Lessico giuridico., Giuridichese-Italiano/Italiano-Giuridichese

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Percival
view post Posted on 22/11/2008, 10:43




Ecco uno degli errori in cui è più facile incorrere, esprimendosi in giuridichese.
Assolutamente imperdonabile.
Qualche giorno fa l'ho visto commettere reiteratamente da un giudice,
che "comminava" sanzioni ai testimoni regolarmente citati e non presentatisi.


Comminare

Dando notizia di una sentenza di condanna pronunciata da questa o quella magistratura, molto spesso stampa radio e televisione dicono che il tal giudice “ha comminato a Tizio e a Caio tanti anni di prigione”. Quanti sanno che questa comunissima frase racchiude un errore grossolano?

Questo verbo comminare ci è venuto dal latino comminari che vuol dire alla lettera “minacciare insieme” composto com’è di un prefisso cum, con, indicante generalità di effetto, di azione, e minari, minacciare. Perciò “comminare una pena” significa minacciarla collettivamente, prescriverla genericamente per tutti coloro che si rendessero colpevoli di quel determinato reato. Chi può comminare una pena, cioè minacciarla, stabilirla, non può essere perciò che la legge, e per essa il codice: “per il delitto di rapina il codice penale italiano commina la reclusione da 3 a 10 anni ...”. Il giudice dunque non commina, non minaccia, la pena ma la applica in base a quanto stabilisce il codice, la dà, la infligge, l’assegna, o anche, con un latinismo proprio del linguaggio curialesco, la irroga.

Tratto da Aldo Gabrielli, Il Museo degli Errori, Oscar Mondadori n. 728, Milano 1977.
 
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view post Posted on 22/11/2008, 11:06
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molto interessante.
:D
 
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Percival
view post Posted on 22/11/2008, 11:30




Mica è facile esprimersi fluentemente in giuridichese. See...
Ad esempio nel precedente post ho usato l'espressione "testimoni regolarmente citati e non presentatisi", che è molto approssimativa.
In corretto giuridichese si dovrebbe, invece, dire:"testimoni ritualmente citati e non comparsi". :D
 
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Percival
view post Posted on 23/11/2008, 17:11




Correntezza: termine raro, ma non rarissimo in giuridichese.
Indica la regolarità e puntualità nell'effettuare pagamenti, soprattutto periodici.
Rende l'idea di una cosa che scorre facile, senza difficoltà, nella naturale dinamica dei rapporti di affari.
Esempio:
Il locatore che "sollecita il conduttore ad una maggiore correntezza nella corresponsione dei canoni", lo sta solo invitando ad essere più puntuale nel pagare l'affitto.
Lo stesso potrebbe dirsi per stipendi, ratei, contribuzioni previdenziali ecc.
 
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Percival
view post Posted on 4/12/2008, 13:30




Un altro termine di comune uso nel linguaggio giuridico è "perentorio".
Perentorio in senso atecnico è ciò che non ammette repliche o reazioni.
In questo accezione perentoria può essere anche un'affermazione o un comando.
Giuridicamente parlando, invece, l'aggettivo perentorio è utilizzato prevalentemente con riferimento a termini e scadenze, per cui perentoria è quella data o lasso temporale passata la quale un atto non può più essere compiuto e si decade dal relativo diritto (es.: l'istanza va presentata o depositata o notificata ecc. entro il termine perentorio di giorni 15.)
Dal latino peremptorius "che porta la morte", a sua volta derivato dal verbo perimere "annientare".
 
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view post Posted on 6/2/2009, 11:05
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Avrei bisogno di una consulenza lessicogiuridica.
Il "comminato" presente nel seguente articolo è un errore perchè la multa non si commina cioè si minaccia ma si irroga?

Un anno e 6 mesi di reclusione per aver rubato alcuni documenti, una
borsetta ed un coltello dall'interno di un'automobile. E' la condanna
inflitta ad un 32enne di Avellino che si è reso responsabile, a Spoleto,
dell’azione criminale. Il giudice umbro Roberto Laudenzi ha inoltre
comminato una multa da mille e 32 euro. Altri due imputati, compaesani
del giovane e considerati potenziali complici, sono invece stati assolti
dal magistrato.
 
