Ordine dei Templari

« Older   Newer »
  Share  
Percival
view post Posted on 7/11/2009, 14:25




I templari erano un ordine religioso cavalleresco fondato nel 1118, su impulso di San Bernardo da Chiaravalle, da alcuni nobili francesi (ma secondo una certa tesi il più importante di essi, Hugues de Payens, che si sarebbe in realtà chiamato Ugo dei Pagani, sarebbe originario di Nuceria Paganorum, città campana che includeva tra gli altri i territori degli odierni comuni).

Lo scopo dell'ordine era quello di offrire assistenza e soprattutto protezione ai pellegrini che si recavano in Palestina ed i suoi membri si distinsero nel corso di varie crociate.

I cavalieri del tempio avevano sede a Gerusalemme, nei pressi del luogo dove si riteneva fosse sorto il tempio di Salomone. Da qui il nome.

Con lo sfaldarsi dei regni crociati ed il definitivo consolidarsi del dominio mussulmano sulla Palestina (l'ultima roccaforte cristiana, San Giovanni D'Acri, cadde nel 1291) i templari dovettero restringere il raggio della loro azione all'Europa.

Qui erano già divenuti una importante potenza economica, poiché non solo disponevano di un immensa proprietà fondiaria, organizzata in efficienti aziende agricole (come si direbbe oggi) nonché di chiese, castelli ecc., ma si dedicavano anche all'attività commerciale, finanziaria e creditizia.

Non a caso sono considerati i precursori del moderno sistema bancario.

http://www.ricerchetemplari.it/l%27economia.htm

Questa crescita esponenziale iniziò a preoccupare il papa ed i monarchi del tempo (che, tra l'altro, avevano contratto un rilevante "debito pubblico" proprio con gli stessi templari).

Il 13 ottobre 1307 e nelle settimane successive, per ordine del Re di Francia Filippo il Bello e del Papa Clemente V, tra lo stupore dei contemporanei, si procedette all'arresto di migliaia di templari in tutta Europa, con l'accusa di eresia, idolatria, connivenza con l'islamismo, omosessualità e pratiche sataniche.

Si ventilò anche l'ipotesi di un complotto dei templari finalizzato a sovvertire l'ordine costituito della cristianità, di cui il pontefice ed il Re di Francia erano i prinicipali assi portanti.

Nel corso degli anni successivi, comunque, centinaia di questi monaci-guerrieri vennero sottoposti a processi sommari, molti dei quali si conclusero con la condanna alla pena capitale.

L'ordine, bollato di eresia, venne sciolto e le sue ricchezze, in parte accaparrate da Filippo il Bello e dal Papa, vennero assegnate all'ordine degli ospitalieri.

Il Gran Maestro dell'Ordine, Jacques De Molay, assieme al suo vice, Geoffry de Charnay, dopo lunga prigionia, venne arso sul rogo a Parigi, la sera del 18 marzo 1314.

Prima di morire ritrattò la confessione che gli era stata estorta sotto tortura:

"Le eresie e i peccati che ci vengono attribuiti non sono veri.
La Regola del Tempio è santa, giusta e cattolica.
Sono degno della morte e mi offro di sopportarla, perché prima ho confessato per la paura delle torture e per le pressioni del papa e del re di Francia".


Una certa tradizione attribuirebbe proprio a Jacques De Molay ed ai sopravvissuti alla persecuzione la fondazione della massoneria come associazione occulta avente lo scopo di continuare le attività dell'ordine e soprattutto di vendicarne la terribile fine.

Da quel momento, si sostiene, l'intera storia d'Europa sarebbe stata influenzata dai tentativi della massoneria di distruggere il potere della chiesa di Roma e dei Capeti o Capetingi, la casa regnante di Francia.

In quest'ottica trovano terreno fertile le ricostruzioni che individuano le mani della massoneria dietro la Rivoluzione francese ed altri avvenimenti storici, non esclusa la stessa Unità d'Italia (e a ben vedere i Borbone di Napoli, come quelli di Francia rappresentano un ramo collaterale dei Capetingi).

Una di queste leggende vuole, peraltro, che appena la ghigliottina uccise Luigi XVI (il quale, altra coincidenza, venne condannato sotto il nome di Luigi Capeto, sebbene sarebbe stato più corretto chiamarlo Luigi Borbone) una voce tra la folla gridasse "Jacques De Molay, sei stato vendicato".

Attualmente esistono, anche in Italia, decine di associazioni ed ordini che, con maggiore o minore serietà e purezza di intenti, si rifanno idealmente ai templari (cd. neotemplarismo).

Alcuni ne rimarcano la stretta ortodossia ed hanno intrapreso, pare con successo, dei tentativi di ottenere dalla Chiesa una sorta di riabilitazione.

Altri, invece, rivendicano la natura alternativa ed ed anti-cattolica dell'ordine e si muovono ai margini del movimento massonico o della complessa galassia esoterica.

Di recente i templari - già indiretti protagonisti del romanzo di Umberto Eco, "Il Pendolo di Foucault" - sono ritornati all'attenzione universale dell'opinione pubblica grazie allo spazio loro dedicato in opere letterarie e cinematografiche di ampia diffusione (Il Mistero dei Templari, Il Codice Da Vinci, Il sangue dei templari ecc. ).

Edited by Percival - 21/11/2009, 20:13
 
Top
Percival
view post Posted on 7/11/2009, 15:12





BOLLA DI SOPPRESSIONE DELL'ORDINE TEMPLARE

Clemente vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetuo ricordo dell'avvenimento.

Si è udita, nell'alto, una voce di lamento, di pianto e di lutto.

Poiché è venuto il tempo nel quale il Signore si lamenta per bocca del profeta: Questa casa si è trasformata per une in causa di furore e di indignazione,- e sarà tolta via dal mio cospetto per la malvagità dei suoi figli, perché essi mi provocarono all'ira, rivolgendomi le spalle, non la faccia, e collocando i loro idoli nella mia casa, nella quale è stato invocato il mio nome, per contaminarla.

Costruirono alture in nome di Baal, per iniziare e consacrare i loro figli agli idoli e ai demoni.

Hanno Peccato gravemente come nei giorni di Gabaa.

All'udire questa voce orrenda, e per l'orrore di tanta ignominia, - chi intese mai, infatti, una tale cosa? chi vide mai una cosa simile? - Caddi nell'udirla, mi rattristai nel vederla, il mio cuore si amareggiò, e le tenebre uni fecero rimanere stupefatto.

Infatti la voce del popolo sale dalla città, la voce ( esce ) dal tempio, ( è ) la voce del Signore che rende la mercede ai suoi nemici.

E il profeta è costretto ad esclamare: Da ad essi, Signore, un seno senza figli, e mammelle senza latte.

La loro malizia si è resa manifesta per la loro perdizione.

Scacciali dalla tua casa, e si secchi la loro radice; non portino frutto; non sia più, questa casa, causa di amarezza, e spina di dolore.

Non è poca, infatti, la sua infedeltà: essa che immola i suoi figli e li dà e li consacra ai demoni e non a Dio, a dèi che essi ignoravano.

Quindi questa casa sarà abbandonata e oggetto di vergogna, maledetta e deserta, sconvolta, ridotta in polvere, ultimo deserto, senza vie, arido per l'ira di Dio, che ha disprezzato.

Non sia abitata, ma venga ridotta in solitudine; tutti si meraviglino di essa e fischino con disprezzo sulle sue piaghe.

Dio, infatti non ha scelto la gente per il luogo, ma il luogo per la gente.

Quindi il luogo stesso del tempio partecipa dei mali del popolo: cosa che il Signore disse chiaramente a Salomone, quando questi gli edificò il tempio, e fu riempito dalla sapienza come da un fiume: Se i vostri figli si allontaneranno da me, non seguendomi e non onorandomi, ma andando dietro e onorando gli dèi degli altri, e adorandoli, li scaccerò dalla mia faccia, e li allontanerò dalla terra che diedi loro, rigetterò dal mio cospetto il tempio che resi santo col mio nome, e sarà portato di bocca in bocca, e diventerà l'esempio e la favola dei popoli.

Tutti i passanti, vedendolo, si meraviglieranno, e fischieranno, e diranno: "Perché il Signore ha trattato cosi questo tempio e questa casa?"

E risponderanno: "Perché si sono allontanati dal Signore, loro Dio, che li ha comprati e riscattati, ed hanno seguito Baal ed altri dèi e li hanno onorati e adorati.

Per questo il Signore ha fatto si che accadesse loro questa grande disgrazia".

Già dalla nostra elevazione al sommo pontificato, anche prima che ci recassimo a Lione dove abbiamo ricevuto la nostra incoronazione; e poi dopo, sia li che altrove, qualche relazione fattaci in segreto ci informava che il maestro, i priori, ed altri frati dell'ordine della milizia del Tempio di Gerusalemme, ed anche l'ordine stesso - essi che erano stati posti nelle terre d'oltremare proprio a difesa del patrimonio di Nostro Signore Gesù Cristo, e come speciali e principali difensori della fede cattolica e della Terra Santa, sembravano curare più d'ogni altro tutto ciò che riguarda la stessa Terra Santa, per cui la sacrosanta chiesa Romana, trattando gli stessi frati e l'ordine con una particolare benevolenza, li ha armati col segno della croce contro i nemici di Cristo, li ha esaltati con molti onori e li ha muniti di diverse esenzioni e privilegi; e che in molti modi erano, proprio per questo, aiutati da essa e da tutti i buoni fedeli di Cristo con moltiplicate elargizioni di beni - essi dunque contro lo stesso Signore Gesù Cristo erano caduti in una innominabile apostasia, nella scelleratezza di una vergognosa idolatria, nel peccato esecrabile dei Sodomiti e in varie altre eresie.

E poiché non era verosimile e sembrava incredibile che uomini tanto religiosi, i quali avevano sparso spesso il loro sangue per il nome di Cristo, e che esponevano frequentemente le loro persone ai pericoli mortali e che mostravano grandi segni di devozione sia nei divini uffici, quanto nei digiuni e in altre pratiche di devozione, fossero poi cosi incuranti della propria salvezza, da perpetrare tali enormità specie se si considera che quest'ordine ha avuto un inizio buono e santo e il favore dell'approvazione dalla sede apostolica, e che la sua regola, perché santa, degna e giusta, ha meritato di essere approvata dalla stessa sede - non volevamo prestare orecchio a queste insinuazioni e delazioni, ammaestrati dagli esempi del Signore stesso e dalle dottrine della sacra scrittura.

Ma poi il nostro carissimo figlio in Cristo Filippo, illustre re dei Francesi, cui erano stati rivelati gli stessi delitti, non per febbre di avarizia - non aveva, infatti, alcuna intenzione di rivendicare o di appropriarsi dei beni dei Templari; nel suo regno, anzi, li trascurò tenendosi del tutto lontano da questo affare - ma acceso dallo zelo della vera fede, seguendo le orme illustri dei suoi progenitori, volendo istruirci ed informarci a questo riguardo, ci ha fatto pervenire per mezzo di ambasciatori o di lettere, molte e gravi informazioni.

Le voci infamanti contro i Templari ed il loro ordine si facevano sempre più consistenti e persino un soldato dello stesso ordine, appartenente all'alta nobiltà, che godeva nell'ordine di non poca stima, depose dinanzi a noi, segretamente e sotto giuramento, che egli, quando fu ammesso nell'ordine, per suggerimento di chi lo ammetteva, e alla presenza di alcuni altri Templari, aveva negato Cristo ed aveva sputato sulla Croce che gli veniva mostrata da colui che lo riceveva nell'ordine.

Egli disse anche di aver visto il maestro dei Templari ( che ancora vive ) ricevere nello stesso ordine d'oltremare un soldato allo stesso modo, cioè col rinnegamento di Cristo e con lo sputare sulla Croce, alla presenza di ben duecento frati dello stesso ordine, e di aver sentito che si diceva esser quello il modo normale osservato nell'ammettere i frati dello stesso ordine: cioè che, dietro suggerimento di chi riceveva o di un suo delegato a questa cerimonia, colui che veniva ammesso doveva negare Gesù Cristo, e sputare sulla Croce che gli veniva mostrata, come segno di disprezzo a Cristo crocifisso, e che sia chi ammetteva, sia chi veniva ammesso compiva altre azioni illecite e sconvenienti all'onestà cristiana, come egli stesso allora confessò dinanzi a noi.

Poiché, dunque, il dovere ci spingeva a questo nostro ufficio, non abbiamo potuto fare a meno di porgere ascolto a tanti e cosi grandi clamori.

Finalmente, la voce pubblica e la clamorosa denunzia del suddetto re, di duchi, conti, baroni ed altri nobili, del clero e del popolo del regno francese, che vengono alla nostra presenza proprio a questo scopo, sia personalmente che per mezzo di procuratori o di rappresentanti, ha fatto giungere alle nostre orecchie - lo diciamo con dolore - che il maestro, i priori ed altri frati di quest'ordine, e l'ordine stesso, in sé, erano coinvolti in questi ed in altri crimini, e che ciò è provato da molte confessioni, attestazioni e deposizioni dello stesso maestro, del visitatore di Francia e di molti priori e frati dell'ordine davanti a molti prelati e all'inquisitore per l'eresia - deposizioni fatte e ricevute nel regno di Francia previo interessamento dell'autorità apostolica, redatte in pubblici documenti, e mostrate a noi e ai nostri fratelli.

Inoltre, questa fama e queste voci clamorose erano divenute cosi insistenti, ed avevano lasciato chiaramente capire, contro l'ordine stesso e contro i singoli membri, che la cosa non poteva ormai esser più oltre trascurata senza grave scandalo e tollerata senza imminente pericolo per la fede, noi, seguendo le orme di colui, di cui, benché indegni, facciamo le veci, qui in terra, abbiamo creduto bene dover procedere ad una inchiesta.

Abbiamo, quindi, fatto venire alla nostra presenza molti priori, sacerdoti, soldati, ed altri frati di quest'ordine di non poca fama; abbiamo fatto prestar loro giuramento, li abbiamo scongiurati pressantemente per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, invocando il divino giudizio, che in virtù di santa obbedienza - dato che si trovavano ora in luogo sicuro ed adatto, dove non c'era assolutamente nulla da temere, nonostante le confessioni fatte da essi dinanzi ad altri, per le quali noi non volevamo che ne derivasse qualche danno a coloro che le avevano fatte - dicessero sulla questione accennata la pura e semplice verità.

Li abbiamo quindi interrogati su questo argomento e ne abbiamo esaminati settantadue.

Ci assistevano con attenzione molti dei nostri fratelli cardinali; abbiamo fatto redigere in documento autentico le loro confessioni per mano di un notaio alla presenza nostra e dei nostri fratelli, e poi, dopo qualche giorno, le abbiamo fatte leggere alla loro presenza in Concistoro, e le abbiamo fatte esporre nella lingua volgare, a ciascuno di essi, che confermandole espressamente e spontaneamente le approvarono cosi come erano state recitate.

Dopo ciò, volendo indagare personalmente su questa questione col maestro generale, con il visitatore di Francia e con i principali priori dell'ordine, ordinammo allo stesso maestro generale e al visitatore d'oltremare, e ai priori maggiori di Normandia, d'Aquitania e della provincia di Poitiers di presentarsi a noi che eravamo a Poitiers.

Molti, però, erano infermi, in quel tempo, e non potevano cavalcare, né esser condotti agevolmente alla nostra presenza.

Noi, allora, volendo conoscere la verità su tutto quanto e se fossero vere le loro confessioni e deposizioni, rese all'inquisitore per l'eresia nel suddetto regno di Francia, alla presenza di alcuni pubblici notai e di molte altre oneste persone, e presentate a noi e ai cardinali dallo stesso inquisitore, demmo l'incarico e ordinammo ai nostri diletti figli Berengario, allora cardinale del titolo dei SS. Nereo ed Achilleo, ora vescovo di Frascati, Stefano, cardinale del titolo di S. Ciriaco alle Terme, e Landulfo cardinale del titolo di Sant'Angelo, della cui prudenza, esperienza e fedeltà, abbiamo illimitata fiducia, perché essi col suddetto maestro generale, col visitatore e coi priori, sia contro di essi e le singole persone dell'ordine, sia contro l'ordine in quanto tale, cercassero di scoprire la verità e di farci sapere quanto avessero trovato a questo riguardo e ci riferissero e presentassero le loro confessioni e deposizioni, messe per iscritto, per mezzo di pubblico notaio, pronti a concedere allo stesso maestro, al visitatore e ai priori il beneficio dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, in cui avrebbero dovuto incorrere per i suddetti delitti se fossero risultati veri, qualora l'avessero chiesta umilmente e devotamente, come avrebbero dovuto.

I cardinali, recandosi personalmente dal maestro generale, dal visitatore e dai priori, esposero il motivo della loro venuta.

E poiché le persone di questi e degli altri Templari che si trovavano nel regno di Francia ci erano state presentate come persone che liberamente e senza timore di nessuno avrebbero manifestato pienamente e sinceramente la verità agli stessi cardinali, questi ingiunsero loro di far ciò in nome dell'autorità apostolica.

Allora il maestro generale, il visitatore e i priori della Normandia, d'oltremare, d'Aquitania, della provincia di Poitiers, alla presenza dei tre cardinali, di quattro pubblici notai, e di molte altre persone degne di rispetto, prestato giuramento sui santi Evangeli, che, sull'argomento in questione avrebbero detto la pura e completa verità, alla loro presenza, uno per uno, liberamente, spontaneamente, senza alcuna costrizione o terrore, fecero la loro deposizione, e fra le altre cose confessarono di aver negato Cristo e di aver sputato sulla croce, quando furono ricevuti nell'ordine di Templari; e alcuni di essi confessarono anche di aver ricevuto molti frati nella stessa forma, esigendo, cioè, che si negasse Cristo e si sputasse sulla Croce.

Alcuni di essi hanno confessato anche altri fatti orribili e vergognosi, che al presente tacciamo.

Dissero anche e confessarono che quanto era contenuto nelle confessioni e deposizioni da loro fatte dinanzi all'inquisitore suddetto, era vero.

Queste confessioni e deposizioni del maestro generale, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento da quattro notai pubblici, alla presenza dello stesso maestro, visitatore e priori e di altre persone degne di fede, e solo dopo aver lasciato trascorrere lo spazio di alcuni giorni, furono lette agli stessi, per ordine e alla presenza dei cardinali, ed inoltre tradotte a ciascuno di essi nella propria lingua.

Essi le riconobbero per proprie ed espressamente e spontaneamente le approvarono, cosi com'erano state recitate.

Da queste confessioni e deposizioni, essi, in ginocchio e con le mani congiunte, umilmente, devotamente e con abbondante effusione di lacrime, chiesero ai cardinali l'assoluzione dalla scomunica, nella quale erano incorsi per i delitti predetti.

I cardinali, poiché la chiesa non chiude mai il suo grembo a chi ritorna, appena il maestro, il visitatore e i priori ebbero abiurato l'eresia concessero ad essi per nostra autorità, e nella forma consueta della chiesa, il beneficio dell'assoluzione; quindi, tornando alla nostra presenza, ci presentarono le confessioni e le deposizioni del maestro, del visitatore e dei priori, redatte in pubblico documento, da persone pubbliche, com'è stato detto, e ci riferirono quello che avevano fatto coi suddetti maestro, visitatore e priori.

Da queste confessioni e deposizioni trovammo che spesso il maestro, il visitatore della Terra d'oltremare e questi priori della Normandia, dell'Aquitania e della regione di Poitiers, anche se alcuni maggiormente ed altri meno, avevano mancato gravemente.

