteri del re al figlio (ci fu un proclama del re il 12 aprile 1944), il quale doveva assumere la carica provvisoria di luogotenente del regno, mettendo da parte temporaneamente la questione istituzionale; quindi la convocazione di una Assemblea Costituente incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale, eletta a suffragio universale (giugno 1944)[2]. Fu poi esteso il diritto di voto alle donne (febbraio 1945)[3] e, ormai raggiunto il silenzio delle armi, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (marzo 1946).





I principi fondamentali
Secondo la dottrina la Costituzione è caratterizzata da alcuni principi non revisionabili fondamentali che ne hanno ispirato la redazione.

Principio personalista
La Costituzione accoglie la tradizione liberale e giusnaturalista nel testo dell'art. 2: in esso infatti si dice che "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo". Tali diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è agevolmente rinvenibile nella parola "riconoscere" che implica la preesistenza di un qualcosa. Tale impostazione, stimolata dalla componente d'ispirazione cattolica dell'assemblea costituente, fu il frutto di una sentita reazione al totalitarismo e alla concezione hegeliana dello Stato che in esso si propugnava.


Principio pluralista
È tipico degli stati democratici. Pur se la Repubblica è dichiarata una ed indivisibile, sono riconosciuti i diritti dell'uomo nelle formazioni sociali (art. 2), la libertà associativa (art. 18), la libertà delle confessioni religiose (art. 8), dei partiti politici (art. 49) e dei sindacati (art. 39). È riconosciuta altresì anche la libertà delle stesse organizzazioni intermedie, e non solo degli individui che le compongono, in quanto le formazioni sociali meritano un ambito di tutela loro proprio. In ipotesi di contrasto fra il singolo e la formazione sociale cui egli è membro, lo Stato non dovrebbe intervenire. Il singolo, tuttavia, deve essere lasciato libero di uscirne.


Principio lavorista
Ci sono riferimenti già agli artt. 1 e 3. Il lavoro non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale. Non serve ad identificare una classe. È anche un dovere, ed eleva il singolo. Nello stato liberale la proprietà aveva più importanza, mentre il lavoro ne aveva meno. I disoccupati, senza colpa, non devono comunque essere discriminati.


Principio democratico
Già gli altri tre principi sono tipici degli stati democratici, ma ci sono anche altri elementi a caratterizzarli: la preponderanza di organi elettivi e rappresentativi; il principio di maggioranza ma con tutela della minoranze (anche politiche); processi decisionali (politici e giudiziari) tendenzialmente trasparenti.

Rapporti civili
dall'articolo 13 al 28

Le libertà individuali: gli articoli dal 13 al 28 affermano che la libertà è un valore sacro, che il domicilio è inviolabile, che ogni cittadino può soggiornare e circolare liberamente.

le libertà collettive: gli articoli dal 17 al 21 affermano che i cittadini italiani hanno il diritto di riunirsi e di associarsi liberamente; che ogni persona ha il diritto di professare liberamente il proprio credo; che ogni individuo è libero di professare il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione.


Rapporti etico-sociali
dall'articolo 29 al 34

la famiglia gli articoli dal 29 al 31 affermano che la repubblica italiana riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e afferma anche che è di dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli.

la salute l'art.32 afferma che la repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo.

l'arte e la cultura l'art.33 afferma che l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

la scuola l'art.34 afferma che la scuola è aperta a tutti.


Rapporti economici e rapporti politici
l'organizzazione del lavoro: gli articoli dal 35 al 47 affermano che la repubblica tutela il lavoro, il lavoratore, e le organizzazioni sindacali.

le elezioni: l'art.48 afferma che sono elettori tutti i cittadini italiani; e che il voto è personale, libero e segreto.

le tasse: l'art.53 afferma che tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Edited by Claudio Bozzacco - 14/12/2007, 13:18
 
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www.montella.eu
view post Posted on 16/12/2007, 19:47




che bello, essere cittadino della nazione con la migliore e più bella costituzione mai scrita. Peccato che il nostro corpus legis sia a dir poco abnorme (quasi il più grande del mondo) e mal gestito...
 
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Gianluca Capra
view post Posted on 18/12/2007, 14:57




Effettivamente di leggi in Italia ne abbiamo tante e spesso sono anche datate per i nostri tempi.La Costituzione è un baluardo per la democrazia e la convivenza civile..peccato che in tante sue parti sia
" inapplicata ".Più di riformare tante sue parti , io mi preoccuperei di rendere effettive le conquiste civili enunciate in essa. Mah.
 