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Percival
view post Posted on 6/2/2009, 11:46




CITAZIONE (Claudio Bozzacco @ 6/2/2009, 11:05)
Avrei bisogno di una consulenza lessicogiuridica.
Il "comminato" presente nel seguente articolo è un errore perchè la multa non si commina cioè si minaccia ma si irroga?

Un anno e 6 mesi di reclusione per aver rubato alcuni documenti, una
borsetta ed un coltello dall'interno di un'automobile. E' la condanna
inflitta ad un 32enne di Avellino che si è reso responsabile, a Spoleto,
dell’azione criminale. Il giudice umbro Roberto Laudenzi ha inoltre
comminato una multa da mille e 32 euro. Altri due imputati, compaesani
del giovane e considerati potenziali complici, sono invece stati assolti
dal magistrato.

Esattamente.
 
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view post Posted on 6/2/2009, 12:03
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quindi del verbo comminare se ne fa un uso comune improprio.
Dobbiamo informare Aldo Grasso.

image

detto fatto

From: Saxetum
To: [email protected]
Sent: Friday, February 06, 2009 11:55 AM
Subject: uso improprio verbo comminare


Gentile Aldo Grasso,

a seguito di una discussione avvenuta su di un forum denominato Saxetum abbiamo notato
che si fa un uso improprio del verbo "Comminare" nelle Radio, tv e giornali.
La informiamo perchè possa passare la notizia e contribuirie ad interrompere
questa cattiva abitudine.
Per approfondire l'argomento:
https://saxetum.forumcommunity.net/?t=21822582

buon lavoro


da wikipedia

Aldo Grasso (Sale delle Langhe, 10 aprile 1948) è un giornalista e storico italiano. È critico ed autore televisivo e si occupa di televisione e di storia della televisione.


Cenni biografici

Laureato in Lettere, ha inizia la sua attività come assistente universitario fino a diventare docente ordinario di Storia della radio e della televisione presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Fondatore con Giovanni Buttafava, Franco Quadri, Alberto Farassino, Tatti Sanguineti, Carlo Freccero di cineclub, è poi passato ad occuparsi quasi esclusivamente di televisione. Dal 1990 è critico televisivo del Corriere della Sera.

Dall'ottobre 1993 al settembre 1994 è stato direttore della programmazione radiofonica della RAI nella breve stagione dei Professori (il gruppo dirigente della RAI dell'epoca).

Ha condotto alcuni programmi televisivi, tra cui un'edizione di Tuttilibri e la serie radiofonica A video spento che ha inaugurato la critica televisiva alla radio.

Assai noti e seguiti sono il forum online TeleVisioni, curato sul sito web del Corriere della Sera, e l'omonima video-rubrica di critica televisiva.

Numerose sono le opere letterario-divulgative che ha dedicato alla storia della televisione.

Per la sua attività di critico televisivo e saggista ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti.

* Linea allo studio, (Bompiani, 1989)
* Le televisioni in Europa, (1990)
* Storia della televisione italiana (Garzanti, 1992, 2000, 2004)
* Al paese dei Berlusconi (Garzanti, 1993)
* Enciclopedia della televisione (Garzanti, 1996; poi 2002 e 2008)
* Radio e televisione, (Vita e pensiero, 2000)
* La scatola nera della pubblicità, (Sipra, 2001)
* Che cos'è la televisione (in collaborazione con Massimo Scaglioni), (Garzanti, 2003)
* Fare storia con la televisione, (Vita e pensiero, 2006)
* La Tv del sommerso (Mondadori, 2006) ISBN 88-04-56194-7
* Buona maestra (Mondadori, 2007) ISBN 978-88-04-56815-5
* Fenomenologia di Fiorello (Mondadori, 2008) ISBN 978-88-04-57403-3



Edited by Claudio Bozzacco - 6/2/2009, 12:22
 
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Percival
view post Posted on 20/12/2009, 18:11




Melius re perpensa.