E considerando che delitti cosi orrendi non avrebbero potuto né dovuto esser lasciati impuniti, senza far ingiuria a Dio onnipotente e a tutti i cattolici, chiesto consiglio ai nostri fratelli cardinali, pensammo che si dovesse fare un'inchiesta per mezzo degli ordinari locali e di altre persone fedeli e sagge, da deputarsi a ciò, sui singoli membri dello stesso ordine, e sull'ordine come tale, per mezzo di inquisitori appositamente deputati.

Dopo di ciò, sia gli ordinari che quelli da noi deputati contro i singoli membri dell'ordine e gli inquisitori per l'ordine nel suo insieme hanno svolto indagini in ogni parte del mondo e le hanno infine rimesse al nostro esame.

Di esse, parte furono lette con ogni diligenza ed esaminate con cura da noi in persona e dai nostri fratelli cardinali di santa romana chiesa, le altre, da molti uomini coltissimi, prudenti, fedeli, col santo timore di Dio nel cuore, zelanti della fede cattolica, e pratici, sia prelati che non prelati, presso Malaucène, nella diocesi di Vaison.

Dopo ciò, giunti a Vienne, essendo già presenti moltissimi patriarchi, arcivescovi, vescovi eletti, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati, ed inoltre procuratori di prelati assenti e di capitoli, ivi radunati per il concilio da noi convocato, Noi, dopo la prima sessione tenuta con i predetti cardinali, prelati, procuratori, in cui credemmo bene esporre loro le cause della convocazione del concilio, - poiché era difficile, anzi impossibile che i cardinali e tutti i prelati e procuratori, convenuti nel presente concilio, potessero raccogliersi alla nostra presenza per trattare sul modo di procedere riguardo al problema dei frati del predetto ordine - per nostro ordine dal numero complessivo dei prelati e dei procuratori presenti al concilio, furono scelti concordemente alcuni patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, ed altri prelati e procuratori di ogni parte della cristianità, di qualsiasi lingua, nazione, regione, tra i più esperti, discreti, adatti a dare un consiglio in tale e cosi importante questione e a trattare con noi e con i suddetti cardinali un fatto cosi importante.

Quindi abbiamo fatto leggere attentamente, dinanzi ai prelati e ai procuratori, per più giorni, finché essi vollero ascoltare, le attestazioni raccolte di cui abbiamo parlato, riguardanti l'inchiesta sull'ordine predetto, nella sede del concilio, cioè nella chiesa cattedrale; e in seguito queste stesse attestazioni e i riassunti che ne sono stati fatti sono state viste, lette attentamente ed esaminate da molti venerabili cardinali, dal patriarca di Aquileia, da arcivescovi e vescovi presenti al concilio, scelti e destinati a ciò da quelli che erano stati eletti del concilio con grande diligenza e sollecitudine.

A questi cardinali, pertanto, patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, esenti e non esenti, agli altri prelati e procuratori, eletti proprio per questa questione, quando furono alla nostra presenza fu da noi rivolto il quesito in segreto, come si dovesse procedere in tale problema, tanto più che alcuni Templari si offrivano a difendere il loro ordine.

Alla maggior parte dei cardinali e quasi a tutto il concilio, a quelli cioè che, come abbiamo detto, erano stati eletti dal concilio, e per questa questione rappresentano il concilio intero, insomma alla grande maggioranza, circa quattro quinti di quelli che si trovavano al concilio da ciascuna nazione, sembrò indubitato - e i prelati in questione e i procuratori diedero in tal senso il loro parere - che si dovesse concedere a quell'ordine il diritto di difesa, e che esso, sulla base di ciò che era stato provato fino a quel momento, non potesse esser condannato per quelle eresie a proposito delle quali erano state fatte le indagini contro di esso, senza offesa di Dio e oltraggio del diritto.

Alcuni, invece, dicevano che quei frati non dovevano essere ammessi a difendere l'ordine, e che noi non dovevamo concedere ad essi ( tale ) facoltà.

Se, infatti, dicevano, si permettesse e si concedesse la difesa dell'ordine, ne seguirebbe un pericolo per la questione stessa e non poco danno per l'aiuto alla Terra Santa.

E aggiungevano molte altre ragioni.

Ora, è vero che dai processi svolti contro quest'ordine, esso non può canonicamente esser dichiarato eretico con sentenza definitiva; ma lo stesso ordine, a causa di quelle eresie che gli vengono attribuite ha conseguito una pessima fama.

Moltissimi suoi membri, tra cui il maestro generale, il visitatore di Francia e i priori più in vista, attraverso le loro confessioni spontanee fatte a riguardo di queste eresie sono state convinti di errori e delitti e, inoltre, le confessioni predette rendono questo ordine molto sospetto, e questa infamia e questa diffidenza lo rendono addirittura abominevole e odioso alla chiesa santa di Dio, ai suoi prelati, ai suoi re, ai principi cristiani e agli altri cattolici.

Inoltre, si può verisimilmente credere che da ora in poi non si troverebbe persona disposta ad entrare in quest'ordine, e che quindi esso diverrebbe inutile alla chiesa di Dio e al proseguimento dell'impresa della Terra Santa, al cui servizio era stato destinato.

Poiché dal rinvio della decisione, cioè dalla sistemazione di questa faccenda - alla cui definizione e promulgazione era stato da noi assegnato per i frati di quest'ordine un termine nel presente concilio - seguirebbe la totale perdita, distruzione e dilapidazione dei beni del Tempio, che da tempo sono stati offerti, legati, concessi dai fedeli di Cristo in aiuto della Terra Santa e per combattere i nemici della fede cristiana; considerato che secondo alcuni si deve promulgare subito la sentenza di condanna contro l'ordine dei Templari per i loro delitti, e secondo altri invece non si potrebbe sulla base dei processi già fatti contro lo stesso ordine, emettere sentenza di condanna, noi, dopo lunga e matura riflessione, avendo dinanzi agli occhi unicamente Dio e guardando solo all'utilità della Terra Santa, senza inclinare né a destra né a sinistra, abbiamo pensato bene doversi scegliere la via della decisione e della sistemazione, attraverso la quale saranno tolti gli scandali, saranno evitati i pericoli, e saranno conservati i beni in sussidio della Terra Santa.

L'infamia, il sospetto, le clamorose relazioni e le altre cose già dette, tutte a sfavore dell'ordine, ed inoltre l'ammissione nascosta e clandestina dei frati dello stesso ordine, la differenza di molti di quei frati dal comune comportamento, dal modo di vivere e dai costumi degli altri cristiani, specie poi per il fatto che ammettendo nuovi membri li obbligavano a non rivelare il modo della loro ammissione, e a non uscire dall'ordine -, inducono a presumere contro di loro.

Riflettendo, inoltre, che da tutto ciò è nato contro quest'ordine un grave scandalo, che difficilmente potrebbe esser messo a tacere se l'ordine continuasse ad esistere e considerando i pericoli per la fede e per le anime, e gli orribili numerosi misfatti della maggior parte dei frati dello stesso ordine e molte altre giuste ragioni e cause ci siamo dovuti risolvere alle decisioni che seguono.

La maggior parte dei cardinali, e almeno quattro quinti di quelli che sono stati eletti da tutto il concilio ha ritenuto più conveniente, vantaggioso e utile per l'onore di Dio, per la conservazione della fede cristiana, per l'aiuto alla Terra Santa e per molte altre giuste ragioni che si seguisse piuttosto la via di un provvedimento della sede apostolica, sopprimendo l'ordine e assegnando i beni all'uso cui erano destinati, provvedendo anche salutarmente alle persone dello stesso ordine, che non quella del rispetto del diritto alla difesa, e della proroga di questa questione.

Anche in altri casi, pur senza colpa dei frati, la chiesa romana qualche volta ha soppresso ordini di importanza assai maggiore per motivi senza paragone più modesti di quelli accennati, pertanto con amarezza e dolore, non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi, con l'approvazione del santo concilio, sopprimiamo l'ordine dei Templari, la sua regola, il suo abito e il suo nome, con decreto assoluto, perenne, proibendolo per sempre, e vietando severamente che qualcuno, in seguito, entri in esso, ne assuma l'abito, lo porti, e intenda comportarsi da Templare.

Se poi qualcuno facesse diversamente, incorra la sentenza di scomunica ipso facto.

Quanto alle persone e agli stessi beni, li riserviamo a disposizione nostra e della sede apostolica.

E ne disporremo, con la grazia divina, ad onore di Dio, ad esaltazione della fede cristiana e per il prospero stato della Terra Santa, prima della fine di questo concilio.

E proibiamo assolutamente che chiunque, di qualsiasi condizione o stato esso sia, si intrometta in qualsiasi modo in ciò che riguarda tali persone o tali beni, faccia, innovi, tenti qualche cosa che porti pregiudizio, in ciò, a quanto noi, conforme a quanto abbiamo detto, ordineremo o disporremo, e stabiliamo fin da questo momento che sarà senza alcun valore e del tutto vano, se qualcuno diversamente - consapevolmente o senza saperlo - tenterà qualche cosa.

Con ciò, tuttavia, non vogliamo che si deroghi ai processi fatti o da farsi circa le singole persone degli stessi Templari dai vescovi diocesani o dai concili provinciali, conforme a quanto noi abbiamo con altre disposizioni ordinato.

Vienne, 22 marzo ( 1312 ), anno settimo del nostro pontificato.





Le accuse contro i Templari


Noi, Clemente V, servo dei servi di Dio, nell'anno quarto del nostro pontificato, prendiamo atto delle accuse alla Milizia del Tempio, che la reverenda commissione esamini e appuri la verità di tali accuse che elenchiamo qui di seguito:

- hanno istigato e ordinato ad ogni postulante, al momento dell'accoglienza nella loro Casa, di rinnegare Cristo, il Crocifisso, qualche volta Gesù e qualche volta Dio, qualche volta la Santa Vergine e qualche volta tutti i santi di Dio;
- item, viene riferito che tutti i fratelli ascritti lo hanno fatto
- item, viene riferito che la maggior parte dei fratelli ascritti lo hanno fatto
- item, viene riferito che lo hanno fatto anche dopo l'accoglienza
- item, che i fratelli cappellani hanno detto ai postulanti che Cristo o qualche volta Gesù o qualche volta Cristo crocifisso non è il vero e unico Dio
- item, viene riferito che i fratelli cappellani hanno detto ai postulanti che egli era un falso profeta
- item, viene riferito che egli non aveva sofferto e non era stato crocifisso per la redenzione degli uomini ma per i suoi peccati
- item, viene riferito che non i cappellani e nemmeno i postulanti potevano ottenere la salvezza per mezzo di Gesù, oppure una cosa simile ed equivalente a coloro che erano postulanti
- item, viene riferito che i fratelli cappellani hanno ordinato ai postulanti di sputare su una croce o su una figura o su una scultura e comunque su una immagine di Cristo o qualche volta Gesù
- item, viene riferito che i fratelli cappellani hanno ordinato ai postulanti di calpestare il crocifisso
- item, viene riferito che qualche volta è stato urinato sulla croce e qualche volta lo hanno fatto di venerdì santo
- Item, viene riferito che alcuni dei fratelli si sono riuniti durante la settimana santa per urinare sulla croce
- item, viene riferito che i fratelli adoravano un certo gatto che era solito comparire a loro mentre erano riuniti
- item, viene riferito che hanno fatto questo in dispregio di Cristo e della fede ortodossa
- item, viene riferito che i fratelli non credono nel sacramento che si svolge sull'altare
- item, viene riferito che alcuni dei fratelli non credono
- item, viene riferito che la maggior parte dei fratelli non credono
- item, viene riferito che non credono nei sacramenti della chiesa
- item, viene riferito che i cappellani dell'Ordine nel consacrare il corpo di Cristo non hanno pronunciato le parole del canone della messa prevista
- item, viene riferito che alcuni fratelli cappellani non le hanno dette
- item, viene riferito che la maggior parte dei fratelli non le hanno dette
- item, viene riferito che i fratelli cappellani hanno ordinato di farlo
- item, viene riferito che essi hanno creduto che il Gran Maestro potesse assolverli dal peccato
- item, viene riferito che i semplici visitatori potessero assolverli
- item, viene riferito che anche i precettori laici potessero farlo
- item, viene riferito che lo hanno fatto
- item, viene riferito che la maggior parte di loro lo hanno fatto
- item, viene riferito che il Gran Maestro dell'Ordine, alla presenza di persone importanti, abbia ammesso ciò durante il suo arresto
- item, viene riferito che durante la cerimonia di accoglienza nella loro Casa, alcuni di essi siano stati baciati sulla bocca, sulle natiche, sul fondoschiena e qualche volta sullo stomaco nudo dai fratelli cappellani e dagli altri fratelli
- item, viene riferito che qualche volta erano baciati sull'ombelico
- item, viene riferito che qualche volta erano baciati sull'ano
- item, viene riferito che qualche volta erano baciati sul pene
- item, viene riferito che i fratelli cappellani oppure i secolari ingiungessero ai postulanti di giurare di non lasciare l'Ordine
- item, viene riferito che qualche volta erano nominati fratelli professi immantinente
- item, viene riferito che qualche volta le accoglienze nella loro Casa erano effettuate in segreto
- item, viene riferito che alle accoglienze nella loro Casa potevano partecipare solo i fratelli dell'Ordine
- item, viene riferito che a causa di questo esistono molti sospetti sull'Ordine su menzionato
- item, viene riferito che questi sospetti erano diffusi e professati
- item, viene riferito che i fratelli secolari e professi hanno detto ai postulanti che essi potevano intrattenersi in rapporti carnali
- item, viene riferito che era lecito averli e che avrebbero dovuto farli e subirli in modo reciproco
- item, viene riferito che i fratelli professi e secolari hanno detto ai postulanti che tali rapporti erano leciti e che era giusto averli
- item, viene riferito che hanno avuto questi rapporti
- item, viene riferito che alcuni di loro li hanno avuti
- item, viene riferito che in ogni precettoria e provincia, i fratelli hanno tenuto idoli consistenti in teste, alcune con tre facce, altre con una, mentre altre avevano un cranio di osso umano
- item, viene riferito che i fratelli hanno adorato quegli idoli, soprattutto in occasioni importanti come i capitoli generali e le adunanze provinciali
- item, viene riferito che hanno venerato come loro Dio e loro salvatore ognuno di questi idoli
- item, viene riferito che tutti i fratelli lo hanno fatto
- item, viene riferito che alcuni di loro lo hanno fatto
- item, viene riferito che i fratelli hanno detto che tale testa poteva salvarli
- item, viene riferito che tale testa portava la ricchezza, faceva fiorire gli alberi e germinare i semi nella terra
- item, viene riferito che hanno toccato la testa di questi idoli con una cordicella che essi portavano sulle vesti o indosso alle carni
- item, viene riferito che tali cordicelle erano consegnate ai fratelli o parte di esse
- item, viene riferito che hanno fatto tutto questo per venerare un idolo
- item, viene riferito che i fratelli professi e secolari hanno ingiunto agli altri di portare queste cordicelle anche durante il sonno di notte
- item, viene riferito che i fratelli del sopra menzionato Ordine sono stati accolti in questo modo
- item, viene riferito che è stato fatto ovunque vi fosse una loro Casa
- item, viene riferito che è stato fatto nella maggior parte delle loro Case
- item, viene riferito che chiunque ha rifiutato tali pratiche è stato imprigionato e poi soppresso fisicamente
- item, viene riferito che alcuni di loro sono stati imprigionati
- item, viene riferito che qualcuno è stato imprigionato
- item, viene riferito che era fatto loro veto sotto giuramento di non rivelare tale pratica
- item, viene riferito che se qualcuno di loro avesse osato parlare sarebbe stato ucciso o imprigionato
- item, viene riferito che i confessori potevano essere solo confratelli del menzionato Ordine
- item, viene riferito che qualcuno lo ha fatto
- item, viene riferito che questi fratelli, consci dell'errore, non lo hanno corretto
- item, viene riferito che Santa Madre Chiesa non è stata avvertita di ciò
- item, viene riferito che le pratiche venivano fatte in tutti i territori di Oltremare e nei luoghi dove si trovavano il Gran Maestro ed il capitolo
- item, viene riferito che il rinnegamento di Cristo è avvenuto qualche volta avanti al Gran Maestro
- item, viene riferito che queste cose sono state fatte solo a Cipro
- item, viene riferito che queste cose sono state fatte ovunque si accogliessero nelle Case i fratelli
- item, viene riferito che le cose suddette sono state praticate in tutto l'Ordine in modo comune
- item, viene riferito che suddette cose erano parte dello statuto del menzionato Ordine
- item, viene riferito che il Gran Maestro aveva dato disposizioni che tali pratiche venissero fatte ovunque
- item, viene riferito che ogni visitatore era tenuto a farle
- item, viene riferito che ogni lamentela era punita in modo durissimo
- item, viene riferito che nel detto Ordine ogni dono caritatevole non veniva usato nel modo dovuto, e non si dava ospitalità a nessuno
- item, che nell'Ordine era consentito avere vantaggi in qualsiasi modo, sia esso lecito che illecito
- item, che non era considerato peccato commettere spergiuro per questa causa
- item, che si era soliti tenere i capitoli in segreto
- item, i capitoli erano tenuti in segreto perchè nessuno vedesse o udisse quanto essi facevano e quanto essi dicevano
- item, che i capitoli erano talmente segreti che i fratelli ponevano sentinelle sul tetto o nelle vicinanze del luogo di riunione, nel caso qualcuno si avvicinasse per vedere od origliare
- item, che erano usi a questa segretezza e la conservavano ad ogni costo
- item, che questa colpa è in essere nell'Ordine da molto tempo, poiché essi ritengono che il Gran Maestro possa assolverli dai loro peccati
- item, che esiste colpa ancor più grave, visto che ritengono che il Gran Maestro possa assolverli dai loro peccati, anche quelli non confessati o tralasciati dalla confessione per vergogna o per paura della punizione che potesse loro venire inflitta
- item, che erano presenti la maggioranza dei Precettori dell'Ordine
- item, che tali colpe erano insinuate loro dal Gran Maestro, dai Precettori e anche dai Visitatori
- item, che qualunque cosa il Gran Maestro facesse, soprattutto in capitolo, ordinasse, l'intero Ordine ha dovuto accettarla e osservarla come è poi accaduto
- item, che il Gran Maestro aveva quel potere e lo deteneva da molto tempo
- item, che le usanze perverse e gli errori duravano da un tempo talmente lungo che l'Ordine avrebbe potuto rinnovarsi più volte
- item, che tutto l'Ordine o almeno i due terzi di esso, pur essendo a conoscenza di queste colpe, ha trascurato di confessarle e abiurarle
- item, che non hanno volutamente informato Santa Madre Chiesa
- item, che non hanno rinunciato a commettere queste colpe nè si sono poi allontanati dalla Casa, pur avendo la possibilità di fare entrambe le cose
- item, che tanti fratelli, a causa della corruzione e delle varie colpe, si sono allontanati dall'Ordine, entrando in altri Ordini o per ritornare a vita secolare
- item, che le le colpe ascritte hanno suscitato grave scandalo contro l'Ordine nei cuori delle persone dabbene e nobili, persino di principi e regnanti, ad anche nel cuore di quasi tutto il popolo cristiano
- item, che tutte queste colpe sono state viste e sono palesi fra i fratelli dell'Ordine
- item, che queste colpe sono sulla bocca di tutti e di pubblico dominio all'interno e all'esterno dell'Ordine
- item, che la maggior parte di queste colpe lo sono
- item, che altre lo sono

 
Top
Percival
view post Posted on 7/11/2009, 16:05




Va anche detto, per completezza, che ciclicamente i nomi di organizzazioni legate al neotemplarismo fanno capolino in diverse inchieste su mafia e malaffare, soprattutto in Sicilia.
E' anche in corso, sia pure in modo sotterraneo, da parte della chiesa una revisione della propria posizione sui templari, la cui soppressione sarebbe stata decisa dal re di Francia, nolente il pontefice.
Non da molto è stato fatto trapelare dai segretissimi archivi vaticani un documento del 1308 (Pergamena di Chinon) con il quale Clemente V concedeva l'assoluzione spirituale ai capi dei templari che, dopo la confessione, avevano fatto atto di pentimento.
Questo documento dovrebbe dimostrare che il papa era contrario allo scioglmento dell'ordine o, secondo alcuni, che addirittura lo scagionasse dall'accusa di eresia.
Inoltre, nel 2007, gli Archivi vaticani hanno pubblicato 38 verbali degli interrogatori ai templari, in edizione extra lusso per bibliofili (costo € 5.900).