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Percival
view post Posted on 16/9/2008, 07:20




Pietro Calamandrei spiega la Costituzione italiana (file mp3)




Piero Calamandrei - Nato a Firenze nel 1889. Si laureò in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all'Università di Messina; nel 1918 fu chiamato all'Università di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.
Partecipò alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente nel 218° reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello. Subito dopo l'avvento del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'«Unione Nazionale» fondata da Giovanni Amendola. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe né chiese la tessera continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaborò al «Non mollare», nel 1941 aderí a «Giustizia e Libertà» e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione.

Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al «duce» che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo.
Nominato Rettore dell'Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, all'ottobre 1947.
Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione.

I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario. Nel 1948 fu deputato per «Unità socialista». Nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di «Unità popolare» assieme a Ferruccio Parri, Tristano Codignola e altri.

Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Università di Firenze, direttore con Carnelutti della «Rivista di diritto processuale», con Finzi, Lessona e Paoli della rivista «Il Foro toscano» e con Alessandro Levi del «Commentario sistematico della Costituzione italiana», nell'aprile del 1945 fondò la rivista politico-letteraria «Il Ponte». Morì a Firenze nel 1956.

(a cura della rivista Il Ponte)
 
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view post Posted on 18/11/2009, 11:46
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Riporto un articolo molto interessante inerente la costituzione e l'educazione civica.
L'importanza del rispetto della costituzione andrebbe ricordata sempre.
Non considerare la costituzione è come se
in una partita di calcio si cacciasse l'arbitro.
Di solito nelle partite di calcio non accade mai.
Ma per capire cosa succederebbe basta fare riferimento al caos istituzionale che ci sta travolgendo.


Leggendo, nei giorni scorsi, la notizia e i commenti sull’inserimento » del nuovo corso di «Cittadinanza e Costituzione» nelle scuole di ogni ordine e grado, mi sono trovata a fare alcune riflessioni. Nei miei anni di scuola si studiava educazione civica, materia in realtà alquanto negletta anche dagli insegnanti che il più delle volte preferivano assorbirla nelle materie più importanti — italiano, storia, latino — sempre in affanno sui tempi nel programma. Non conosco dunque la Costituzione, e confesso di non averla mai letta neppure in seguito, malgrado ciò mi considero una persona che continua, nonostante le vicende pietose che ci circondano e ci avviliscono, a rispettare le leggi dello Stato, a credere nell’importanza del bene comune e ad amare il mio Paese, pur rattristata dalla vergogna a cui tutti i cittadini per bene — che sono, per fortuna, la maggioranza — vengono sottoposti da una classe politica il cui primo tratto, al di là delle parti, sembra essere quello dell’immaturità.

Così non posso non chiedermi, quali sono le cose che concorrono davvero, nell’educazione, a fare di un bambino un essere capace del vivere civile? Sono forse la grande quantità di corsi e discorsi che invadono da anni la scuola italiana — sulla tolleranza, sul multiculturalismo, su un generico irenismo, ed ora anche sulla Costituzione? Lo dubito, anzi ho la sensazione che tutta questa marea di ossessivo buonismo rischi di produrre effetti opposti. Per quale ragione si deve rispettare il diverso, si deve preferire sempre la pace, si deve essere buoni quando è piuttosto evidente che il mondo è dei violenti e che la corruzione paga molto più dell’onestà? Ci salverà forse la conoscenza degli articoli della Costituzione da questo degrado? Credo che tutti questi corsi non siano molto diversi delle guarnizioni di una torta di gesso esposta nella vetrina di una pasticceria. Ci sono ciliegine, canditi, panna montata, tutto sembra molto appetitoso ma in realtà, sotto quella torta, c’è solo una vuota anima di cartone.