Alla lettera significa: meglio rivalutata la situazione.
E' una espressione latina che indica la possibilità anche per chi prende una decisione, di cambiare opinione.

Taluno dice anche "res melius perpensa". Peraltro tale versione appare impropria, con costruzione della frase errata.

Appare perciò più corretta (se non forse l'unica giusta) la forma "melius re perpensa".

Un'altra.

In una sentenza della Cassazione leggo:

"Resistono, dunque, alle censure mosse dalle ricorrenti, che peraltro finiscono per impingere in valutazioni di fatto riservate istituzionalmente al giudice del merito".

Anche il verbo impingere (coniugato come spingere) è stato mutuato dal latino (impingo, -is, impegi, impactum, -ere) e gli emellini ci sono abbastanza affezionati, dato che non è raro incontrarlo nelle loro sentenze.

E' utilizzato nel significato di "andare contro, spingersi contro, andare a cozzare con...", ma spesso (come nella frase citata e, a mio avviso, erroneamente) anche nel senso di "sconfinare, travalicare un determinato ambito".

Edited by Percival - 18/2/2010, 10:20
 
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Percival
view post Posted on 17/3/2010, 07:52




Un pò di latinorum.

Nimia diligentia: diligenza eccessiva, smodata, di molto superiore a quella che si può richiedere all'uomo medio e, quindi, ingiustificata.

In una recente sentenza del palazzaccio ho trovato l'aggettivo ancipite=che ha doppia natura o aspetto; ambivalente.

Approfondendo ho scoperto che l'aggettivo ancipite ricorre spesso nelle sentenze della Corte costituzionale con riferimento a quelle questioni di legittimità costituzionale formulate in via alternativa, con lequali, cioè, il giudice a quo si limita a prospettare varie alternative esegetiche possibili senza precisare quale sia la soluzione cui intende aderire.

Secondo giurisprudenza costituzionale costante, le questioni così formulate sono da ritenersi manifestamente inammissibili (ex plurimis ordinanze n. 449 e n. 122 del 2007; ordinanza n. 362 del 2005).

Nella metrica greca e latina, è detta ancipite la sillaba o la vocale che può avere valore di lunga o di breve
 
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view post Posted on 30/9/2011, 13:46
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GIAN LUIGI BECCARIA

In Italia prima della nazione è venuta la lingua: la lingua della letteratura, la cui validità e tenuta hanno prefigurato sin dalle Origini un’unità nazionale immaginata e inseguita nei secoli come un desiderio. Era toccato a un poeta, a Dante, segnare la data d’inizio di quest’unità ideale, quando nel De vulgari eloquentia vide l’Italia come lo spazio geografico su cui la lingua del sì avrebbe dovuto diffondersi. La parola poetica comincia a distendersi su un’unità geografica e culturale prima che essa esista realmente. L’idea e la fondazione di quest’unità linguistica sarà ancora più a fondo acquisita nel Cinquecento, sulla base dei concetti della pedagogia umanistica, che aveva fissato il canone dei buoni autori da prendere a modello per scrivere latino; per l’italiano identica decisione fu presa sin dai primi del Cinquecento, quando un veneto, Pietro Bembo, additò anche per il volgare i buoni libri degni di imitazione, i classici fiorentini dell’«aureo» Trecento, le «tre corone», Dante, Petrarca, Boccaccio. A noi mancava allora una nazione, ma la cultura umanistica, già all’avanguardia in Europa in fatto di latino, precedeva gli altri paesi quanto alla prima codificazione di una lingua volgare, tracciando in ambito culturale i confini di una normativa unitaria.