Tuttavia il prefetto dell'Archivio segreto del Vaticano, monsignor Sergio Pagano, si è premurato di specificare, presentando il volume "Processus contra Templarios", che la pubblicazione non ha ''alcuna volontà celebrativa e tantomeno riabilitativa dell'Ordine del Tempio" e che è "del tutto accidentale il fatto che, proprio quest'anno, ricorra il settimo centenario dall'inizio del processo ai templari".

Alla questione è stato dato un certo risalto da alcuni mass-media dell'area di centrodestra e da una trasmissione Mediaset.
 
Top
view post Posted on 8/11/2009, 12:39
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


I Templari sono legati alla storia ma probabilmente anche al controllo dell'Italia.
Storicamente in uso alle forze dell'ordine vi sono le automobili dell'alfa romeo.
Un frame dell'inizio della festa del 2 giugno, festa della Repubblica e parata delle forze Armate.
Un automobile dell'alfa romeo e a seguire i corazzieri a Cavallo.
Guardie personali prima del Re e poi del Presidente della Repubblica al Quirinale.

image

Nel simbolo dell'alfa, che antepone tutti nella parata, vi è una croce templare sulla sinistra ed un serpente con una corona che inghiotte un omino sulla destra.

image

a voi commenti, considerazioni ed interpretazioni.
La mia personale interpretazione è una sorta di riproposizione del simbolo del Tao.
Senza dubbio è un simbolo magico/religioso con tutte le implicazione del caso.
:D
 
Top
view post Posted on 21/11/2009, 21:31
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


Il simbolo dell'alfa potrebbe riferirsi al dualismo universale delle cose, a cui si rifà l'ideale dei templari, cioè la convivenza pacifica in Terra Santa della cultura Cristiana e di quella Islamica.
Per i Templari l'Islam era il Male. Che nel simbolo viene rappresentato con il serpente.

La leggenda dice che, prima di morire, il Gran Maestro dei Templari avesse convocato davanti al Tribunale di Dio il Papa entro 40 giorni e il Re di Francia Filippo IV il Bello entro l'anno. Trentasette giorni dopo il supplizio morì Clemente V. Otto mesi dopo, lo seguì il Re di Francia.

image


72 articoli della Regola

I - Quale divino ufficio debbano udire

Voi che rinunciate alla propria volontà, e tutti gli altri che per la salvezza della anime con coi militano per un certo tempo, con cavalli e armi per il sommo re, abbiate cura di udire con pio e puro desiderio nella sua totalità Matutini e l'Integro Servizio, secondo l'istituzione canonica e la consuetudine dei dottori regolari della Santa Città.Soprattutto da voi, venerabili fratelli, è dovuto il sommo grado, poiché disprezzata la luce di questa vita, e superata la preoccupazione dei vostri corpi, avete promesso di disprezzare il mondo incalzante per amore di Dio per sempre: rifocillati e saziati dal divino cibo, istituiti e confermati dai precetti del Signore, dopo la consumazione del Divino Mistero nessuno tema la battaglia, ma sia preparato alla corona.

II - Dicano le preghiere del Signore, se non hanno potuto udire il servizio di Dio

Inoltre se un fratello lontano per caso per un impegno della cristianità orientale (e questo più spesso non dubitiamo sia avvenuto) non potesse udire per tale assenza il servizio di Dio: per Matutini dica tredici orazioni del Signore e per le singole ore, sette; per i Vespri, riteniamo se ne debbano dire nove, e questo lo affermiamo unanimemente a libera voce: Questi infatti impegnati così in un lavoro di preservazione, non possono accorrere nell'ora opportuna al Divino Ufficio. Ma se fosse possibile, nell'ora stabilita non trascurino quanto dovuto per istituzione.

III - Che cosa fare per i fratelli defunti

Quando uno dei fratelli professi sacrifica ciò che è impossibile strappare alla morte, che non risparmia nessuno, ciò che è impossibile strappare: ai cappellani e ai sacerdoti che con voi caritatevolmente e temporaneamente servono al Sommo Sacerdote comandiamo con carità di offrire per la sua anima a Cristo con purezza di spirito l'ufficio e la Messa solenne. I fratelli ivi presenti, che pernottano pregando per la salvezza del fratello defunto, dicano cento orazioni del Signore fino al settimo giorno per il fratello defunto: dal giorno in cui fu annunciata la morte del fratello, fino al predetto giorno, il numero centenario venga rispettato con fraterna osservanza nella sua integrità con divina e misericordiosa carità scongiuriamo, e con pastorale autorità, comandiamo, che ogni giorno, come al fratello si dava e si doveva nelle necessità così si dia ad un povero fino al quarantesimo giorno ciò che è necessario al sostentamento di questa vita, per quanto riguarda cibo e bevanda. Del tutto proibiamo ogni altra offerta, che nella morte dei fratelli, e nella solennità di Pasqua, inoltre nelle altre solennità, la spontanea povertà dei poveri commilitoni di Cristo era solita in modo esagerato dare al Signore.

IV - I cappellani abbiano soltanto vitto e vestito

Comandiamo che per comune accordo del capitolo le altre offerte e tutte le altre specie di elemosine, in qualunque modo siano, vengano date con attenta cura ai cappellani o gli altri che restano temporaneamente. Perciò i servitori della Chiesa abbiano soltanto vitto e vestito secondo l'autorità, e non pretendano di avere nulla di più, tranne che i maestri spontaneamente e caritatevolmente abbiano dato.

V - I soldati temporanei defunti

Vi sono tra di noi dei soldati che temporaneamente e misericordiosamente rimangono della casa di Dio, e Tempio di Salomone. Perciò con ineffabile supplica vi preghiamo, scongiuriamo, e anche con insistenza comandiamo, che nel frattanto la tremenda potestà avesse condotto qualcuno all'ultimo giorno, per amore di Dio, fraterna pietà, un povero abbia sette giorni di sostentamento per la sua anima.

VI - Nessun fratello professo faccia un'offerta

Abbiamo decretato, come più sopra fu detto, che nessuno dei fratelli professi presuma di trattare un'altra offerta: ma giorno e notte con cuore puro rimanga nella sua professione, perché sia in grado di eguagliare il più santo dei profeti in questo: prenderò il calice della salvezza, e nella mia morte imiterò la morte del Signore: poiché come Cristo diede la sua anima per me, così anche io sono pronto a dare l'anima per i fratelli,, ecco l'offerta giusta: ecco l'ostia viva gradita a Dio.

VII - Non esagerare nello stare in piedi

Abbiamo sentito con le nostre orecchie un teste sincerissimo, che voi assistete al divino ufficio stando costantemente in piedi: questo non comandiamo anzi vituperiamo: comandiamo che finito il salmo, "Venite esultiamo al Signore" con l'invitatorio e l'inno, tutti siedano tanto i forti quanto ai deboli, per evitare scandalo. Voi che siete presenti, terminato ogni salmo, nel dire "Gloria al Padre", con atteggiamento supplice alzatevi dai vostri scanni verso gli altari, per riverenza alla Santa Trinità ivi nominata, e insegnammo ai deboli il modo di chinarsi. Così anche nella proclamazione del Vangelo, e al "Te Deum laudamus", e durante tutte le Lodi, finché finito "Benediciamo il Signore", cessiamo di stare in piedi, comandiamo anche che la stessa regola sia tenuta nei Matutini di S. Maria.

VIII - Il riunirsi per il pasto

In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice l'apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare, quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi malamente.

IX - La lettura

Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura. Se amiamo il signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.

X - Uso della carne

Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l'abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l'uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno, ringraziando.

XI - Come debbono mangiare i soldati

È opportuno generalmente che mangino due per due, perché l'uno sollecitamente provveda all'altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed equivalente misura di vino.

XII - Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi

Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell'uno sia rifocillato dall'altro.

XIII - Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta

Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza alla passione, tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.

XIV - Dopo il pranzo sempre rendano grazie

Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è Cristo: messi in disparte in pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.

XV - Il decimo del pane sia sempre dato all'elemosiniere

Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiano vi confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.

XVI - La colazione sia secondo il parere del maestro

Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma si parco; infatti vediamo apostatare anche i sapienti.

XVII - Terminata la Compieta si conservi il silenzio

Finita la Compieta è necessario recarsi al giaciglio. Ai fratelli che escono da Compieta non venga data licenza di parlare in pubblico, se non per una necessità impellente; quanto sta per dire al suo scudiero sia detto sommessamente. Forse può capitare che in tale intervallo per voi che uscite da Compieta, per grandissima necessità di un affare militare, o dello stato della nostra casa, perché il giorno non è stato sufficiente, sia necessario che lo stesso maestro parli con una parte dei fratelli, oppure colui al quale è dovuto il comando della casa come maestro. Così questo comandiamo che avvenga; poiché è scritto: Nel molto parlare non sfuggirai al peccato. E altrove: La morte e la vita nelle mani della lingua. In questo colloquio proibiamo la scurrilità, le parole inutili e ciò che porta al riso: e a voi che vi recate a letto, se qualcuno ha detto qualcosa di stolto, comandiamo di dire l'orazione del Signore con umiltà e devota purezza.

XVIII - Gli stanchi non si alzino per i Matutini

Non approviamo che i soldati stanchi si alzino per i Matutini, come è a voi evidente: ma con l'approvazione del maestro, o di colui al quale fu conferito dal maestro, riteniamo unanimemente che essi debbano riposare e cantare le tredici orazioni costituite, in modo che la loro mente concordi con la voce secondo quanto detto dal profeta: Salmeggiate al Signore con sapienza: e ancora: al cospetto degli angeli salmeggerò a te. Ma questo deve dipendere dal consiglio del maestro.

XIX - Sia conservata comunità di vitto tra i fratelli

Si legge nella pagina Divina: Si divideva ai singoli, come era necessario per ciascuno. Perciò non diciamo che vi sia accezione di persone ma vi deve essere considerazione delle malattie. Quando uno ha meno bisogno, ringrazi Dio, e non si rattristi: colui che ha bisogno si umili per l'infermità, non si innalzi per la misericordia, e così tutte le membra saranno in pace. Ma questo proibiamo ché a nessuno sia lecito abbracciare una astinenza fuori posto, ma conducano una vita comune costantemente.

XX - Qualità e stile del vestito

Comandiamo che i vestiti siano sempre di un unico colore, ad esempio bianchi, o neri, o, per così dire, bigi. A tutti i soldati professi in inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche, cosicché coloro che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il loro Creatore, mediante una vita trasparente e bianca. Che cosa di bianco, se non l'integra castità? La castità è sicurezza della mente, e sanità del corpo. Infatti ogni militare, se non avrà preservato nella castità, non potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l'apostolo San Paolo: Seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il Signore. Ma perché una sia di questo stile deve essere privo della nota arroganza e del superfluo; comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i calzari e levarseli. Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia attento nell'evitare questo, coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello ci spetta il compito avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.

XXI - I servi non portino vesti bianche, cioè pallii

Decisamente disapproviamo quanto era nella casa di Dio e del tempio dei suoi soldati, senza discrezione e decisione del comune capitolo, e comandiamo, che venga radicalmente eliminato quasi fosse un vizio proprio. I servi e gli scudieri portavano una volta vestiti bianchi, donde derivavano danni. Sorsero infatti in zone ultra montane alcuni falsi fratelli, sposati, ed altri, che dissero di appartenere al Tempio, mentre sono del mondo. Costoro procurarono tante ingiurie e tanti danni all'ordine militare, e gli aggregati presuntuosi come professi insuperbendo fecero nascere numerosi scandali. Portino quindi sempre vestiti neri: nel caso in cui questi non possano essere trovati, abbiano quelli che si possano trovare nella provincia in cui abitano, o quanto può essere avvicinato alla più semplice di un unico colore, cioè bigio.

XXII - I soldati professi portino solo vestiti bianchi

A nessuno è concesso portare tuniche candide, o avere pallii bianchi, se non ai nominati soldati.

XXIII - Si usino solo pelli di agnelli

Abbiamo deciso di comune accordo, che nessun fratello professo abbia pelli di lunga durata perenne o pelliccia o qualcosa di simile, e che serva al corpo, anche per coprirlo se non di agnelli o arieti.

XXIV - I vecchi vestiti siano dati agli scudieri

Il procuratore o datore dei vestiti con ogni attenzione dia i vecchi abiti sempre agli scudieri e agli aggregati, e talvolta ai poveri, agendo con fedeltà ed equità.

XXV - Chi brama le cose migliori abbia le peggiori

Se un fratello professo, o perché gli è dovuto o perché mosso da superbia volesse abiti belli o ottimi, meriterebbe per tale presunzione senza dubbio quelli più umili.

XXVI - Sia rispettata la qualità e la quantità dei vestiti

È necessario osservare la quantità secondo la grandezza dei corpi e la larghezza dei vestiti: colui che consegna gli abiti sia in questo attento.

XXVII - Colui che consegna i vestiti conservi innanzitutto l'uguaglianza

Il procuratore con fraterno intuito consideri la lunghezza, come sopra fu detto, con la stessa attenzione, perché l'occhio dei sussurratori o dei calunniatori non presuma di notare alcunché: e in tutte queste cose, umilmente mediti la ricompensa di Dio.

XXVIII - L'inutilità dei capelli

Tutti i fratelli, soprattutto i professi, è bene che portino capelli in modo che possano essere considerati regolari davanti e dietro e ordinati; e nella barba e nei baffi si osservi senza discussione la stessa regola, perché non si mostri o superficialità o il vizio della frivolezza.

XXIX - Circa gli speroni e le collane

Chiaramente gli speroni e le collane sono una questione gentilizia. E poiché questo è riconosciuto abominevole da tutti, proibiamo e rifiutiamo l'autorizzazione a possederli, anzi vogliamo che non ci siano. A coloro che prestano servizio a tempo non permettiamo di avere né speroni, né collane, né capigliatura vanitosa, né esagerata lunghezza di vestiti, anzi del tutto proibiamo. A coloro che servono al sommo creatore è sommamente necessaria la mondezza interna ed esterna, come egli stesso attesta, dicendo: Siate mondi, perché Io sono mondo.

XXX - Numero dei cavalli e degli scudieri

A ciascun soldato è lecito possedere tre cavalli, poiché l'insigne povertà della casa di Dio e del Tempio di Salomone non permette di aumentare oltre, se non per licenza del maestro.

XXXI - Nessuno ferisca uno scudiero che serve gratuitamente

Concediamo ai singoli militari per la stessa ragione un solo scudiero. Ma se gratuitamente e caritatevolmente quello scudiero appartiene a un soldato, a costui non è lecito flagellarlo, e neppure percuoterlo per qualsiasi colpa.

XXXII - In che modo siano ricevuti coloro che restano a tempo

Comandiamo a tutti i soldati che desiderano servire a tempo a Gesù Cristo con purezza d'animo nella stessa casa, di comprare fedelmente cavalli idonei in questo impegno quotidiano, e armi e quanto è necessario. Abbiamo anche giudicato, tutto considerato, che sia cosa buona e utile valutare i cavalli. Si conservi perciò il prezzo per iscritto perché non venga dimenticato: quanto sarà necessario al soldato, o ai suoi cavalli, o allo scudiero, aggiunti i ferri dei cavalli secondo la facoltà della casa, sia acquistato dalla stessa casa con fraterna carità. Se frattanto il soldato per qualche evento perdesse i suoi cavalli in questo servizio; il maestro per quanto può la casa, ne procurerà altri. Al giungere del momento di rimpatriare, lo stesso soldato conceda la metà del prezzo per amore divino, e se a lui piace, riceva l'altra dalla comunità dei fratelli.

XXXIII - Nessuno agisca secondo la propria volontà

È conveniente a questi soldati, che stimano niente di più caro loro di Cristo, che per il servizio, secondo il quale sono professi, e per la gloria della somma beatitudine, o il timore della geenna, prestino continuamente obbedienza al maestro. Occorre quindi che immediatamente, se qualcosa sia stato comandato dal maestro, o da colui al quale è stato dato mandato dal maestro, senza indugio, come fosse divinamente comandato, nel fare non conoscano indugio. Di questi tali la stessa verità dice: Per l'ascolto dell'orecchio mi ha obbedito.

XXXIV - Se è lecito andare senza comando del maestro in un luogo isolato

Scongiuriamo, e fermamente loro comandiamo, che i generosi soldati che hanno rinunciato alla propria volontà, e quanti sono aggregati, senza la licenza del maestro, o di colui cui fu conferito, di non permettersi di andare in un luogo isolato, eccetto di notte al sepolcro, in armi, e sorvegliare, poiché l'astuto nemico colpisce di giorno e di notte, o a quei luoghi che sono inclusi nelle mura della santa città.

XXXV - Se è lecito camminare da soli

Coloro che viaggiano, non ardiscano iniziare un viaggio né di giorno né di notte, senza un custode, cioè un soldato o un fratello professo. Infatti dopo che furono ospitati nella milizia, nessun militare, o scudiero o altro, si permetta di andare per vedere negli atri degli altri militari, o per parlare con qualcuno, senza permesso, come fu detto sopra. Perciò affermiamo saggiamente, che in tale casa ordinata da Dio, nessuno secondo il suo possesso svolga il proprio servizio o riposi; ma secondo il comando del maestro ciascuno agisca così che imiti la sentenza del Signore, con cui ha detto: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma di Colui che mi ha mandato.

XXXVI - Nessuno chieda singolarmente ciò che è a lui necessario

Comandiamo, che sia scritta tra le altre come propria questa consuetudine e posta ogni attenzione confermiamo perché si eviti di cercare il vizio. Nessun fratello professo, deve chiedere che gli sia assegnato personalmente un cavallo o una cavalcatura o delle armi. In che modo? Se la sua malattia, o la debolezza dei sui cavalli, o la scarsezza delle sue armi, fosse riconosciuta tale, che avanzare così sia un danno comune: si rechi dal maestro, o da colui chi è dovuto il ministero dopo il maestro, e gli esponga la causa con sincerità e purezza: infatti la cosa va risolta nella decisione del maestro, o del suo procuratore.

XXXVII - I morsi e gli speroni

Non vogliamo che mai oro o argento che sono ricchezze particolari appaiano nei morsi o nei pettorali, né gli speroni, o nei finimenti, né sia lecito ad alcun fratello professo acquistarli. Se per caso tali vecchi strumenti fossero stati dati in dono, l'oro o l'argento siano colorati in modo che il colore o il decoro non appaia arroganza in mezzo agli altri. Se fossero stati dati nuovi, il maestro faccia ciò che vuole di queste cose.