Forse bisogna tornare a considerare il fatto che l’educazione ha bisogno soprattutto di due qualità: di semplicità e di coerenza. La semplicità è la Cenerentola di tutte le teorie educative partorite negli ultimi decenni dai pedagoghi; come le sorelle della fiaba, l’hanno rinchiusa in un sottoscala e da lì si guardando bene di farla uscire. La semplicità è guardare in faccia la natura dell’uomo e capire di cosa ha bisogno, questa natura, per crescere il più possibile armoniosamente. La semplicità è fare capire che la vita è, prima di tutto, politically incorrect e che essere uomini vuol dire sapersi rapportare con la conflittualità e la contraddittorietà dei nostri giorni nei quali non sempre sventola l’iridata bandiera della pace. In qualsiasi campo si operi, la via semplice è sempre la più difficile perché ci lascia inermi, sforbiciando via tutto ciò che non è essenziale, tutto ciò che allontana dal cuore del problema. La patina di buonismo, del politically correct, evita di mettere a fuoco ciò che è più importante, e cioè che il male è dentro di noi, è una della nostre possibilità e che, per crescere, dobbiamo decidere in che modo rapportarci ad esso.

Si tratta di una scelta individuale che è in stretta relazione con l’idea di coscienza. E la coscienza conduce a quel nucleo misterioso dell’uomo che lo rende essere capace di libertà. È questo che ci differenzia dalle scimmie antropomorfe, con le quali pur condividiamo una gran quantità di codici etologici. Entrambi abbiamo impressi nei nostri geni i comportamenti che ci consentono di creare una comunità stabile e di mutua assistenza, con la differenza che, da loro, comanda il maschio adulto e più abile nel tenere insieme il gruppo mentre da noi, purtroppo, anzianità di anni e saggezza di governo non vanno sempre di pari passo.

Crescere vuol dire saper scegliere e sapere che, scegliendo, si rinuncia a qualcosa. Ma sono proprio quelle rinunce a costruire l’impalcatura solida della vita. In un mondo bulimico che sempre più prospetta l’esistere come una corsa convulsa in cui afferrare più cose e più occasioni possibili, in cui ci viene proposto di essere tutto e il contrario di tutto, e che questo sia conciliabile, il discorso della scelta diventa quanto mai necessario. La scelta, naturalmente, richiede l’entrata in campo di un’altra grande derelitta di questi tempi, la volontà. È la volontà che ci permette di scegliere, che ci permette di costruire e di dare un senso preciso ai nostri giorni. Senza esercizio della volontà, la nostra vita diventa qualcosa di non molto diverso da quella degli oggetti di plastica che cadono nei fiumi e vengono trascinati dalla corrente fino ad arenarsi in un’ansa.

È vero, viviamo in tempi complessi, tempi in cui avvengono mutazioni di portata straordinaria e queste mutazioni ci intimoriscono, ci fanno temere che le vie usuali dell’educazione non siano più in grado di creare gli uomini di domani. Ed è forse proprio questo timore a far proliferare sistemi educativi sempre più farraginosi e astrusi, sempre più omologanti, volti a inseguire il nuovo, qualunque esso sia. Quest’ansia, però, ci fa dimenticare che la natura profonda dell’uomo è sempre la stessa e che costruire senza aver prima fissato le fondamenta dell’etica vuol dire innalzare possenti edifici sulla sabbia.

Ricordo una serata trascorsa con un bambino di sette anni. Tra un discorso sui Gormiti e uno sugli Invincibili, non ricordo come, ci siamo trovati a parlare del bene e del male e del senso che essi avevano nelle nostre vite. Scegliere il bene vuol dire scegliere la vita, gli ho detto, costruire un mondo in cui le persone imparano, anche sbagliando, a volersi bene, scegliere il male vuol dire invece scegliere la morte, scegliere la menzogna che si insinua nei giorni, falsificando i rapporti e trasformando l’amore nel ghigno di una maschera. «Io voglio essere buono. Che cosa devo fare?» mi ha chiesto a un certo punto. Ci siamo seduti allora sul divano e abbiamo ragionato a lungo su tutto ciò che, nella sua vita di bambino, portava al male o al bene. «C’è una voce dentro di te», gli ho detto. «E questa voce ti dice quello che è giusto e quello che è sbagliato. Tu devi imparare solo ad ascoltarla». A quel punto lui, altrimenti iperattivo, si è sdraiato, ha chiuso gli occhi e, con un sorriso beato, ha detto: «Questo per me è un momento bellissimo» e si è addormentato. Sì, è davvero un momento bellissimo per i bambini capire che il bene e il male sono in noi e che, in noi, c’è sempre la voce della coscienza ed è questa voce che ci spinge a scegliere.

Susanna Tamaro

Edited by Claudio Bozzacco - 3/12/2009, 09:46
 
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