Nel corso del tempo abbiamo faticato non poco a costruirci non solo una nazione ma anche una lingua comune. La storia della nostra patria (la parola stessa) ha conosciuto le tormentate e alterne vicende che conosciamo. Oggi è soggetta addirittura a proposte di cancellazione. Sentiamo con disappunto parlare di tanto in tanto di secessione di una parte di pianura che un tempo, dicono, fu dei Celti! Oggi, a 150 anni dall’Unità raggiunta, ci sono italiani che ancora sentono di appartenere più alla «piccola» che alla «grande patria», assecondando uno spirito di fazione che in Italia ha radici antiche, ed è durato nei tempi, strettamente legato alla frammentazione politica della Penisola. Da tanta e lunga divisione dipende l’allentato sentimento patriottico-identitario di noi italiani, così diverso da quello degli altri. Non abbiamo mai avuto il senso profondo di una comunità nazionale, la solidità di un’appartenenza pari a quella di paesi vicini. Nel nostro però ci ha pensato la lingua della letteratura a indicare, sin dalle Origini, la forza di una perseveranza, quel desiderio o sensazione di unità che si protende nel tempo con singolare evidenza tra le pieghe delle scritture. Mi piace tra tante coglierla, fra i contemporanei, in una splendida annotazione di Raffaele La Capria: «Ogni volta che riesco a comporre una frase ben concepita, ben calibrata e precisa in ogni sua parte, una frase salda e tranquilla nella bella lingua che abito, e che è la mia patria, mi sembra di rifare l’Unità d’Italia».

Quest’unità, più umilmente sotto forma di aria di famiglia, noi rifacciamo ogni giorno anche nel parlare quotidiano. Penso a certi modi correnti tratti di peso dalle patrie lettere come echi di un riconoscimento, quei modi che affondano le radici nei classici letti a scuola. Osservo che proprio Dante padre della lingua ha fornito più di altri materia al parlare e allo scrivere mediamente colto: il «natio loco», «le dolenti note», il «discendere per li rami», «perdere il ben dell’intelletto», «senza infamia e senza lode», «ma guarda e passa», «mi fa tremare le vene e i polsi», «nel mezzo del cammino di...», il «gran rifiuto», l’«uscire a riveder le stelle», il «lasciate ogni speranza o voi ch’entrate», «Galeotto fu ...» ecc. Riusciamo quotidianamente, consapevolmente o no, il patrimonio patrio della letteratura.

Ma ci sono ben altre testimonianze di tenuta e continuità. Penso a come la nostra letteratura nazionale abbia contribuito a che la lingua rimanesse nei secoli vicina, strutturalmente, alla lingua delle Origini. Cosa che negli altri paesi europei non è capitato. L’italiano non è una di quelle lingue ad aver subìto nel lungo periodo cambiamenti importanti o radicali. Certi brani di Machiavelli sono scritti in un italiano che sembra ancora fresco di giornata. Rispetto all’italiano antico, l’italiano moderno è cambiato sì in modo apprezzabile nell’ordine delle parole, ma nel complesso, sulla mobilità vistosa tutto sommato sono prevalsi gli elementi di continuità e persistenza. Tant’è che, nel complesso, Dante è relativamente «facile da leggere» (Thomas S. Eliot). Non lo è al contrario Chaucer per un inglese, il Cid per uno spagnolo, la Chanson de Roland per un francese, che vanno tradotti perché oggi li si possa capire. Ha osservato De Mauro che dei settemila vocaboli diversi usati nella Commedia «l’86% è ancora oggi vivo e usuale e non solo nell’uso più raffinato e colto». Per questo Dante non è linguisticamente difficile. È linguisticamente molto vicino.
 
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view post Posted on 10/3/2016, 20:32
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Il Sindaco di Cortina d'Ampezzo, comune del cadore alle pendici delle dolomiti, in merito ad una vicenda di un padre che ha depositato un fiore dove era deceduto il figlio, ha fatto un doppio errore lessicale. Il Sindaco di Cortina ha parlato di "multa comminata" dalla polizia di stato. La multa si irroga per i delitti e non per gli illeciti amministrativi come nel caso in discussione. Quindi non si tratta di multa ma di sanzione amministrativa pecuniaria. Inoltre come è stato ampiamente argomentato nei post precedenti la sanzione amministrativa non si commina ma si irroga. Quindi, il Sindaco di Cortina d'Ampezzo, avrebbe dovuto dire: è stata irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria dalla polizia di stato.

Edited by Claudio Bozzacco - 16/3/2016, 18:55
 
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