XXXVIII - Sulle aste e sugli scudi non venga posta una copertura

Non si abbia una copertura sopra gli scudi e le aste, perché secondo noi questo non è proficuo, anzi dannoso.

XXXIX - L'autorizzazione del maestro

Al maestro è lecito dare cavalli o armi a chiunque, o a chi ritiene opportuno qualunque altra cosa.

XL - Sacco e baule

Non sono permessi sacco e baule con il lucchetto: così siano presentati, perché non si posseggano senza il permesso del maestro, o di colui a cui furono affidati i compiti della casa e i compiti in sua vece. Da questa norma sono esclusi i procuratori e coloro che abitano in provincie diverse, e neppure è inteso lo stesso maestro.

XLI - L'autorizzazione scritta

In nessun modo a un fratello sia lecito ricevere, o dare, dai propri parenti, né qualsiasi uomo, né dall'uno all'altro, senza il permesso del maestro o del procuratore. Dopo che un fratello avrà avuto licenza, alla presenza del maestro, se così a lui piace, siano registrati. Nel caso che dai parenti sia indirizzato a lui qualcosa, non si permetta riceverla, se prima non è stato segnalato al maestro. In questa norma non sono inclusi il maestro e i procuratori della casa.

XLII - La confessione delle proprie colpe

Poiché ogni parola oziosa si sa che genera il peccato, che cosa essi diranno ostentatamente riguardo alle proprie colpe davanti al severo giudice. Dice bene il profeta che se occorre astenersi dai buoni discorsi per il silenzio, quanto più occorre astenersi dalle cattive parole per la penda del peccato. Vietiamo quindi che un fratello professo osi ricordare con un suo fratello, o con qualcun altro, per meglio dire, le stoltezze, che nel secolo nel servizio militare compì in modo enorme, e i piaceri della carne con sciaguratissime donne, o qualsiasi altra cosa: e se per caso avesse sentito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o appena può si allontani per obbedienza, e al venditore d'olio non offra il cuore.

XLIII - Questua e accettazione

Se a un fratello fosse stata data qualcosa senza averla chiesta, la consegni al maestro o all'economo: se un altro suo amico o parente non volesse che fosse usata se non da lui, questa non riceva fino a quando abbia il permesso del maestro. Colui al quale sarà stata data la cosa, non dispiaccia che venga data ad un altro: sappia per certo, che se si arrabbiasse per questo, agisce contro Dio. Nella sopraddetta regola non sono contenuti gli amministratori ai quali in modo speciale è affidato e concesso il ministero riguardo al sacco e al baule.

XLIV - I sacchi per il cibo sui cavalli

È utile a tutti che questo ordine da noi stabilito sia rispettato senza eccezioni. Nessun fratello presuma di confezionare sacchi per il cibo di lino o di lana, preparati con troppa cura: non ne abbia se non di panno grezzo.

XLV - Nessuno osi cambiare o domandare

Nessuno presuma di cambiare le sue cose, fratello con il fratello, senza l'autorizzazione del maestro, e chiedere qualcosa, se non fratello al fratello, purché la cosa sia piccola, vile, non grande.

XLVI - Nessuno catturi un uccello con un uccello, neppure proceda con il richiamo

Noi giudichiamo con sentenza comune che nessuno osi catturare un uccello con un uccello. Non conviene infatti aderire alla religione conservando i piaceri mondani, ma ascoltare volentieri i comandamenti del Signore, frequentemente applicarsi alle preghiere, confessare a Dio i propri peccati con lacrime e gemito quotidianamente nella preghiera. Nessun fratello professo per questa causa principale presuma di accompagnarsi con un uomo che opera con il falco o con qualche altro uccello.

XLVII - Nessuno colpisca una fiera con l'arco o la balestra

È conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello professo di non osare entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da uno sciagurato pagano: né osi gridare con un cane né garrire; né spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.

XLVIII - Il leone sia sempre colpito

Infatti è certo, che a voi fu specialmente affidato il compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti contro lui.

XLIX - Ascoltate il giudizio riguardo a quanto è chiesto su di voi

Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono senza numero, e si affrettano incessantemente e sempre più crudelmente ad inquietare coloro che non amano le contese. In questo si tenga la sentenza del Concilio fatta con serena considerazione, che se qualcuno nelle parti della regione orientale, o in qualunque altro luogo chiedesse qualcosa su di voi, a voi comandiamo di ascoltare il giudizio emesso da giudici fedeli e amanti del vero; e ciò che sarà giusto, comandiamo che voi compiate senza esitazione.

L - In ogni cosa sia tenuta questa regola

Questa stessa regola comandiamo che venga tenuta per sempre in tutte le cose che immeritatamente sono state a voli tolte.

LI - Quando è lecito a tutti i militari professi avere una terra e degli uomini

Crediamo che per divina provvidenza nei santi luoghi prese inizio da voi questo genere nuovo di religione che cioè alla religione sia unita la milizia e così per la religione proceda armata mediante la milizia, o senza colpa colpisca il nemico. Giustamente quindi giudichiamo, poiché siamo chiamati soldati del Tempio che voi stessi per l'insigne e speciale merito di probità abbiate casa, terra, uomini, contadini e giustamente li governate: e a voi è dovuto in modo particolare quanto stabilito.

LII - Ai malati sia dedicata un'attenzione particolare

Ai fratelli che stanno male occorre prestare una cura attentissima, come si servisse a Cristo in loro: il detto evangelico, sono stato infermo e mi visitaste sia attentamente ricordato. Costoro vanno sopportati pazientemente, perché mediante loro senza dubbio si acquista una retribuzione superiore.

LIII - Agli infermi sia sempre dato ciò che è necessario

Agli assistenti degli infermi comandiamo con ogni osservanza e attenta cura, che quanto è necessario per le diverse malattie, fedelmente e diligentemente, secondo le possibilità della casa sia loro amministrato, ad esempio, carne e volatili ed altro, fino quando siano restituiti alla sanità.

LIV - Nessuno provochi l'altro all'ira

Massima attenzione va posta perché qualcuno non presuma di provocare l'altro all'ira: infatti la somma clemenza della vicina divina fraternità congiunse tanto i poveri quanto i potenti.

LV - In che modo siano accolti i fratelli sposati

Permettiamo a voi di accogliere i fratelli sposati in questo modo, se chiedono il beneficio e la partecipazione della vostra fraternità, entrambi concedano una parte della loro sostanza e quanto avessero ad acquistare lo diano all'unità del comune capitolo dopo la loro morte, e frattanto conducano una vita onesta, e si studino di agire bene verso i fratelli, ma non portino la veste candida e il mantello bianco. Se il marito fosse morto prima, lasci la sua parte ai fratelli: la moglie ricavi il sostegno della vita dall'altra parte. Consideriamo infatti questo ingiusto che fratelli di questo tipo risiedano nella stessa casa dei fratelli che hanno promesso la castità a Dio.

LVI - Non si abbiano più sorelle

Riunire ancora sorelle è pericoloso: l'antico nemico a causa della compagnia femminile cacciò molti dalla retta via del paradiso. Perciò, fratelli carissimi, perché sempre tra voi sia visibile il fiore dell'integrità, non è lecito mantenere ancora questa consuetudine.

LVII - I fratelli del Tempio non abbiano parte con gli scomunicati

Questo, fratelli è da evitare e da temere, che qualcuno dei soldati di Cristo in qualche modo si unisca ad una persona scomunicata singolarmente e pubblicamente, o presuma di ricevere le sue cose, perché la scomunica non sia simile al marantha (vieni Signore). Ma se fosse soltanto interdetto, non sarà fuori posto avere parte con lui, e ricevere caritatevolmente le sue cose.

LVIII - In che modo vanno ricevuti i soldati secolari

Se un soldato dalla massa della perdizione, o un altro secolare, volendo rinunziare al mondo, volesse scegliere la nostra comunione e vita, non si dia a lui subito l'assenso, ma secondo la parola di Paolo, provate gli spiriti se sono da Dio così a lui sia concesso l'ingresso. Si legga dunque la Regola in sua presenza: e se costui ottempererà diligentemente ai comandi di questa esimia Regola, allora se al maestro e ai fratelli sarà piaciuto riceverlo, convocati i fratelli esponga con purezza d'animo a tutti il suo desiderio e la sua richiesta. In seguito il termine della prova dipenda in tutto dalla considerazione e dalla decisione del maestro, secondo l'onestà di vita del richiedente.

LIX - Non siano chiamati tutti i fratelli al consiglio privato

Comandiamo che non sempre siano convocati al consiglio tutti i fratelli, ma solo quelli che il maestro avrà ritenuto idonei e provvidenziali per il consiglio. Quando volesse trattare le questioni maggiori, quale dare la terra comune, o discutere dell'Ordine stesso, o ricevere un fratello: allora è opportuno convocare tutta la congregazione, se così ritiene il maestro; udito il parere di tutto il capitolo, quanto di meglio e di più utile il maestro avrà ritenuto opportuno, questo si faccia.

LX - Devono pregare in silenzio

Comandiamo con parere concorde che, come avrà richiesto la propensione dell'anima e del corpo, i fratelli preghino in piedi o seduti: tuttavia con massima riverenza con semplicità, senza chiasso, perché uno non disturbi l'altro.

LXI - Ricevere la fede dei serventi

Abbiamo saputo che molti da diverse province, tanto aggregati, quanto scudieri desiderano vincolarsi nella nostra casa a tempo con animo fervoroso per la salvezza delle anime. È utile che riceviate la fede loro, affinché per caso l'antico nemico non intimi loro nel servizio di Dio alcunché furtivamente o indecentemente, o li distolga improvvisamente dal buon proposito.

LXII - I fanciulli, fin quando sono piccoli, non siano ricevuti tra i fratelli del Tempio

Quantunque la Regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli in una congregazione, noi non riteniamo di dover caricare voi di tale peso. Chi volesse dare in perpetuo suo figlio, o un suo congiunto, nella religione militare: lo nutra fino agli anni, in cui virilmente con mano armata possa eliminare dalla Terra Santa i nemici di Cristo: in seguito secondo la Regola il padre o i genitori lo pongano in mezzo ai fratelli, e rendano nota la sua richiesta. È meglio nella fanciullezza non giurare, piuttosto che diventato uomo ritirarsi in modo clamoroso.

LXIII- Sempre i vecchi siano venerati

È bene che i vecchi con pia considerazione, secondo la debolezza delle forze siano sopportati e diligentemente onorati: i nessun modo si usi severità in quanto la tolleranza è necessaria per il corpo, salva tuttavia l'autorità della Regola.

LXIV - I fratelli che partono per diverse province

I fratelli che si incamminano per diverse province, per quanto lo permettano le forze, si impegnino a osservare la Regola nel cibo e nella bevanda e nelle altre cose, e vivano in modo irreprensibile, perché abbiano buona testimonianza da coloro che stanno fuori: non macchino il proposito di religione né con parola né con atto, ma soprattutto a coloro, con i quali si sono incontrati, offrano esempio e sostanza di sapienza e di buone opere. Colui presso il quale avranno deciso di alloggiare, abbia buona fama: e, se è possibile, la casa dell'ospite in quella notte non manchi della candela, affinché il nemico tenebroso non procuri la morte, Dio non voglia. Quando avranno sentito di riunire soldati non scomunicati, diciamo che colà devono andare non preoccupandosi di una utilità temporale, quanto piuttosto della salvezza eterna delle loro anime. Ai fratelli diretti nelle zone aldilà del mare con la speranza di essere trasportati, raccomandiamo di ricevere con questa convenzione coloro che avessero voluto unirsi in perpetuo all'Ordine militare: entrambi si presentino al Vescovo di quella provincia e il presule ascolti la volontà di colui che chiede. Ascoltata la richiesta, il fratello lo invii al maestro e ai fratelli che si trovano nel Tempio che è in Gerusalemme: e se la sua vita è onesta e degna di tale appartenenza, misericordiosamente sia accolto, se questo sembra bene al maestro e ai fratelli. Se nel frattempo morisse, a causa del lavoro e della fatica, come a un fratello, a lui sia riconosciuto tutto il beneficio e la fraternità dei poveri e dei commilitoni di Cristo.

LXV- A tutti sia distribuito in modo uguale il vitto

Riteniamo anche che questo in modo congruo e ragionevole sia rispettato, che a tutti i fratelli professi sia dato cibo in eguale misura secondo la possibilità del luogo: non è infatti utile l'accezione delle persone, ma è necessario considerare le indisposizioni.

LXVI - I soldati abbiano le decime del Tempio

Crediamo che avendo abbandonato le ricchezze a voi donate abbiate ad essere soggetti alla spontanea povertà, per cui in questo modo abbiamo dimostrato in quale modo spettino a voi che vivete in vita comune le decime. Se il Vescovo della chiesa, al quale è dovuta giustamente la decima, avrà voluto darla a voi caritatevolmente: deve dare a voi le decime che allora la Chiesa sembra possedere con il consenso del capitolo comune. Se un laico dovesse impossessarsi di essa (decima) o sottrarla dal suo patrimonio in modo condannabile, e confessando la propria colpa avrà voluto lasciare a voi la stessa: secondo la discrezione di colui che presiede questo può essere fatto, senza il consenso del capitolo.

LXVII - Le colpe leggere e gravi

Se un fratello avrà sbagliato in modo lieve nel parlare, nell'agire o altrimenti, egli stesso confessi al maestro il suo peccato con l'impegno della soddisfazione. Per le cose lievi, se non esiste una consuetudine, ci sia una lieve penitenza. Nel caso in cui tacesse e la colpa fosse conosciuta attraverso un altro, sia sottoposto a una disciplina e ad una riparazione maggiore e più evidente.Se la colpa sarà grave, si allontani dalla familiarità dei fratelli, né mangi con loro alla stessa mensa, ma da solo assuma il pasto. Il tutto dipenda dalla decisione e dall'indicazione del maestro, affinché sia salvo nel giorno del giudizio.

LXVIII - Per quale colpa il fratello non sia più accolto

Soprattutto occorre provvedere che, nessun fratello, sia potente o impotente, forte o debole, voglia esaltarsi e poco a poco insuperbire, difendere la propria colpa, possa rimanere indisciplinato: ma, se non avrà voluto correggersi, a lui venga data una correzione più severa. Che se non avrà voluto correggersi con pie ammonizioni e per le preghiere a lui innalzate, ma si sarà innalzato sempre più nella superbia: allora secondo l'apostolo, sia sradicato dal pio gregge: togliete il male da voi: è necessario che la pecora malata sia allontanata dalla società dei fratelli fedeli. Inoltre il maestro che deve tenere in mano il bastone e la verga (cioè il bastone, con cui sostenga le debolezze delle altre forze, la verga con cui colpisca con lo zelo della rettitudine i vizi di coloro che vengono meno) con il consiglio del Patriarca e con una considerazione spirituale sul da farsi affinché, come dice il beato Massimo, la più libera clemenza non approvi l'arroganza del peccatore, né l'esagerata severità non richiami dall'errore chi sbaglia.

LXIX - Dalla solennità di Pasqua fino a Tutti i Santi si possa soltanto portare una camicia di lino

Per il grande caldo della regione orientale, consideriamo compassionevolmente, che dalla festa di Pasqua fino alla solennità di Tutti i Santi, si dia a ciascuno una unica camicia di lino, non per il dovuto, ma per sola grazia, e questo dico per chi vorrà usufruire di essa. Negli altri tempi generalmente tutti portino camicie di lana.

LXX - Quanti e quali panni siano necessari nel letto

Per coloro che dormono nei singoli letti riteniamo di comune consiglio, se non sopravviene qualche grave causa o necessità: ciascuno abbia biancheria secondo la discreta assegnazione del maestro: crediamo infatti che a ciascuno sia sufficiente un pagliericcio, un cuscino e una coperta. Colui che manca di uno di questi, prenda una stuoia, e in ogni tempo sarà lecito usufruire di una coperta di lino, cioè un panno: dormano vestiti con la camicia, e sempre dormano indossando gli stivali. Mentre i fratelli dormono, fino al mattino non manchi la lucerna.

LXXI - Va evitata la mormorazione

Comandiamo a voi, per divino ammonimento di evitare, quasi peste da fuggire, le emulazioni, il livore, le mormorazioni, il sussurrare, le detrazioni. Si impegni ciascuno con animo vigile, a non incolpare o riprendere il suo fratello ma ricordi tra se la parola dell'apostolo: non essere un accusatore, né diffamatore del popolo. Quando qualcuno avrà conosciuto che un fratello ha peccato in qualcosa, in pace e fraterna pietà, secondo il precetto del Signore, lo corregga tra sé e lui solo: e se non lo avrà ascoltato prenda un altro fratello: ma se avrà disprezzato entrambi, in riunione davanti al capitolo tutto sia rimproverato. Soffrono di grave cecità, coloro che calunniano gli altri; sono di grande infelicità coloro che non si guardano dal livore: da qui sono immersi nell'antica iniquità dell'astuto nemico.

LXXII - Si evitino i baci di tutte le donne

Riteniamo pericoloso per ogni religioso fissare lungamente il volto delle donne: perciò un fratello non osi baciare né una vedova, né una nubile, né la madre, né la sorella, né un'amica, né nessuna altra donna. Fugga dunque la milizia di Cristo i baci femminili, attraverso i quali gli uomini spesso sono in pericolo: così con coscienza pura e vita libera può perennemente conversare al cospetto del Signore.
 
Top
Percival
view post Posted on 21/11/2009, 21:58




Il "De laude novae militiae ad Milites Templi" (Elogio della nuova Cavalleria ai cavalieri del Tempio) è un'opera di San Bernardo di Chiaravalle, composta tra il 1128, anno del concilio di Troyes ed il 1136, anno della morte di Ugo di Payns, Maestro dell'Ordine dei Templari, cui fu dedicata l'opera, come exhortatorius sermo ad Milites Templi, riprendendo l'espressione del Santo nel Prologo dell'opera.

In quest'opera viene esaltato il ruolo del monaco guerriero e viene giustificata l'uccisione degli infedeli.


L’ELOGIO DELLA NUOVA CAVALLERIA AI CAVALIERI DEL TEMPIO
PROLOGO

A Ugo, cavaliere di Cristo e Maestro della Milizia di Cristo, Bernardo, abate di Chiaravalle solo di nome: combattere il giusto combattimento (II Tim., 4,7).

Per una, due, tre volte, se non erro, o dilettissimo Ugo, mi hai chiesto di scrivere un discorso di esortazione per te e per i tuoi compagni d’arme e di brandire lo stilo, dal momento che non mi è concesso brandire la lancia, contro un nemico tirannico. Affermi che sarà per voi di non poco conforto se io vi incoraggerò per mezzo dei miei scritti, dal momento che non posso farlo per mezzo delle armi.

Ho tardato alquanto, in verità, non perché la richiesta mi sembrasse da disprezzare, ma perché il mio consenso non fosse tacciato di leggerezza e frettolosità: uno migliore di me potrebbe adempiere più degnamente a questo compito. Se, nella mia inesperienza, peccassi di presunzione rischierei di rovinare per colpa mia un’opera quanto mai necessaria.

Mi rendo conto di aver atteso abbastanza a lungo, e inutilmente, e, per non sembrare più riluttante che incapace, ho fatto infine quello che ho potuto: il lettore giudichi se io sono stato all’altezza del compito.

E se pure qualcuno sarà poco o niente soddisfatto, non importa poiché, nella misura delle mie capacità, io non ho deluso la tua aspettativa.

