E ora i delfini temono l'uomo

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view post Posted on 2/2/2008, 09:48
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E ora i delfini temono l'uomo
Ad allontanarli anche il traffico marittimo in crescita e l’inquinamento


Di delfini socievoli con l’uomo, presso le nostre coste non se ne vedono più: nel tempo sono stati tutti uccisi. È giunto di recente dalle Baleari un allarme per la ricomparsa del morbillivirus, l’Icram segnala la necessità di un censimento della popolazione nel Mediterraneo, e ci si accorge intanto che qui gli esemplari desiderosi di simpatizzare con la nostra specie sembrano scomparsi. Di mare in mare, l’accoglienza cambia. Tesoro nazionale riconosciuto dal governo delle Turks and Caicos Island, West Indies, è il tursiope Jojo. Apparve nel 1980 a Dean Bernal, suo attuale tutore, durante una nuotata. Il cetaceo lo seguì fin quasi a riva e il giorno dopo tornò. Diffusa la notizia della sua presenza, la gente voleva toccarlo; lui interpretò alcuni approcci come aggressioni e piazzò qualche morso. Le autorità ne meditarono la cattura, ma Bernal dimostrò quanto l’avvicinamento spontaneo di un animale selvatico sia evento prezioso, purché non lo si tratti come un pupazzo.

Da allora Jojo, protettissimo, è una delle maggiori attrattive delle isole, con conseguente incremento di turismo e guadagni. I delfini non sono nuovi ad accostarsi alle persone, sia da soli che in branco. Se però nella Tin Can Bay di Queensland, Australia, intere famiglie di socievoli suse indopacifiche sono la gioia dei visitatori, da noi oggi tendono comprensibilmente a girare al largo. A Scauri, metà anni 80, un tursiope si avventurò in mezzo ai bagnanti per giocare. I pescatori di zona lo massacrarono a colpi di arpione. Più a lungo visse Filippo, frequentatore dal 1998 dei lidi di Manfredonia, dopo che una sua compagna fu rinvenuta morta grazie a tre colpi di arma da fuoco. Seguito dall’affetto popolare ma sgradito ad alcuni, il 6 agosto 2004 fu trovato esanime a un miglio dal porto vecchio, con il corpo squarciato. Nel dorso, l’autopsia rinvenne pallini da caccia presenti già dal 2000. «Casi come quello di Filippo hanno per protagonisti esemplari atipici, che per qualche ragione si sono separati dalla loro società naturale e azzardano il contatto con altri mammiferi, ovvero gli esseri umani», spiega Giuseppe Notarbartolo di Sciara, fondatore e presidente onorario del Tethys Research Institute. «Tale surrogato li sottopone a notevoli rischi, trattandosi fra l’altro di animali assai vulnerabili. La sola vicinanza alle nostre attività è assai pericolosa».

Del resto, il Mediterraneo è sempre stato zona di intensa pesca, e i tursiopi guardati come concorrenti: «Ancora nel XIX secolo qui la presenza dei delfini era abbondantissima: diversi paesi disposero premi in denaro per promuoverne l’uccisione. Consuetudine interrotta in Italia solo nel dopoguerra». Oltre agli stermini, i delfini nostrani hanno dovuto fare i conti col degrado dell’habitat: «Nuovi porti, traffico marittimo in aumento, eliche e rischi di collisione, spadare, inquinamento industriale, acustico e chimico, composti che si depositano nei loro grassi corporei abbassandone le difese immunitarie — spiega Giancarlo Lauriano, ricercatore dell’Icram per le specie protette —. Per studiare strategie di tutela, urge un censimento organico che fornisca gli attuali numeri della popolazione». Le contraddizioni esistono anche nei Paesi più avanzati in merito di gestione sostenibile. «Sulla Gold Coast australiana sorge un parco a tema pieno di cetacei sofferenti in cattività — segnala Ilaria Ferri, direttore scientifico degli Animalisti Italiani —. Mentre da noi un decreto del 2001 vieta il nuoto in vasca con i tursiopi e i programmi di terapia assistita, responsabili pure di incidenti e malattie. In tutti gli spettacoli acquatici l’addestramento avviene attraverso la fame: lontani dal gruppo e sottoposti a dura deprivazione alimentare, i cetacei muoiono, oppure si piegano alla mano dell’uomo. Sono prelevati in natura o nei fiordi giapponesi subito prima della mattanza: vengono scelti i più piccoli e spaventati, facili da sottomettere». Inesausto sostenitore della causa dei delfini, con The Original Dolphin Project l’ex addestratore Richard O’Barry. Si convertì quando Cathy, la femmina che sullo schermo interpretava il celebre Flipper, gli morì fra le braccia. Quel giorno, Richard giurò che avrebbe dedicato il resto della vita a restituire i cetacei alle acque libere.

Margherita d'Amico
Corriere della Sera

Attached Image: delfini.jpg

delfini.jpg

 
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