Violenza o Minaccia ad un Corpo Politico, Amministrativo o Giudiziario, Art. 338 c.p.

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view post Posted on 4/3/2010, 11:26
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*Art. 338 *
Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario


Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorita' costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l'attivita', e' punito con la reclusione da uno a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessita', qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi.

PALERMO — Finora, nelle inchieste e nei processi che ha subito, s’è trovato accanto ad altri carabinieri: una volta il «capitano Ultimo», per il covo di Riina non perquisito, e furono entrambi assolti; un’altra il colonnello Mauro Obinu, per la presunta mancata cattura di Provenzano nel ’95, dibattimento di primo grado in corso. Anche adesso insieme al generale Mario Mori, già comandante del Raggruppamento operazioni speciali dell’Arma e capo del servizio segreto civile, nella lista degli indagati c’è l’ex capitano Giuseppe De Donno, ma l’elenco comprende pure tre mafiosi di rango: Riina, Provenzano e Nino Cinà.

Tutti inquisiti, secondo l’ipotesi della Procura di Palermo, per «violenza o minaccia a un
Corpo politico». Articolo 338 del codice penale. Che punisce chi «usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività». Per la prima volta uomini dello Stato e «uomini d’onore» si trovano coinvolti nella stessa inchiesta, quella sulla « trattativa » nell’estate del 1992, al tempo delle stragi di mafia. Che si può riassumere così: i boss volevano condizionare governo e Parlamento con gli attentati e le richieste avanzate per farli cessare, trovando come possibile complice chi, all’interno delle istituzioni, ha alimentato le aspettative mafiose attraverso contatti e ipotetici accordi. Questo almeno nel disegno della Procura palermitana, che ha individuato in quel pressoché sconosciuto reato il nuovo fronte portata avanti tra i carabinieri e Ciancimino il quale li aveva informati — sostiene il figlio— che dietro di lui c’era Provenzano e tramite lui si poteva arrivare a Riina. Finora De Donno ha pubblicamente negato di aver mai parlato alla Ferraro della vicenda Ciancimino, ma la prossima settimana sarà interrogato dai magistrati, con l’avvocato al fianco.

Lo stesso giorno gli inquirenti sentiranno anche il maggiore dei carabinieri Antonello Angeli che nel 2006, da capitano in servizio a Palermo, perquisì l’abitazione di Massimo Ciancimino, all’epoca indagato per riciclaggio. L’inquilino si trovava all’estero ma — ha spiegato di recente — telefonò dicendo al suo "tuttofare" di mettere a disposizione la chiave della cassaforte, perché fosse aperta dagli investigatori. Ma non successe nulla di tutto questo, i carabinieri se ne andarono senza guardare nel forziere che conteneva— dice Ciancimino jr — il «papello» con le richieste mafiose del ’92 per far cessare le stragi (recapitato a Mori e De Donno, che negano) e altri documenti di suo padre. Quelli che negli ultimi due anni ha distillato alla Procura di Palermo, per fornire appigli alla sua ricostruzione della «trattativa». Ora Angeli è indagato per favoreggiamento.

Giovanni Bianconi
 
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