1 – L’elogio della nuova Cavalleria.

1. Da qualche tempo si diffonde la notizia che un nuovo genere di Cavalleria è apparso nel mondo, e proprio in quella contrada che un giorno Colui che si leva dall’alto visitò essendosi reso manifesto nella carne; in quegli stessi luoghi dai quali Egli con la potenza della sua mano (Is., 10,13) scacciò i principi delle tenebre, possa oggi annientare con la schiera dei suoi forti e, seguaci di quelli, i figli dell’incredulità, riscattando di nuovo il suo popolo e suscitando per noi un Salvatore nella casa di David, suo servo. (~Eph., 2,2; Lc. 69)

Un nuovo genere di cavalieri, dico, che i tempi passati non hanno mai conosciuto: essi combattono senza tregua una duplice battaglia, sia contro la carne ed il sangue sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibile. (Eph., 6.12)

In verità quando valorosamente si combatte con le sole forze fisiche contro un nemico terreno, io non ritengo ciò stupefacente né eccezionale: E quando col valore dell’anima si dichiari guerra ai vizi o ai demoni, neppure allora dirò che questo è segno di ammirazione, sebbene questa battaglia sia degna di lode, dal momento che il mondo è pieno di monaci.

Ma quando il combattente ed il monaco con coraggio si cingono ciascuno il suo cingolo chi non potrebbe ritenere un fatto del genere davvero degno d’ogni ammirazione, per quanto finora insolito?

E’ davvero impavido e protetto da ogni lato quel cavaliere che come si riveste il corpo di ferro, così riveste la sua anima con l’armatura della fede. (I Thess., 5,8)

Nessuna meraviglia se, possedendo entrambe le armi, non teme né il demonio né gli uomini. E nemmeno teme la morte egli che desidera morire. Difatti cosa avrebbe da temere, in vita o in morte, colui per il quale il Cristo è la vita e la morte un guadagno? (Phil., 1,21)

Egli sta saldo, invero, con fiducia e di buon grado per il Cristo; ma ancor più desidera che la sua vita sia dissolta per essere con Cristo (Phil., 1,23): questa è infatti la cosa migliore.

Avanzate dunque sicuri, cavalieri, e con intrepido animo respingete i nemici della croce di Cristo! (Phil., 3,18) Siate sicuri che né la morte né la vita potranno separarvi dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù. (Rom., 8,38) E ripetete nel momento del pericolo, ben a ragione: sia che viviamo sia che moriamo apparteniamo al Signore. (Rom., 14,8)

Con quanta gloria tornano i vincitori dalla battaglia! Quanti beati muoiono martiri in combattimento! Rallegrati o forte campione se vivi e vinci nel Signore: ma ancor più esulta e sii fiero nella tua gloria se morirai e ti riunirai al Signore. Per quanto la vita sia fruttuosa e la vittoria gloriosa a giusto diritto ad entrambe è da anteporre la morte sacra. Se, infatti, sono beati quelli che muoiono nel Signore (Apoc., 14,13), quanto più lo saranno quelli che muoiono per il Signore?

2. E’ senza dubbio preziosa al cospetto di Dio la morte dei suoi santi (Ps., 115,15) ma la morte in combattimento ha tanto più valore in quanto è più gloriosa.

Oh, vita sicura, quando vi sia coscienza pura! Oh, dico io, vita sicura quando la morte è attesa senza terrore, ma è addirittura desiderata con gioia ed accettata con devozione! Oh! Cavalleria veramente santa e sicura e del tutto immune dal duplice pericolo nel quale gli uomini corrono spesso il rischio di cadere quando la causa del combattimento non è solo in Cristo.

Infatti, tu che sei cavaliere secondo le norme della cavalleria secolare, ogni volta che entri in battaglia devi soprattutto temere di uccidere te stesso nell’anima se uccidi il nemico nel corpo o di essere ucciso nell’anima e nel corpo se è il tuo nemico ad ucciderti. Inoltre, per il cristiano, il pericolo o la vittoria vengono giudicati non dal successo delle azioni, ma dalla disposizione del cuore.

Se la causa per la quale si combatte è buona, l’esito della battaglia non potrà essere cattivo, allo stesso modo non sarà stimata buona conclusione quella che non sia stata preceduta da una buona causa e da una retta intenzione.

Se nell’intenzione di uccidere l’avversario ti succederà invece di essere ucciso, tu morirai da omicida [intenzionale]. E se avrai il sopravvento nel desiderio di sopraffare e di vendicarti, vivrai da omicida.

L’omicidio non giova né al morto né a chi vive, né al vinto né al vincitore. Infelice vittoria mediante la quale, vincendo un uomo, soccombi al peccato! E dal momento che sei dominato dall’ira o dalla superbia, invano ti glorierai di aver dominato il tuo avversario.

Vi è tuttavia chi uccide un uomo non per desiderio di vendetta né per brama di vittoria, ma solo per salvare la propria vita.
Ma neppure questa affermerò essere una buona vittoria: dei due mali il minore è morire nel corpo che nell’anima. Infatti l’anima non muore per l’uccisione del corpo: ma l’anima che avrà peccato morrà (Ez., 18,4).

3. Qual è dunque il fine ed i vantaggi di quella cavalleria secolare che io non chiamo “milizia” ma “malizia” dal momento che l’uccisore pecca mortalmente e chi muore perisce per l’eternità?

Infatti, per usare le parole dell’Apostolo: chi ara deve arare nella speranza e chi batte il grano nella speranza di coglierne i frutti. (I Cor., 9,10). Pertanto, cos’è, cavalieri, questo errore tanto sbalorditivo, questa follia tanto insopportabile: compiere la vostra malizia con tante spese e fatiche senza nessun’altra ricompensa se non la morte ed il crimine?

Bardate di seta i cavalli, e sopra le vostre armature indossate non so quali bande di stoffa ondeggianti; dipingete le lance e gli scudi e le selle; abbellite con oro, argento e gemme i morsi e gli speroni. E con tanto sfarzo, con un furore vergognoso e una stupidità che vi impedisce la vergogna vi precipitate alla morte.

Ma sono questi ornamenti militari o piuttosto abbigliamenti da donne?

Credete forse che la spada del nemico rispetterà l’oro, risparmierà le gemme e non sarà in grado di trapassare la seta? Ed infine tre sono le qualità principalmente necessarie al combattente – cosa che voi stessi molto spesso e concretamente avete sperimentato cioè che il cavaliere sia risoluto, abile e circospetto per la propria salvezza e libero da impedimenti per poter correre e pronto a colpire.
Voi, al contrario, lasciate crescere, con uso femmineo, la chioma a molestia degli occhi, impacciate i passi con camicie lunghe e fluenti, seppellite le mani tenere e delicate in maniche ampie e svolazzanti.

Ma, al di sopra di tutto ciò, vi è – cosa che maggiormente atterrisce la coscienza d’un uomo d’armi – la causa leggera e frivola per la quale intraprendete la vita di cavalleria tanto pericolosa.

Tra voi null’altro provoca le guerre se non un irragionevole atto di collera, desiderio d’una gloria vana, bramosia di qualche bene terreno. E certamente per tali motivi non è senza pericolo uccidere o morire.

III - Dei Cavalieri di Cristo.

4. I Cavalieri di Cristo, al contrario, combattono sicuri la guerra del loro Signore, non temendo in alcun modo né peccato per l’uccisione dei nemici né pericolo se cadono in combattimento. La morte per Cristo, infatti, sia che venga subita sia che venga data, non ha nulla di peccaminoso ed è degna di altissima gloria.
Infatti nel primo caso si guadagna [la vittoria] per Cristo, nel secondo si guadagna il Cristo stesso. Egli accetta certamente di buon grado la morte del nemico come castigo, ma ancor più volentieri offre se stesso al combattente come conforto.

Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per se stesso, dando la morte vince per Cristo.

Non è infatti senza ragione che porta la spada: è ministro di Dio per la punizione dei malvagi e la lode dei giusti (Rom., 13,4; I Pet., 2,14).

Quando uccide un malfattore giustamente non viene considerato un omicida, ma, oserei dire, un «malicida» e vendicatore da parte di Cristo nei confronti di coloro che operano il male, difensore del popolo cristiano. E quando invece viene ucciso si sa che non perisce ma perviene [al suo scopo].

La morte che infligge è una vittoria di Cristo: quella che riceve è a proprio vantaggio. Dalla morte dell’infedele il cristiano trae gloria poiché il Cristo viene glorificato: nella morte del cristiano si manifesta la generosità del suo RE che chiama a se il suo cavaliere per donargli la ricompensa.

Pertanto sul nemico ucciso il giusto si rallegrerà vedendo la vendetta (Ps., 57,12).

Certo non si dovrebbero uccidere neppure gli infedeli se in qualche altro modo si potesse impedire la loro eccessiva molestia e l’oppressione dei fedeli. Ma nella situazione attuale è meglio che essi vengano uccisi, piuttosto che lasciare senza scampo la verga dei peccatori sospesa sulla sorte dei giusti e affinché i giusti non spingano le loro azioni fino alla iniquità.

5. E che, dunque, se ferire di spada fosse del tutto illecito per il Cristiano, perché dunque l’araldo del Salvatore avrebbe prescritto ai soldati di essere contenti dei loro stipendi (Lc., 3,14), e non avrebbe piuttosto interdetto loro l’uso di ogni arma?

Se invece è permesso a tutti – e ciò risponde a verità – o almeno a quelli ordinati espressamente per volere divino all’esercizio delle armi, che non hanno fatto voto di maggior perfezione, da chi, io chiedo, dovrebbe esser tenuta la nostra città di Sion, città della nostra fortezza, se non dal braccio e dal valore dei cristiani, per protezione nostra e di tutti? Così che, avendone scacciati i trasgressori della legge divina, con sicurezza vi entrino i giusti, custodi della verità.

Siano dunque disperse senza timore le nazioni che vogliono la guerra (Ps., 67,31); siano estirpati coloro che ci minacciano, e siano scacciati dalla città del Signore tutti i malfattori che tentano di portar via da Gerusalemme le inestimabili ricchezze del popolo cristiano ivi riposte, che contaminano i luoghi santi, che si trasmettono di padre in figlio il Santuario di Dio.

Sia sguainata la doppia spada dei fedeli sulle teste dei nemici per distruggere qualunque superbia (ad destruendam omnem altitudinem) che osi ergersi contro la conoscenza di Dio, che è la fede cristiana, affinchè le nazioni non dicano: Dov’è il loro Dio? (Ps., 113,2).

6. Quando tutti gli infedeli saranno stati scacciati riprenderà possesso della sua casa e della sua eredità quello stesso che a proposito di essa gridò con collera nel Vangelo: Ecco, la nostra dimora sarà lasciata deserta (Mt., 23,38), e che per bocca del profeta si era lamentato: Ho lasciato la mia casa, ho abbandonato la mia eredità (Ier., 12,7). Egli adempierà in tal modo quella profezia: Il Signore ha riscattato il suo popolo e lo ha liberato; verranno ed esulteranno sulla montagna di Sion e godranno benefici del Signore (Ier., XXXI,11-12).

Rallegrati, Gerusalemme, e riconosci il tempo in cui sei stata visitata. Godete e lodate anche voi, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme; Dio ha mostrato la sua santa potenza al cospetto di tutte le nazioni (Is., 52,9-10). Tu eri caduta; o Vergine d’Israele, e non c’era chi ti risollevasse: sorgi dunque, o vergine, scuoti la polvere, o sventurata figlia di Sion! Alzati, ti dico, e tieniti eretta nello splendore (Is., 52,2), e vedi la gioia che ti viene dal tuo Dio. Non ti chiameranno più derelitta, e la tua terra non sarà più a lungo detta desolata. Poiché il Signore si è compiaciuto di te (Is., 62,64), ed il tuo territorio sarà ripopolato.

Alza gli occhi attorno e guarda: tutti costoro si sono riuniti e sono venuti a te (Is., 49,18). Dall’alto ti è stato inviato questo aiuto.

Per mezzo di questi [dei cavalieri] perfettamente si compie l’antica promessa: Io ti conferirò una gloria che durerà nei secoli e la tua gioia sarà di generazione in generazione; tu berrai il latte delle nazioni, ti nutrirai alle mammelle riservate ai re (Is., 60,15). Ed ancora: Così come la madre consola i suoi figli, così io vi consolerò, ed in Gerusalemme sarete confortati (Is., 66,13).

Non vedete, dunque, quanta abbondante testimonianza la nuova cavalleria ha ricevuto dai tempi antichi, e che quanto abbiamo udito lo vedremo compiersi nella città del Signore degli eserciti (Ps., 49,7)?

Ma non bisogna che l’interpretazione della lettera nuoccia alla comprensione dello spirito: le parole di profeti, che noi speriamo di veder realizzate per l’eternità, le adattiamo a questi nostri tempi in modo che ciò in cui crediamo non svanisca a causa di ciò che vediamo, e affinché la pochezza dei beni di questa terra non faccia scemare la ricchezza della speranza e la testimonianza delle cose presenti non tolga speranza per l’avvenire.

La gloria temporale della città terrena non distrugge i beni celesti, al contrario li garantisce; a patto che noi sappiamo riconoscere in questa [nella Gerusalemme terrena] l’immagine della città del cielo, nostra madre (cfr. Apoc., 21,9-27).

IV – Come vivono i cavalieri di Cristo.

7. Ma ora, per dare un esempio e per confondere i nostri cavalieri secolari, che certamente non militano per Dio ma per il diavolo, trattiamo brevemente dei costumi e della vita dei cavalieri di Cristo: come essi si comportano in guerra e in pace, affinché appaia chiaramente quanto differiscano tra loro la cavalleria di Dio e la cavalleria del secolo.

Innanzitutto non manca la disciplina, né l’obbedienza viene mai disprezzata: poiché, secondo la testimonianza della Scrittura, Il figlio disobbediente perirà (Eccl., XXII,3) e Opporsi alla disciplina è peccato pari all’esercizio della magia, e non voler obbedire è peccato quasi come l’idolatria (I Reg., 15,23).

Ad un cenno del superiore si viene e si va, si veste di ciò che egli donò: né si attende da altre fonti il nutrimento e il vestito. Nel vitto e nell’atteggiamento ci si astiene da ogni cosa superflua, si provvede alla pura necessità.

Si vive in comune, con un genere di vita sobrio e lieto senza spose e figli. E affinché la perfezione evangelica sia completamente realizzata, essi abitano in una stessa casa, con una stessa regola di vita e senza possedere niente di proprio, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace (Eph., 4,3). Diresti che tutta questa gente abbia un cuore solo ed un’anima sola: a tal punto ognuno si sforza di seguire non la propria volontà ma quella di chi comanda.

Non siedono mai oziosi, né gironzolano curiosi; ma quando non sono occupati in guerra (cosa che succede davvero di rado), per non mangiare il pane a ufo riparano le armi e le vesti danneggiate, o rinnovano quelle vecchi, o mettono in ordine ciò che è in disordine, ed infine la volontà del maestro e la comune necessità dispongono il da farsi.

Tra di essi nessuna preferenza: il rispetto è dato al migliore, non al più nobile di natali.

Fanno a gara nell’onorarsi a vicenda (Rom., 12,10); e vicendevolmente portano il loro fardello, per compiere così la legge di Cristo (Gal., 6,2).

Mai una parola insolente, un’azione inutile, una risata sguaiata, una mormorazione per quanto leggera e fatta sottovoce, quando vengono colte in fallo restano impunite. Detestano il gioco degli scacchi e dei dadi; la caccia è tenuta in spregio, né si rallegrano della cattura di uccelli per diporto, cosa molto in voga [altrove].

Sdegnano e aborriscono i mimi, i fattucchieri, i cantastorie, le canzoni scurrili, gli spettacoli dei giocolieri, e così pure la vanità e le follie contrarie alla verità.

Tagliano corti i capelli sapendo che, come dice l’Apostolo, è vergognoso per un uomo curarsi la chioma (I Cor., 11,4). Non si acconciano mai, si lavano di rado, ma sono piuttosto irsuti per la capigliatura negletta, bruttati dalla polvere, abbronzati dall’armatura e dal forte calore.

8. Quando giunge l’ora della battaglia, essi si armano di dentro con la fede e di fuori col ferro e non con l’oro, affinchè i nemici abbiano terrore di loro e non invidia, essi sono armati, cioè non ornati.

Vogliono cavalli forti e veloci e non ricoperti da sgargianti gualdrappe e finimenti di lusso: essi si preoccupano infatti della battaglia e non dello sfarzo, della vittoria, non della gloria, e badano d’esser piuttosto causa di terrore che d’ammirazione. Pertanto non turbolenti ed impetuosi, senza precipitarsi con leggerezza, si ordinano ponderatamente e con ogni cautela e prudenza e si dispongono in assetto di guerra, così come è stato scritto dai nostri padri, come veri figli del [nuovo] Israele pieni di pace s’avanzano per la battaglia (cfr. II Mac., 15,20).

Ma al momento dello scontro, e allora soltanto, smessa la dolcezza di prima, come dicessero: Non devo forse odiare chi Ti odia o Signore, e detestare i Tuoi avversari? (Ps., 138,21) fanno impeto contro i propri avversari, reputano i propri nemici branchi di pecore e mai, pur essendo pochissimi, temono la crudele barbarie e la schiacciante moltitudine. Essi hanno infatti appreso a non confidare nelle proprie forze, ma ad attendere la vittoria dal volere del Dio degli eserciti, al quale, secondo quanto è scritto nel Libro dei Maccabei, pensano sia molto agevole mettere molti nelle mani di pochi; e che per il Dio dei cieli non fa differenza salvare i molti o i pochi, poiché la vittoria non sta nel numero dei combattenti, ma nella forza che vien dall’alto (I Mc., 3,18-19).

E di ciò hanno fatto molto spesso esperienza, così che generalmente uno solo ne incalza quasi mille e due ne hanno messi in fuga diecimila (cfr. Ps., 90).

Così dunque per una singolare ed ammirabile combinazione sono, a vedersi, più miti degli agnelli e feroci dei leoni, a tal punto che esito se sia meglio chiamarli monaci o piuttosto cavalieri. Ma, forse, potrei chiamarli più esattamente in entrambi i modi, poiché ad essi non manca né la dolcezza del monaco né la fermezza del cavaliere. E di questa qualità cosa si potrebbe dire se non che è opera di Dio, ed è degna di ammirazione ai nostri occhi (Cant., 3,7-8)?

Dio stesso ha scelto per sé tali uomini ed ha raccolto dai confini estremi del mondo questi suoi ministri [ministri della Sua giustizia] tra i più valorosi d’Israele per custodire con fedeltà e vigilmente il letto del vero Salomone – cioè il Santo Sepolcro – tutti armati di spada ed esperti quant’altri mai nell’arte della guerra (Ps., 117,23).

V- Il Tempio

9. Il tempio di Gerusalemme,nel quale hanno comune dimora, è una costruzione senza dubbio più modesta dell’antico e di gran lunga più famoso tempio di Salomone, ma non gli è inferiore in gloria. Mentre lo splendore di quello consisteva in cose corruttibili d’oro e d’argento (I Pet., 1,18), nella squadratura delle pietre, nella varietà dei legni; tutto il decoro di questo, al contrario, e l’ornamento che fa gradita la sua bellezza è la devota religiosità dei suoi abitanti ed il loro disciplinatissimo genere di vita.

Il primo tempio s’imponeva all’ammirazione per gli svariati colori; il secondo è degno di venerazione per le svariate virtù e le sante azioni. La santità conviene infatti alla casa di Dio, poiché Egli si compiace non tanto dei marmi lucidati a specchio, quanto dei costumi morigerati ed ama le menti pure più che le pareti dorate (cfr. Ps., 92,5).

Tuttavia l’aspetto di questo tempio è anch’esso ornato, ma di armi, non di gemme. Ed invece delle antiche corone d’oro, le pareti sono ricoperte di scudi appesi tutt’intorno; e invece dei candelieri, degli incensieri, dei vasi. La dimora è provvista d’ogni parte di freni, di selle, di lance.

Queste cose dimostrano apertamente che i cavalieri fervano per la casa di Dio del medesimo zelo del quale una volta violentissimamente infiammato il Condottiero stesso dei cavalieri (militum dux), avendo armato la sua mano santissima non di spada ma di un flagello fatto di funicelle, entrò nel tempio e ne scacciò i mercanti, sparse il denaro dei cambiavalute e rovesciò i banchi dei venditori di colombe, giudicando cosa oltremodo indegna che una casa di orazione fosse macchiata da mercanti di tal fatta (cfr. Mt., 20, 12-13; Jo., 2, 14-16).

Pertanto, trascinata dall’esempio del suo Re, questa armata consacrata, giudicando a ragione di gran lunga più indegno che i suoi santi siano infestati dagli infedeli invece che contaminati dai mercanti, vivono nella casa santa con armi e cavalli; e così avendo rigettato da essa e da tutti i luoghi santi ogni sozza e titanica rabbia degli infedeli, ci si intrattengono notte e giorno in occupazioni tanto utili quanto oneste.

Essi onorano a gara il tempio di Dio con assiduo e sincero ossequio, immolando in esso con devozione perenne, non carni ovine secondo l’antico rito, ma vittime pacifiche: l’affetto fraterno e l’ubbidienza fedele, la povertà volontaria.

10. Questi fatti avvengono in Gerusalemme, ed il mondo intero ne è scosso. Le isole stanno in ascolto; i popoli lontani osservano e da Oriente ad Occidente ribollono come un torrente di gloria universale che straripa, e come l’impeto di un fiume che allieta la città di Dio (cfr. Is., 49,1).

Ma ciò che appare più bello, ed offre più vantaggi è che, in quella folla tanto numerosa che confluisce a Gerusalemme, pochi sono certamente coloro che non siano stati scellerati ed empi, ladri e sacrileghi, omicidi, spergiuri, adulteri.

E, come dalla loro partenza scaturisce un doppio beneficio, essa produce una duplice gioia: dal momento che essi danno tanta gioia al loro prossimo quando se ne vanno, quanta ne danno a coloro in soccorso dei quali si dirigono. Essi sono infatti ben accolti in entrambi i casi, non solo difendendo questi [i cristiani pellegrini a Gerusalemme] ma anche cessando di opprimere quelli [i loro conterranei].

Così si rallegra l’Egitto per la loro partenza, come pure si allieta il monte Sion per averli come protettori ed esultano le figlie di Giuda (Ps., 47,12).

Il primo si rallegra di esser stato liberato da loro, il secondo di esser liberato per opera loro.

Quello di buon grado perde i suoi crudelissimi devastatori; questo con gioia ha accolto i suoi fedelissimi difensori, e mentre questa nazione viene con gran gioia consolata, quello viene abbandonato con uguale gran vantaggio.

Così Cristo sa vendicarsi dei suoi nemici, non solo trionfando su di essi, ma essendo anche solito spesso trionfare per mezzo di essi con tanta più gloria quanto più potentemente.

E’ cosa lieta, a ragione, ed utile: che ora cominci a rendere suoi difensori quelli che sopportò a lungo come suoi persecutori, e Colui che trasformò un tempo Saulo persecutore in Paolo predicatore faccia del suo nemico un suo cavaliere (cfr. Atti., IX).

Pertanto io non mi meraviglio affatto se quella corte celeste, secondo la testimonianza del Salvatore, esulta più per un peccatore pentito che per molti giusti che non hanno bisogno di penitenza (Lc., 15,7): poiché la conversione di un malvagio e di un peccatore senza dubbio giova a tanti quanti erano quelli ai quali aveva nuociuto.

Gerusalemme.

11. Salve, dunque, o Città Santa, che l’Altissimo in persona ha consacrato per sé come suo tabernacolo, in modo che in te e per te venissero salvate tante generazioni (cfr. Apoc., 22,19). Salve, Città del gran Re, dalla quale mai vennero meno fin dall’inizio ed in quasi tutti i tempi miracoli sempre nuovi e lieti per il genere umano. Salve, signora delle genti, guida delle nazioni, retaggio dei Patriarchi, madre dei Profeti e degli Apostoli, Iniziatrice della Fede, gloria del popolo cristiano, tu che Dio sempre, fin dal principio, permise che fossi combattuta affinché potessi essere occasione di valore e di salvezza per i forti.

Salve o Terra Promessa, che un tempo facevi scorrere latte e miele solo per i tuoi figli ed ora fai scorrere i farmaci della salvezza per tutto il mondo, il nutrimento della vita. O Terra, dico, buona ed eccellente, tu che hai ricevuto nel tuo fecondissimo seno il grano celeste dall’arca del cuore del Padre ed hai prodotto, da questa celeste semenza, tanto grande messe di martiri, e nondimeno tu, fertile gleba, hai prodotto frutto dalla stirpe dei fedeli moltiplicandolo trenta, sessanta e cento volte sopra ogni contrada.

Lietissimamente saziati e abbondantemente nutriti dalla tua sconfinata dolcezza coloro che ti hanno conosciuto diffondono ovunque il ricordo della tua soavità inesauribile e narrano a coloro che non ti hanno conosciuta la magnificenza della tua gloria fino agli estremi limiti del mondo. Essi raccontano le meraviglie che in te si compiono. Si dicono di te coses stupende, o Città di Dio (Ps., 86,3)!

Ebbene, anche noi diremo brevi parole di lode e gloria del tuo nome a proposito delle delizie delle quali sei colma fino a straripare.

VI – Betlemme.

12. Ecco, prima di tutto, Betlemme, “casa del pane” (Io., 6,51) per il ristoro delle anime sante: in essa per la prima volta si mostrò come Pane vivo Colui che discese dal Cielo, quando la Vergine lo partorì. E lì viene mostrata la mangiatoia ai pii animali e nella mangiatoia il fieno del prato verginale, affinché in tal modo il bue riconosca il suo padrone e l’asino il presepe del Signore suo. Poiché ogni essere mortale è come erba, e tutta la sua gloria come un fiore in un prato (Iso., 40,6). Ma l’uomo non comprendendo l’onore di essere uomo, fu comparato ai bruti privi d’intelligenza e divenne come loro (Ps., 48,13).

Il Verbo, Pane degli Angeli, divenne pasto per i giumenti affinché avessero da ruminare il fieno della sua carne, dal momento che persero del tutto l’abitudine di nutrirsi col Pane della Parole: fino a quando la creatura, restituita dall’Uomo-Dio alla sua dignità originaria, e da bestia trasformata di nuovo in uomo, potrà dire con Paolo: Per quanto abbiamo conosciuto il Cristo solo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così (II Cor., 5,16).

Ma credo che nessuno possa parlare con verità se non colui che abbia come Pietro, ascoltata quella verità dalla bocca stessa della Verità: Le parole che vi ho detto sono spirito e vita: la carne, infatti, non vivifica (Io., 6,64).

Del resto chi ha trovato la vita nelle parole del Cristo non cerca più la carne: egli rientra nel novero dei beati, che non hanno veduto ed hanno creduto (Io., 20,29).

Infatti nessuno ha bisogno del latte se non il bambino, e solo l’animale ha bisogno del fieno. Ma colui che non inciampa nella Parola è uomo perfetto e può cibarsi di cibi solidi; egli mangia il pane il pane del Verbo senza offesa, anche se col sudore della Sua fronte. Anzi, sicuro e senza scandalo egli annunzia la sapienza di Dio ai perfetti, procacciando cibo spirituale a coloro che vivono nello spirito; quando però si rivolge ai fanciulli e al gregge, è cauto nel proporre loro, d’accordo con le loro capacità di comprensione, Gesù e Gesù Crocifisso (I Cor., 2,2).

Lo stesso e medesimo cibo proviene dai pascoli celesti e viene ruminato dal gregge e consumato dall’uomo, nutre il piccolo e dà forza agli uomini.

VII - Nazaret.

13. Vediamo anche Nazaret, il nome della quale è interpretato come “fiore”; in essa fu nutrito il Dio fanciullo che era nato a Betlemme, così come il frutto si forma sul fiore: affinché il profumo del fiore precedesse il sapore del frutto ed il succo santo, che i Profeti odorano, si riservasse nella bocca degli Apostoli. Gli Ebrei si accontentarono del sottile profumo, i cristiani si sono però saziati con l’alimento solido.

Tuttavia Natanaele aveva percepito l’odore di questo fiore che sorpassava per dolcezza ogni altro fiore, e per questo chiese: Può da Nazaret venire qualcosa di buono? (Io., 1,45) e, non contentandosi della sola fragranza, seguì Filippo che gli aveva risposto: vieni e vedi (Io., 1,46).

Anzi, dilettato quanto mai dallo spargersi della sua stupenda dolcezza, avendo respirato la soave fragranza divenne ancor più desideroso di assaporarlo e, guidato dal profumo, fu sollecito ad arrivare al frutto, volendo godere più pienamente ciò che da lontano aveva odorato.

E consideriamo se anche Isacco non abbia odorato qualcosa di questo profumo del quale stiamo trattando. Di lui così dice la Scrittura: Appena ebbe sentito la fragranza delle vesti [di Giacobbe]: «Ecco, gridò, l’odore di mio figlio come il profumo di un campo ubertoso che il Signore ha benedetto!» (Gen., 27,27).

Sentì il profumo delle vesti ma non riconobbe la presenza di chi le portava e, dilettandosi esteriormente della veste come del profumo di un Fiore, non avendo gustato l’interna dolcezza di frutto rimase così privo della conoscenza dell’elezione di suo figlio e del sacro mistero [che tale elezione racchiude].

A cosa si riferisce ciò? La veste dello spirito è la lettera, carne del Verbo. Ma gli Ebrei neppure ora riconoscono né il Verbo nella carne né la divinità nell’Uomo né intravedono il significato spirituale sotto il senso della lettera. Palpando esternamente [come Isacco] la pelle del capro, che esprime la somiglianza col progenitore, cioè col primo ed antico peccatore, non giunse alla nuda verità, Colui che era venuto non a peccare ma per assumere su di sé i peccati degli uomini si manifestò non già: nella carne del peccato, ma in somiglianza materiale della carne del peccato (Rom., 8,3), per l’adempimento di quella missione della quale Egli stesso non fece mistero: Affinché i ciechi vedano, e quelli che vedono divengano ciechi (Io., 9,39).

Tratto in inganno da questa somiglianza il popolo del quale i profeti avevano profetato il Messia, ancor oggi, cieco, benedice colui che ignora e disconosce nei miracoli Colui di cui raccoglie continuamente testimonianza nelle Scritture. Non comprende colui verso cui pure stende la mano per legarlo, flagellarlo, schiaffeggiarlo, e neppure [Io] comprende la sua resurrezione.

Se infatti Lo avessero riconosciuto, non avrebbero mai crocefisso il Signore della gloria (I Cor., 2,8).

Ma percorriamo con una breve descrizione anche gli altri luoghi santi e, se non proprio tutti, almeno alcuni. Dal momento che non possiamo soffermarci su ciascuno in particolare ricordiamo almeno i più illustri.

VIII - Il Monte degli Ulivi e la Valle di Giosafat.

14. Si ascende al Monte degli Ulivi e si discende nella Valle di Giosafat per poter meditare sui tesori della divina misericordia, senza però trascurare la spaventosità del giudizio; poiché, sebbene Dio sia largo nel perdonare, nella sua grande misericordia, tuttavia il suo giudizi è un abisso profondo attraverso il quale Egli si mostra terribile per i figli degli uomini.

David si riferisce al Monte degli Ulivi quando dice: Tu salverai uomini ed animali, o Signore; a tal punto hai moltiplicato, o Dio, la tua misericordia (Ps., 35,7-8)! Ma nel medesimo salmo ricorda anche la valle del giudizio dicendo: Non si alzi contro di me il piede del superbo, né mi nuova la mano del peccatore (Ps., 35,12)! E confessa di essere atterrito da quel giudizio quando in un altro salmo dice: Trafiggi le mie carni col timore di te. Infatti ho tremato davanti ai tuoi giudizi (Ps., 118,120). Il superbo cade a precipizio in questa valle e viene abbattuto: l’umile vi discende e non corre pericolo. Il superbo giustifica il suo peccato, l’umile si accusa, sapendo che per questo Dio non giudica due volte il medesimo errore e che se ci giudicheremo non saremo giudicati (I Cor., 11,31).

15. Il superbo, non comprendendo quanto sia terribile cadere tra le mani del Dio vivente (Eebr., 10,31), leggermente prorompe in perfide parole per scusare i suoi peccatori (Ps., 140,4). Ed è davvero una grande malizia che tu non abbia pietà di te stesso, e che rifiuti l’unico rimedio della confessione dopo il peccato, e che tu voglia piuttosto racchiudere il fuoco nel tuo petto invece di allontanarlo, né hai dato ascolto al giudizio del Sapiente che dice: Abbi pietà della tua anima e piacerai a Dio (Eccl., 30,24). E chi è malvagio con sé stesso con chi mai potrà essere buono? Ora avviene il giudizio del mondo, ora il principe di questo mondo nel verrà scacciato: fuori dal tuo cuore, se tu stesso ti giudicherai con umiltà:

Vi sarà il giudizio del cielo, quando Dio convocherà a sé il cielo e la terra per riconoscere i suoi (Ps., 49,4). Allora temere dovrai di non venire respinto con quello stesso [diavolo] e coi suoi angeli perché sei stato trovato non giudicato.

D’altronde l’uomo spirituale, che giudica ogni sua azione, da nessuno è giudicato (cfr. I Cor., 11,15).

Per questo il giudizio incomincia nella casa di Dio: perché il Giudice, che conosce i suoi, li trovi giudicati: e non abbia più nulla di loro da giudicare, dal momento che sono da giudicare coloro che non condividono le fatiche degli uomini e con gli uomini non sono flagellati (Ps., 72,5).

IX – Il Giordano.

16. Quanto è lieto il Giordano di ricevere nel suo grembo i cristiani, lui che si gloria di esser stato consacrato dal battesimo del Cristo (cfr. IV Reg., 5,12). Senza dubbio mentì quel lebbroso siriano che preferì non so quali acque di Damasco a queste d’Israele, dal momento che il nostro Giordano ha provato tante volte il suo devoto servizio a Dio sia quando si aprì ad Elia (cfr. IV Reg., II), sia quando si offrì asciutto ad Eliseo, (sia per ricordare un fatto più antico) quando frenando mirabilmente l’impeto delle sue correnti, permise il passaggio di Giosuè ed il suo popolo (Jos., III).

E, infine, quale tra i fiumi è più nobile di questo che la Trinità stessa ha consacrato a sé con una presenza davvero evidente (cfr. Lc., 3,21-22)? Il Padre fu udito. Lo Spirito Santo fu visto. Il Figlio fu battezzato.

A ragione, quindi, anche il popolo tutto dei fedeli esperimenta nell’anima per volontà di Cristo la stessa virtù che Naaman sentì nel suo corpo dopo aver seguito i consigli del Profeta (cfr. IV Reg., 5,14).

Il Calvario.

17. Si esce fuori [da Gerusalemme] dirigendosi verso il Calvario, lè dove il vero Eliseo, deriso da stolti fanciulli, infuse nei suoi il suo eterno sorriso, dei quali disse: Ecco me ed i miei fanciulli che il Signore mi ha dato (Is., 8,18). Questi sono i fanciulli giusti che il Salmista, in contrasto con la malignità degli altri sprona alla lode cantando: Lodate il Signore; fanciulli, lodate il nome del Signore (Ps., 112,1). Poiché sulla bocca dei santi fanciulli e dei lattanti la lode sarà portata a compimento, essa che svanì dalle labbra degli invidiosi dei quali è detto: Ho nutrito e cresciuto dei figli, ma essi mi hanno disprezzato (Is., 1,2).

Salì sulla croce quel nostro Eliseo [lett. “il Calvo” poiché Eliseo, che era calvo, è prefigurazione del Cristo, cfr. III Reg., 12,28] esposto al mondo in favore del mondo (mundo pro mundo expositus): a viso aperto, e fronte scoperta, compiendo la purificazione dell’umanità carica di peccati, non arrossì per la vergogna di una morte crudele ed obbrobriosa né inorridì di fronte a quella pena.

Non v’è da meravigliarsi: perché avrebbe dovuto arrossire Egli che ci lavò dai peccati (Apoc., 1,5), non come l’acqua che pulisce ma trattiene in sé le impurità, ma come raggio di sole che arde le impurità e conserva la sua purezza?

La sapienza di Dio tutto raggiunge grazie alla sua purezza.

XI – Il Sepolcro.

18. Tra tutti i luoghi santi e degni d’amore il Sepolcro ha, in un certo senso, il primo posto. Si prova un non so che di teneramente devoto più dove Egli riposò da morto che dove dimorò da vivo. Il ricordo della sua morte muove a pietà più di quello della sua vita. Penso che ciò avvenga perché la morte sembra più crudele e la vita più dolce e la quiete del sonno lusinga l’umana debolezza più della fatica del vivere, il quieto stato della morte più che il diritto sentiero della vita.

La vita di Cristo mi offre un modello per la vita; ma la sua morte mi offre la redenzione dalla morte. La sua vita mi insegnò a vivere, ma la sua morte distrusse la morte.

Laboriosa è stata la sua vita, preziosa la sua morte. Entrambe furono necessarie.

Ma a cosa potrebbe giovare la morte del Cristo ad uno che vive empiamente e a che cosa la sua vita ad uno che muoia da dannato?

Forse che la morte del Cristo, ancor oggi, serve a liberare dalla morte eterna coloro che fino alla morte hanno vissuto in colpa? E la santità della sua vita ha liberato i Santi Padri vissuti prima della sua venuta?

Così sta scritto: Quale dei viventi non vedrà la morte e potrà strappare la sua anima dalle grinfie dell’abisso (Ps., 88,49)?

Erano dunque per noi egualmente necessarie e l’una e l’altra, e la sua vita giusta è la sua morte impavida. Vivendo insegnò a vivere e morendo rese sicuro il morire: è morto per risorgere ed ha fondato la speranza della resurrezione per coloro che muoiono. Ma a ciò Egli aggiunse un terzo beneficio, senza il quale neanche il resto sarebbe servito: la remissione dei peccati. Difatti, per quanto concerne la vera e suprema beatitudine, cosa avrebbe potuto giovare a chi era tenuto prigioniero anche solo dal peccato originale una vita per quanto retta e di lunga durata? Il peccato ha infatti preceduto la morte e se l’uomo l’avesse evitato non avrebbe assaporato la morte (mortem non gustasset) in eterno.

19. Peccando l’uomo perse la vita e trovò la morte: Dio stesso l’aveva infatti predetto – e rispondeva a giustizia – che se l’uomo avesse peccato sarebbe morto. Cosa avrebbe potuto ricevere di più giusto se non la pena del taglione?

Dio infatti è la vita dell’anima, e questa è la vita del corpo. Avendo l’uomo peccato col libero arbitrio, di sua propria volontà ha rinunciato alla vita: che perda dunque, di conseguenza, la possibilità di dare a sua volta la vita, contro la sua propria volontà.

Spontaneamente respinse la Vita, ha rifiutato di vivere: sia incapace di darla a chi vuole e quando vuole.

L’anima che non ha voluto essere governata da Dio sia impotente a reggere il corpo. Dal momento che non ha ubbidito a chi è sopra di lei, perché dovrebbe comandare a chi è al di sotto di lei? Il Creatore ha trovato ribelle la sua creatura [l’anima], così pure l’anima trovi ribelle la creatura [il corpo] a lei asservita.

L’uomo ha trasgredito la legge divina: scopra quindi nelle sue membra un’altra legge che si rifiuta di ubbidire alla legge della sua volontà e che lo imprigiona nella legge della caduta (cfr. Rom., 7,25). Inoltre il peccato, secondo le Scritture, ci separa da Dio (Is., 59,2) e quindi così pure la morte ci separi dal corpo.

L’anima non può separarsi da Dio se non per mezzo del peccato, il corpo non può separarsi dall’anima se non per mezzo della morte. E’ forse troppo spietata questa pena che si limita a prescrivere che il suddito subisca lo stesso male che ha commesso contro il suo Creatore? Niente di più consequenziale, indubbiamente, del fatto che, essendo la morte spirituale colpevole e volontaria, abbia causato altresì la morte corporale, punitiva e necessaria.

20. Poiché l’uomo era stato condannato in conformità alla sua duplice natura a questa doppia morte, l’una dello spirito, dovuta alla sua volontà e l’altra del corpo come conseguenza della prima, l’Uomo-Dio, per la sua potenza e benevolenza, venne in aiuto all’una e all’altra con la sua morte, insieme corporale e volontaria, e con quella sua unica morte sconfisse la nostra doppia morte. E a ragione, infatti di quelle nostra due morti una ci fu imputata come risultato della nostra colpa, l’altra come dovuto castigo.

Il Cristo accettò il castigo e, pur essendo indenne da colpa, morendo di sua spontanea volontà soltanto nel corpo guadagnò per noi la vita e la remissione. Del resto, se non avess sofferto nel corpo, non avrebbe prosciolto il nostro debito: se non fosse morto spontaneamente la sua morte non avrebbe avuto merito.

Ma, se come si è detto, la morte è il risultato meritato per la colpa, e la morte è il debito per la colpa, dal momento che il Cristo ha rimesso i peccati ed è morto per i peccatori, ormai quanto dovevamo è stato pagato e il debito sciolto.

21. E poi, come sappiamo che Cristo ha il potere di rimettere i peccati? Senza dubbio perché Egli è Dio e può ciò che vuole. E come sappiamo che Egli è Dio? I miracoli lo provano. Ho compiuto opere che nessun altro potrebbe per tacere poi l’oracolo dei Profeti e la testimonianza della voce del Padre discesa dall’alto su di lui nella magnificenza della gloria dei cieli. Ché se Dio è a nostro favore, chi è contro di noi? E se Dio ci giustifica chi ci condannerà? (Rom., 8,31 e 8,33-34).

A Lui ed a Lui solo noi confermiamo ogni giorno: Contro te, unicamente, ho peccato (Ps., 50,6).

Chi meglio, anzi, chi altri ha la facoltà di perdonare il peccato fatto contro di lui? O, come non lo potrebbe Egli che può tutto? E, infine, io ho facoltà di perdonare, se voglio, le colpe commesse contro di me: e Dio non potrebbe rimettere quelle fatte contro di lui?

Se chiunque ha la facoltà di rimettere i peccati, Lui onnipotente – solo lo può lui contro il quale si pecca – beato colui al quale Egli non addosserà colpa.

Egli, abbiamo conosciuto come Cristo, per la potenza della sua divinità, ha la facoltà di condonare le colpe.

22. Quanto alla sua volontà [di rimettere i peccati] chi mai potrà dubitarne? Infatti chi ha rivestito la nostra carne e subito la nostra stessa morte credi forse che ci negherà la sua giustizia? Egli che volontariamente s’incarnò, che volontariamente patì, che volontariamente fu crocefisso, ci negherà proprio il suo perdono? Se per la sua deità è chiaro che Egli può rimettere i peccati, con la sua umanità dimostra chiaramente che questo è il suo valore.

Ma da quali fatti possiamo trarre ancor motivo di credere che Egli scacciò da noi la morte? Dal fatto che Egli la sopportò pur non avendola meritata. Per quale motivo dovrebbe dunque esigere di nuovo da noi ciò che Egli ha già pagato per noi?

Colui che concesse il perdono del peccato donandoci la sua giustizia scioglie il debito della morte e riporta alla vita. Uccisa dunque la morte, ritorna la vita. Cancellando il peccato torna la giustizia. La morte è stata dispersa nella morte del Cristo e la sua giustizia ci viene concessa. Ma come ha potuto morire Colui che era Dio? Perché era anche vero uomo. E in che modo la sua morte ha potuto giovare alla morte dell’uomo? Poiché Egli era anche giusto.

Dunque, in quanto era uomo poté morire, ma in quanto era giusto non poteva morire affatto.

Un peccatore non può certo estinguere con la sua morte il debito di un altro peccatore, dal momento che la morte di ognuno vale come debito personale: ma Colui che non deve morire per saldare il suo debito, morì forse invano per gli altri? Quanto poi indegnamente muore chi non merita di morire, tanto più giustamente vive colui a favore del quale è morto.

23. «Ma che giustizia è quella – dirai – ove un innocente abbia a morire per un malvagio?». Non si tratta di giustizia, ma di misericordia. Se giustizia fosse il Cristo non sarebbe morto senza motivo, ma per pagare il dovuto. Se Fosse morto per debito [nei confronti della Giustizia divina], Egli sarebbe morto sicuramente ma colui per il quale muore non vivrebbe.

Ma pure non trattandosi propriamente di giustizia, tuttavia la sua morte non è contro giustizia. D’altronde non poteva essere giusto nel rigore e misericordioso insieme.

Ma anche se di diritto un giusto possa bastare a dare giustificazione per un peccatore, per quale legge dovrebbe essere sufficiente un giusto per molti peccatori? Secondo giustizia la morte di uno solo dovrebbe essere sufficiente a ridare la vita a uno solo.

A ciò risponda ora l’Apostolo: Come infatti per la colpa di uno solo la condanna si è abbattuta su tutto il genere umano: così a causa della giustizia di uno solo è stata resa giustizia per tutti gli uomini. Come infatti per la disubbidienza di uno solo sono stati peccatori molti; così pure per l’ubbidienza di uno solo molti sono resi giusti (Rom., 5, 18-19).

Ma perché mai Colui che ha potuto restituire la giustizia a molti non avrebbe potuto restituire loro anche la vita? Per mezzo di un uomo la morte, per mezzo di un Uomo la vita.Come tutti periscono in Adamo, così pure tutti in Cristo hanno la vita (I Cor., 15,21).

E che? Uno solo peccò e tutti ne pagano il fio e l’innocenza di uno solo verrà ascritta a quel solo? Il peccato di uno solo ha causato la morte di tutti, e la rettitudine di uno solo restituirà la vita a uno solo?

La giustizia di Dio vale più a condannare il genere umano, dunque, che a ripristinarlo nella giustizia? O poté più Adamo nel male che Cristo nel bene? Il peccato di Adamo è stato addebitato anche a me e la giustizia di Cristo invece non mi appartiene? La disubbidienza di quello mi ha perduto e l’obbedienza di Cristo non mi gioverà?

24. Ma noi tutti abbiamo contratto le colpe del delitto in Adamo – tu dici – poiché un Adamo in Adamo noi tutti abbiamo peccato: «eravamo in lui quand’egli peccò e dalla sua carne siamo stati generati attraverso la concupiscenza della carne».Tuttavia, noi nasciamo molto più direttamente da Dio secondo lo spirito che da Adamo secondo la carne: quanto meno se crediamo di poter essere annoverati anche noi tra coloro dei quali l’Apostolo dice: Egli ci ha eletti in se stesso – cioè il Padre nel Figlio – prima della costruzione del mondo (Eph., 1,4).

Anche l’Evangelista Giovanni testimonia che siamo nati da Dio, quando dice: Quelli che non sono mai nati dal sangue né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio (Jo., 1,13). Ed ancora scrisse Giovanni nell’Epistola: Chiunque sia nati da Dio non commette peccato (Jo., 3,9), poiché la sua generazione celeste lo conserva.

«Ma il desiderio corporeo – si potrebbe obiettare – attesta il legame carnale; e il peccato che sentiamo nella carne chiaramente rivela che discendiamo, secondo il corpo, dalla carne del peccatore». Ma nondimeno viene sentita non dalla carne ma nello spirito (in corde) quella generazione spirituale almeno da quelli che possono affermare con Paolo: Noi possediamo la facoltà di sentire il Cristo (I Cor., 2,16), nella quale facoltà sentono d’esser giunti tanto addentro da poter dire con tanta sicurezza: Lo spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio (Rom., 8,16). Ed ancora: Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo(Rom., 13,4; I Pet., 2,14).

Lo spirito che è da Dio per conoscere ciò che da Dio ci viene elargito (I Cor., 2,12).

Per mezzo dello spirito che proviene da Dio la carità è stata infatti diffusa nei nostri cuori, come attraverso la carne che da Adamo discende la concupiscenza resta annidata nelle nostre membra. E come questa, che discende dal progenitore del corpo, non si separa mai dalla carne in questa vita mortale, così la carità, procedendo dal Padre degli spiriti, non viene mai meno almeno dall’indole dei suoi figli migliori.

25. Se pertanto siamo nati da Dio ed eletti in Cristo, quale giustizia è dunque quella che la nascita umana e terrena abbia a nuocere più di quanto giovi la provenienza divina e celeste; e che la discendenza corporea abbia a sopraffare l’elezione da parte di Dio e che la concupiscenza della carne, limitata nel tempo, abbia a dettar legge al Suo eterno disegno? E perché mai, dunque, se abbiamo avuto la morte a causa d’un solo uomo, non dovremmo avere la vita a maggior ragione per opera di un solo uomo, e per di più, di quell’Uomo [Cristo]?

Se in Adamo tutti noi troviamo la morte, perché non potremmo esser riportati alla vita dal Cristo con potenza infinitamente superiore?

Poiché, dunque: Il dono e il delitto non segnano le medesime vie. Il giudizio provocato dal peccato di un solo uomo ha portato alla condanna, mentre la grazie concessa dopo tanti peccati ci ha giustificati (Rom., 5,16).

Cristo ha potuto rimettere i peccati essendo Dio ed essendo uomo ha potuto morire e morendo prosciogliere il debito della nostra morte poiché Egli è giusto, ed Egli solo bastò per la giustizia e la vita di tutti, come da uno solo era derivata all’umanità la morte e il peccato.

26. Ma la Provvidenza dispose che anche il Cristo si degnasse di vivere alcun tempo uomo tra gli uomini avendo un poco differita la sua morte, per rivolgere gli animi al desiderio dei beni invisibili, con parole di verità spesso ripetute, per sostenere la Fede con opere degne d’ammirazione, per istruire con una vita vissuta secondo giustizia.

E così l’Uomo-Dio, avendo vissuto al cospetto degli uomini nella sobrietà, nella rettitudine, nel sentimento del dovere, avendo parlato secondo verità, operato miracoli, patito essendo innocente, cosa avrebbe ormai potuto mancare alla nostra salvezza? Si aggiunga la grazia della remissione dei peccati, che Egli gratuitamente ci ha rimesso, e l’opera della nostra salvezza è completa.

Non è da temere che la potestà o la volontà di condonare i peccati venga meno a Dio avendo Egli sofferto, e sofferto tanto grandi dolori per i peccatori perché noi, com’è giusto, ci dimostriamo solleciti ad imitarne gli esempi e a venerarne i miracoli.

Viviamo dunque confidenti nella sua dottrina e grati per le sue sofferenze.

27. Dunque, ogni aspetto di Cristo ci fu giovevole, tutto fu salutare, tutto necessario. E la fragilità umana non giovò meno della sua maestà: poiché se comandando con la potenza della sua divinità tolse il giogo del peccato, morendo con la fragilità dell’umana natura ha abbattuto i diritti della morte. Per cui l’Apostolo dice a ragione: Quello che è debole in Dio è la cosa più forte per gli uomini (I Cor., 1,25).

Ma pure quella sua follia per la quale gli piacque salvare il mondo, confutando la sapienza del mondo, confondendo i sapienti poiché pur essendo Cristo della stessa natura di Dio, Dio in Dio, s’abbassò fino a prendere la natura del servitore (Phil., 2,6-7); poiché potente si fece bisognoso per amor nostro, da grande piccolo, da sommo umile, da forte bisognoso; poiché ebbe fame, sete, si stancò con le marce e sopportò tutte le altre sofferenze per volontà sua, non per necessità, la sua follia, dunque, non fu per noi la via della sapienza, il modello della giustizia, l’esempio della santità? Per questo l’Apostolo dice: Quel che in Dio è stoltezza, per gli uomini è sapienza somma (I Cor., 1,25).

La sua morte liberò quindi dalla morte; la vita dall’errore; la grazia dal peccato. La sua morte ha vinto grazie alla sua giustizia, poiché Egli, Giusto, pagando ciò che non aveva preso, recuperò di diritto ciò che aveva perduto. La sua vita raggiunse lo scopo (adimplevit) grazie alla sua sapienza, e resta per noi modello di vita e specchio di comportamento. Inoltre la sua grazia ci ha rimesso i peccati in virtù di quel potere per cui Egli realizza ogni suo desiderio.

La morte di Cristo è, dunque, la morte della mia stessa morte: poiché Egli morì perché io vivessi.

E come potrebbe non vivere colui a favore del quale la vita stessa ha accettato di morire?

O chi temerà sotto la guida della Sapienza di errare nell’adempimento delle leggi o nella conoscenza?

O da chi sarà ritenuto colpevole colui che la Giustizia ha assolto? Egli stesso si proclama vita nel Vangelo dicendo: Io sono la vita (Jo., 4,6). E le altre due cose sono testimoniate dall’Apostolo che afferma: Egli è stato fatto per noi Giustizia e Sapienza di Dio Padre (I Cor., 1,30).

28. Ma se la legge dello spirito di vita in Gesù Cristo ci ha liberato dalla legge del peccato e della morte (Rom., 8,2), perché dunque continuiamo a morire e non siamo immediatamente rivestiti d’immortalità? Perché si compia la verità di Dio. Infatti, poiché Dio ama la misericordia e la verità (Ps., 83,12), è necessario – come egli ha stabilito – che l’uomo muoia; ma è altresì necessario che risorga da morte, affinché Dio non dimentichi la misericordia.

Dunque la morte, anche se non dominerà in eterno, tuttavia rimane – sebbene temporaneamente – presso di noi d’accordo con la verità di Dio, come il peccato, pur non dominando completamente nel nostro corpo mortale, tuttavia non è del tutto venuto meno in noi.

Per questo Paolo, mentre gioisce da una parte per essere stato liberato dalla legge del peccato e dalla morte, dall’altra sin lamenta di essere ancora oppresso in qualche modo da entrambe le leggi, sia quando esclama miserevolmente contro il peccato: trovo una legge differente nelle mie membra (Rom., 7,23), sia quando, schiacciato dalla legge della morte geme aspettando la redenzione del suo corpo.

29. Tali considerazioni, o altre di questo genere, vengono suggerite al sentimento cristiano della meditazione sul Santo Sepolcro, secondo la ricchezza interiore di ciascuno nel percepire tali sentimenti; penso comunque che una grande dolcezza di devozione venga instillata dal contatto diretto in chi è capace di penetrare nel senso del luogo santo, e che non sia di poca utilità guardare, sia pure con gli occhi del corpo, il luogo del riposo del Signore. Esso, per quanto sia ormai vuoto delle Sacre Membra, tuttavia è pieno dei nostri più lieti misteri. Nostri, certamente, nostri, se solo con ardore e fermezza crediamo in quello che l’Apostolo dice: Noi siamo stati sepolti con il battesimo, nella morte, affinché come il Cristo è resuscitato da morte per la gloriosa potenza del Padre così anche noi camminiamo in una nuova vita (Rom., 6,4-5). Infatti se fummo innestati a LU in una morte simile alla sua, ugualmente saremo in una resurrezione simile alla sua.

Quant’è soave per i pellegrini, dopo la grande fatica del lungo viaggio, dopo i numerosi pericoli in terra e nel mare, riposare infine lì dove sanno che ha riposato il loro Signore! Credo che per la grande gioia essi non avvertano più nemmeno la fatica del viaggio né si curino delle spese affrontate; ma come se avessero conseguito il premio del travaglio e la ricompensa del cammino, secondo la sentenza della Scrittura: Si riempirono di intenso giubilo avendo trovato il Sepolcro (Job., 3,22).

Non è difatti per un caso imprevisto, né per un’effimera considerazione del favore popolare che il Sepolcro raggiunse un nome tanto celebre, poiché Isaia aveva predetto di esso tanto palesemente e così tanto tempo addietro: E vi sarà in quei tempi la radice di Jesse, eretta come insegna dei popoli, ad essa le genti si volgeranno e il suo sepolcro sarà glorioso (Jsa., 11,10).

Ecco dunque perfettamente adempiuto ciò che abbiamo letto nei Profeti: cosa nuova per chi osserva ma vecchia per chi legge. Così dalla novità proviene gioia e dall’antichità [dalla tradizione profetica] discende autorevolezza.

E sul Sepolcro basti quanto si è detto.

XII – Beftage

30. Che dire di Beftage, piccolo villaggio di sacerdoti, che quasi avevo dimenticato, dov’è racchiuso il mistero della confessione e del ministero sacerdotale?

Beftage significa infatti «casa della bocca». Sta scritto: Presso di te è la parola,nella tua bocca e nel tuo cuore (Deut., 30,14; Rom., 10,8).

Ricordati pertanto di conservare la parola non solo nella bocca ma anche nel cuore. Certamente la parola opera nel cuore del peccatore una contrizione salutare: la parola detta elimina il pudore dannoso, affinché esso non sia d’ostacolo alla necessaria confessione.

Così dice la Scrittura: Vi è un pudore che produce peccato e un pudore che procura gloria (Eccl., IV,25).

Il giusto pudore è vergognarsi di aver peccato o di star peccando e riverire - quand’anche sia assente qualsiasi giudice umano – lo sguardo divino con tanta più vergogna di quello umano quanto più, e a ragione, consideri Dio più vicino a te di qualunque uomo (46), e si sa che Egli viene offeso tanto più gravemente da chi pecca quanto remotissimo è in Lui il peccato. Non v’è dubbio che un pudore di tal fatta mette in fuga il peccato e procura la gloria: esso non permette che il peccato s’insinui, oppure, essendo caduti in peccato, lo punisce con la contrizione, e lo scaccia con la confessione. Purché si possegga quel merito che è la testimonianza della nostra coscienza.

Ma se qualcuno ha persino vergogna di confessare la causa stessa della propria vergogna, tale pudore produce peccato e il merito viene meno dalla coscienza, mentre la contrizione si sforza di scacciare il male dal profondo del cuore: questo pudore inopportuno chiude l’uscio delle labbra e non ne permette l’uscita.

Piuttosto converrebbe dire, secondo l’esempio di David: Non impedirò le mie labbra Signore, tu lo sai (Ps., 39,10).

Il Salmista rimproverando se stesso per codesto pudore stolto e senza ragione, disse: Poiché ho taciuto si consumarono le mie ossa (Ps., 31,3).

Per questo egli desidera che un uscio sia posto attorno alle sue labbra (cfr. Ps., 140,3) affinché apprenda ad aprire la bocca alla confessione e a tenerla chiusa per discolparsi.

Apertamente egli chiede ciò al Signore con la preghiera, sapendo che la confessione e la magnificenza sono opera di Dio (Ps., 110,3).

E un gran bene sarà questa duplice confessione, quando saremo capaci di proclamare apertamente la nostra malizia – logicamente – e parimenti la magnificenza della bontà divina e della divina virtù. Ma tale confessione è un dono di Dio. Infatti David dice: Non sviare il mio cuore in parole malvagie, a cercare scuse per i miei peccati (Ps., 140,4).

Per questo è necessario che i sacerdoti, ministri della Parola, siano vigili con sollecitudine ed attenzione su entrambe le cose, cioè ad instillare parole di contrizione nel cuore dei peccatori, ma stando attenti a non atterrirli affinché esprimano la loro confessione. Aprano il cuore così da non ostruire la bocca, ma non assolvano chi non giudicheranno completamente confessato dalla sua colpa, anche se contrito: dal momento che con il cuore si crede per la giustizia ma con la bocca si professa la fede per avere salvezza (Rom., 10,10).

Altrimenti la confessione viene meno, come quella d’un morto (cfr. Eccl., 17,26). Pertanto chi ha la parola sulla bocca e non nel cuore, o è colpevole o è vuoto; chi l’ha solo nel cuore o è superbo o vile.

XIII – Betania

31. Sebbene stia procedendo molto celermente, non debbo tuttavia passare sotto silenzio Betania, «la casa dell’obbedienza», villaggio di Maria e di Marta, là dove Lazzaro resuscitò: qui viene raccomandata la riflessione sui due tipi di vita [attiva e contemplativa], la mirabile clemenza di Dio verso i peccatori, la virtù dell’obbedienza congiunta con quella della penitenza. Basti qui chiarire ciò che né la diligenza nelle buone azioni, né la quiete delle sante contemplazioni, né le lacrime di pentimento potranno essere accette fuori di «Betania» da Colui che stimò così grandemente l’obbedienza al Padre fino alla morte volle perdere la vita piuttosto che l’obbedienza.

E sono sicuramente queste le ricchezze che la profezia promette secondo la parola di Dio dicendo: Il Signore consolerà Sion, consolerà le sue rovine; renderà delizioso il suo deserto e farà della sua solitudine un giardino del Signore, e in essa si troveranno letizia, gratitudine e voci di laude (Is., 51,3).

Queste delizie del mondo, questo tesoro celeste, questa eredità dei popoli fedeli, sono state dunque consegnate alla vostra fedeltà, o miei diletti, alla vostra prudenza, al vostro coraggio.

Sarete dunque in grado di custodire questi beni celesti a voi affidati con fedeltà e sicurezza se non confiderete mai nella vostra prudenza e nella vostra forza ma solo nell’aiuto del Signore, sapendo che l’uomo non sarà mai sostenuto dalla propria forza (I Reg., 2,9), e ripetendo quindi col Profeta: Signore, mio sostegno, mio rifugio, mio liberatore (Ps., 17,3).

Ed ancora: Custodirò per te la mia forza perché tu, o Dio, sei il mio difensore. Mio Dio, la tuia misericordia mi verrà incontro (Ps., 58,10-11).

E infine: Non a noi Signore, non a noi, ma al tuo Nome dà gloria (Ps., 113,1); affinché in ogni opera sia benedetto Colui che addestra le nostre mani alla battaglia, le nostre dita alla guerra (Ps., 143,1).



 
Top
Percival
view post Posted on 23/11/2009, 08:50




A proposito di templari e teoria del complotto, mi pregio postare l'opinione
del noto occultista Eliphas Levi, espresso nella sua opera "Storia della Magia" (1860).
I templari avrebbero cospirato contro la chiesa e l'Europa cristiana, in combutta con i patriarchi ortodossi di Costantinopoli e le sette ereticali, tra cui in particolare una di matrice giovannita (i giovanniti ritenevano che fosse stato Giovanni l' Evangelista e non Pietro il primo capo della Chiesa).



Le società del mondo antico erano perite per l'egoismo materialista delle caste, che, immobilizzandosi e tenendo le moltitudini in un isolamento senza speranza, avevano privato il potere, prigioniero nelle mani di un piccolo numero di eletti, di quel movimento circolatorio che è il principio del progresso, del movimento e della vita.
Un potere senza antagonismo, senza concorrenza e di conseguenza senza controllo era stato funesto per le sovranità sacerdotali; le repubbliche, d'altra parte, erano perite nel conflitto delle libertà che, nell'assenza di ogni dovere sanzionato gerarchicamente e fortemente, erano diventate delle tirannie rivali tra loro.
Per trovare una soluzione stabile tra questi due abissi, l'idea dei sacerdoti cristiani era stata quella di creare una società votata all'abnegazione a mezzo di voti solenni, protetta da regole severe, che sarebbe stata reclutata con l'iniziazione, e che, sola depositaria dei grandi segreti religiosi e sociali, nominasse re e pontefici senza esporre se stessa alla corruzione del potere.
Era questo il segreto di quel regno di Gesù Cristo che, senza essere di questo mondo, ne avrebbe governato la grandezza.
Questa idea fu alla base della fondazione dei grandi ordini religiosi, così spesso in guerra con le autorità secolari, sia ecclesiastiche che civili; la loro realizzazione fu anche il sogno delle sette dissidenti di gnostici o di illuminati che pretendevano di far risalire la loro fede alla tradizione primitiva del cristianesimo di San Giovanni.
Essa divenne infine una minaccia per la chiesa e per la società quando un ordine ricco e dissoluto, iniziato alle misteriose dottrine della cabala, parve disposto a rivolgersi contro l'autorità legittima dei prìncipi conservatori della gerarchia e minacciò il mondo intero di una immensa rivoluzione.

I templari, la cui storia è così poco e male conosciuta, furono questi terribili cospiratori; è tempo di rivelare finalmente il segreto della loro caduta, onde assolvere la memoria di Clemente V e Filippo il Bello.
Nel 1118, nove cavalieri crociati in oriente, tra i quali erano Goffredo di Saint-Omer e Hugues de Payens, si consacrarono alla religione e prestarono giuramento nelle mani del patriarca di Costantinopoli, sede sempre ostile a Roma dai tempi di Fozio.
Lo scopo confessato dei templari era proteggere i cristiani che venivano a visitare i sacri luoghi; il loro scopo segreto era la ricostruzione del tempio di Salomone sul modello profetizzato da Ezechiele.
Questa ricostruzione, formalmente predetta dai mistici giudaizzanti dei primi secoli, era divenuto il sogno dei patriarchi di Oriente.
Il tempio di Salomone, ricostruito e consacrato al culto cristiano sarebbe diventato infatti la metropoli dell'universo. L'Oriente avrebbe vinto l'Occidente ed i patriarchi di Costantinopoli si sarebbero impadroniti del pontificato.
Gli storici, onde spiegare il nome di templari dato a quest'ordine militare, pretendono che Baldovino II, re di Gerusalemme aveva dato loro una casa nei pressi del tempio di Salomone. Ma essi commettono un enorme anacronismo, in quanto a quell'epoca, non solo il tempio di Salomone non esisteva più, ma non restava pietra su pietra del secondo tempio costruito da Zorobabele sulle rovine del primo e sarebbe stato difficile indicarne esattamente il posto.
Bisogna cponcludere che la casaregalata ai templari da Baldovino era situarta non vicino al tempio di Salomone, ma vicino alò terreno sul quale quei missionari segreti ed armatoi del patriarca di Oriente avevano intenzione di ricostruirlo.
I templari avevano preso a loro modello, nella Bibbia, i muratori guerrieri di Zorobabele, che lavoravano con la spada in una mano e la cazzuola nell'altra.
Questa è la ragione per la quale l'emeblema dei templari era costituoito da una spada e da una cazzuola;essi in seguito, come si vedrà, si nascosero sotto il nome di "fratelli muratori". La cazzuola dei tempalri è quadrupla e le lame triangolari sono disposte a forma di croce, il che forma il simbolo cabalistico conosciuto sotto il nome di "croce d'Oriente".
Il pensiero segreto di Hugues de Payens, fondando il suo ordine, non era precisamente quello di servire l'ambizione dei patriarchi di Costantinopoli. Esisteva in quell'epoca, in Oriente, una setta di cristiani giovanniti, che pretendevano di essere i soli iniziati ai veri misteri della religione del Salvatore.. Pretendevano di conoscere la storia reale di Gesù Cristo, e , adottando in parte le tradizioni ebraiche ed i racconti del Talmud, pretendevano che i fatti raccontati nei vangeli non fossero che delle allegorie di cui San Giovanni fornì la chiave dicendo che "si potrebbe riempire il mondo di libri scritti sulle parole e gli atti di Gesù Cristo".
Queste parole, seconmdo loro, non sarebbero che una ridicola esagerazione, se non si trattasse, effettivamente, di una allegoria e di una leggenda che può essere variata e prolungata all'infinito.
Per quanto concerne i fatti storici e reali, ecco cosa raccontavano i giovanniti.
Una giovane di Nazareth, chiamata Miriam, fidanzata ad un giovanotto della sua tribù, chiamato Jochanan, fu sorpresa da un certo Pandira o Panther, che abusò di lei con la forza, dopo essersi introdotto in camera sua sotto le spoglie ed il nome del suo fidanzato.
Jochanan, conoscendo la sua disgrazia, la lasciò senza comprometterla, dato che, effettivamente lei era innocente e la giovane partorì un bambiono a cui fu dato il nome di Josuah o Gesù. Questo bambino fu adoittato da un rabbino di nome Giuseppe che lo portò con sé in Egitto; la fu iniziato alle scienze segrete, ed i preti di Osiride, riconoscendo in lui la vera incarnazione di Horus, promessa da lungo tempo agli adepti, lo consacrarono sovrano pontefice della religione universale.
Gesù e Giuseppe tornarono in Giudea dove la scienza e la virtù del giovane non tardarono ad eccitare l'invidia e l'odio dei sacerdoti, che gli rimproverarno un giorno pubblicamente l'illegittimità della sua nascita. Gesù che amava e venerava sua madre, intrerrogò il suo mentore ed apprese tutta la storia del crimine di pandira e delle disgrazie di Miriam. La sua prima reazione fu quella di rinnegarla pubblicamente dicendo ad un festino di nozze: "Donna, cosa c'è di comune tra te e me?". Ma in seguito pensando che una povera donna non deve essere punita per aver subito quanto ella non poteva impedire, gridò: Mia madre non ha peccato, essa non ha perduto la sua innocenza: essa è vergine e tuttavia è madre; che le sia reso un doppio onore! Quanto a me non ho un padre sulla terra. Io sono il figlio di dio e dell'umanità!".
Non ci spingeremo oltre in questa fantasia che è penosa ai cuori cristiani; è sufficiente dire che i giovanniti arrivarono fino a rendere San Giovanni Evangelista responsabile di questa pretesa tradizione e ad attribuire a questo apostolo la fondazione della loro chiesa segreta.
I grandi pontefici di questa setta prendevano il titolo di Cristo e pretendevano di essere i successori di Giovanni, con una trasmissione di poteri ininterrotta. Colui che all'epoca della fondazione dell'ordine del tempio vantava questi immaginari privilefi si chiamava Teocleto; egli conobbe Hugues de Payens, lo iniziò ai misteri e alle speranze della sua pretesa Chiesa; lo sedusse con delle idee di sacerdozio sovrano e di suprema regalitàed infine lo designò come suo successore.
Così l'ordine dei cavalieri del tempio fu colpevole fin dalla sua origine di scisma e di cospirazione contro i re. Queste credenze furono avvolte in un profondo mistero e l'ordine faceva professione esteriore della più perfetta ortodossia. Solo i capi sapevano dove volevano arrivare; gli altri seguivano senza sospetti.
Ottenere influenza e ricchezze, poi intrigare ed al bisogno combattere per stabilire il dogma giovannita. questio erano gli scioopi ed i mezzi prposti aio fratelli iniziati: "Vedete", si diceva loro, "il papato e le monarchie rivali mercanteggiano oggi, si comporano, si corrompono e domani magari si distruggeranno tra loro. Tutto questo sarà l'eredità del tempio; il mondo ci domanderà presto dei sovrani e dei pontefici. Noi saremo l'equilibrio nell'universo e gli arbitri dei padroni del mondo."
I templari avevano due dottrine, una nascosta e riservata ai capi, quella del giovannismo, l'altra pubblica era la cattolica romana.
Essi ingannavano gli avversari che aspiravano a soppiantare. Il giovannismo degli adepti era la cabala degli gnostici, degenerata ben presto in un panteismo spinto sino all'idolatria della natura e all'odio di ogni dogma rivelato. Per meglio riuscire e farsi degli adepti, essi blandivano i rimpianti dei culti decaduti e le speranze dei nuovi culti, promettendo la libertà di coscienza a tutti ed una nuova ortodossia che sarebbe la sintesi di tutte le credenze perseguitate. Essi arrivarono così a riconoscere il simbolismo panteistico dei grand maestri della magia nera e per meglio staccarsi dall'obbedienza alla religione che li condannava in anticipo, resero gli onori divini all'idolo mostruoso di Baphomet, come una volta le tribù dissidenti avevano adorato il vitello d'oro di Dan e Bethel.
Dei monumenti recentemente scoperti e dei documenti preziosi che risalgono al tredicesimo secolo, provano in modo più che sufficiente tutto quanto noi sosteniamo. Altre prove sono nascoste negli annali e sotto i simboli della massoneria occulta.
Colpito a morte dal suo stesso principio e narchico in quanto dissidente, l'ordine dei cavalieri del tempio aveva concepito una grande opera che era incapace di eseguire, perché non conosceva né l'umiltà né l'abnegazione personale. D'altronde i templari, che erano per la maggior parte senza istruzione capaci solo di maneggiare bene la spada, non avevano nessuna qualità necessaria per governare ed incatenare quella regina del mondo che si chiama opinione pubblica. Hugues de Payens non aveva avuto la profondità di veduta che distinse più tardi un militare fondatore anch'egli di una milizia formidabile contro i re. I templari erano dei gesuiti mal riusciti.
La loro parola d'ordine era di diventare ricchi per comprare il mondo. essi lo divennero effettivamentee nel 1312 possedevano, in Europa solamente, più di 9.000 signoria.
La ricchezza fu il loro scoglio; divennero insolenti e lasciarono trapelare il loro disprezzo per le istituzioni sociali che aspiravano a rovesciare. Si conosce la frase di Riccardo Cuor di Leone. Un eccelsiastico, a cui permetteva una grande confidenza, avendogli detto:"Sire, voi avete tre figlie che vi costano care e di cui avreste un gran vantaggio a sbarazzarvi; sono l'ambizione, l'avarizia e la lussuria", "Veramente!" disse il re " ebbene maritiamole. io do l'ambizione ai templari, l'avarizia ai monaci e la lussuria ai vescovi. Io sono sicuro sin d'ora del consenso delle parti."
L'ambizione dei templari fu loro fatale; i loro progetti furono scoperti ed anticipati. Il papa Clemente V ed il re Filippo il Bello mandarono un segnale all'Europa ed i templari, presi pe così dire, in un'immensa rete, furono catturati, disarmati e gettati in prigione.
mai colpo di stato era stao compiuto con un insieme più fomidabile. Il mondo intero fu colpito dallo stupore e si attesero le rivelazioni strane di un processo che doveva avere tanta risonanza attraverso i secoli.
Era impossibile raccontare al popolo il piano della cospirazionedei templari; significava iniziare la moltitudine a tutti i segreti dei padroni. Si fece ricorso all'accusa di magia e si trovarono dei delatori e dei testimoni.
I templari, quando venivano ammessi, sputavano su Cristo, rinnegavano Dio, davano al gran maestro dei baci osceni, conversavano con un gatto nero, adoravano una testa di rame dagli occhi di carbonchio, si accoppiavano con delle diavolesse.
Ecco quanto non si ebbe paura di portare seriamente come atto diaccusa. Si conosce la fine del dramma e come Giacomo de Molai ed i suoi compagni perirono tra le fiamme; ma prima di morire, il capo del Tempio organizzò ed istituì la massoneria occulta. Dal fondo della sua prigione, il gran maestro creò quattro logge metropolitane, a Napoli per l'Oriente, ad Edimburgo per l'Occidente, a Stoccolma per il Nord, a Parigi per il Sud.
Il papa ed il re morirono presto in un modo strano ed improvviso. Squin de Florian, il principale denunciatore dell'ìordine, morì assassinato. Spezzando la spada dei templari, se ne era fatto un pugnalee le loro cazzuole proscritte non fabbricavano più che tombe.
Lasciamoli ora sparire nelle tenebre dove si nascondono, tramando la loro vendetta. Quando arriverà la grande rivoluzione li vedremo riapparire e li riconosceremo dai loro simboli e dalle loro opere.


Eliphas Levi: Storia della Magia - 1860.


Forti i templari, ma bisogna starci attenti....


Fui svegliato dal telefono. Era Belbo con la voce alterata, lontana.
"Allora? Da dove chiama? La stavo dando per disperso in Libia, nell'Undici...".
"Non scherzi, Casaubon, è una cosa seria. Sono a Parigi."
"Parigi? Ma dovevo andarci io! Sono io che debbo finalmente visitare il Conservatoire!"
"Non scherzi, le ripeto. Sono in una cabina... no, in un bar, insomma, non so se posso parlare a lungo..."
"Se le mancano i gettoni chiami collect. Io sono qui e aspetto."
"Non è questione di gettoni. Sono nei guai.".
Incominciava a parlare rapidamente, per non darmi tempo di interromperlo.
"Il Piano. Il Piano è vero. Per piacere non mi dica ovvietà. Mi stanno cercando."
"Ma chi?" Stentavo ancora a capire.
"I Templari, perdio Casaubon, lo so che non vorrà crederci, ma era tutto vero. Pensano che ío abbia la mappa, mi hanno incastrato, mi han costretto a venire a Parigi. Sabato a mezzanotte mi vogliono al Conservatoire, sabato - capisce - la notte di San Giovanni..."
....
Udii dei rumori, la voce di Belbo si avvicinava e si allontanava con intensità variabile, come se qualcuno cercasse di strappargli il microfono. "Belbo! Cosa succede?"
"Mí hanno trovato, la parola..."
Un colpo secco, come uno sparo. Doveva essere íl microfono che era caduto e aveva battuto contro il muro, o contro quelle tavolette che ci sono sotto il telefono. Un tramestio. Poi il clic del microfono riappeso. Non certo da Belbo. Mi misi subito sotto la doccia. Dovevo svegliarmi. Non capivo che cosa stesse accadendo. Il Piano era vero? Che assurdità, lo avevamo inventato noi. Chi aveva catturato Belbo? I RosaCroce, il conte di San Germano, l'Ochrana, i Cavalieri del Tempio, gli Assassini?
A quel punto tutto era possibile, dato che tutto era inverosimile.

Umberto Eco, Il pendolo di Foucault (1988)
 
Top
view post Posted on 9/11/2018, 10:36
Avatar

Iban IT54B03268223000EM000204548

Group:
Administrator
Posts:
5,795

Status:


 
Top
7 replies since 7/11/2009, 14:25   3202 views
  Share