Come vi avevo anticipato una settimana fa per il caso Regeni agiscono degli operatori di un certo lavoro. Anche se questi egiziani sembrano più dei dilettanti. A tratti comici. Ribadisco che per il caso c'è poco o nulla da fare. Se proprio ci si vuole adoperare si potrebbe iniziare organizzando un nuovo colpo di stato.
Nuovo tentativo di depistaggio delle indagini sul brutale omicidio dell'italiano Giulio Regeni, da parte egiziana. Nelle perquisizioni, avvenute a seguito dello smantellamento di una banda di sequestratori che sarebbe collegata all'assassinio del connazionale, è stata rinvenuta una borsa di tela rossa con la bandiera italiana contenente alcuni effetti personali del giovane ricercatore. Al suo interno, oltre a passaporto e vari documenti, c'erano anche due telefoni, tre paia di occhiali da sole, un orologio con il cinturino rotto, un portafoglio femminile con dentro cinquemila sterline egiziane (circa 500 euro) e un pezzo di materiale marrone che sembrerebbe hashish. Questo a meno di un giorno (le foto degli oggetti sono cominciate a circolare sui social media già da ieri sera) dall'operazione contro la gang, in cui sono morti i cinque componenti, che secondo una "fonte della sicurezza" sarebbe legata al delitto, e nonostante la successiva smentita di un'altra "fonte della sicurezza" nonché della Procura (citata dal quotidiano Al-Shorouk). Il provvidenziale ritrovamento appare l'ennesimo maldestro tentativo di sviare le indagini. Ciò per una serie di motivi. Innanzitutto Regeni non faceva uso di droga, come hanno rilevato sia i patologi legali egiziani sia quelli italiani. Non era nemmeno uno spacciatore. Questo lo ha verificato la stessa polizia nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del corpo. Allora perché c'è dell'hashish nella sua borsa?
Non solo. Anche nel caso che il materiale mostrato non fosse uno stupefacente, c'è la questione dei due telefonini di Regeni. Perché dal 4 febbraio (data in cui è stato ritrovato il corpo) non si è proceduto a tracciare le utenze che lo riguardavano per vedere dove portavano? Non è un mistero che sia possibile intercettare e rilevare la posizione di un soggetto dal suo telefonino, anche quando è spento. Lo ha confermato persino l'ex analista della Nsa, Edward Snowden, in un'intervista alla NBC. Inoltre, l'Egitto vanta una lunga storia di controllo della popolazione su tutti i piani, in primis quello delle comunicazioni. Si tratta, peraltro, di tecnologia a cui i servizi di sicurezza possono accedere facilmente. A ciò si aggiunge che tutti gli smartphone di ultima generazione sono dotati di un chip Gps integrato, a cui si può accedere a prescindere dal funzionamento del telefono. Infine, c'è la questione che appare "singolare" legata al fatto che tutti i componenti della banda di New Cairo sono stati uccisi e di conseguenza non possono smentire. Questi elementi, uniti alla lotta interna in corso tra il Mukhabarat (che si occupa degli oppositori interni) e il servizio segreto militare (invece è alle dirette dipendenze del presidente Al Sisi ed al quale viene affidata la sicurezza del regime), su cui aveva recentemente scritto IL VELINO (
http://www.ilvelino.it/it/article/2016/03/...8-c84c5ae730cd/), confermano che il ritrovamento "provvidenziale" sia l'ennesimo maldestro tentativo di depistare le indagini dalla verità.
Questa battaglia intestina ha portato a una vera e propria epurazione all'interno del Mukharabat. L'uccisione di Regeni ha fatto da detonatore, ma il repulisti era nell'aria da quando i servizi segreti russi avrebbero fatto avere ad Al Sisi un dettagliato elenco di agenti egiziani legati a doppio filo con il governo Turco e, tramite questi, in rapporti con “i fratelli musulmani”, che poi è l'unica opposizione realmente temuta dal presidente egiziano. L'elenco, peraltro, era già in mano al Cairo ai primi di dicembre. Veniva fuori dalle indagini fatte dagli uomini del FSB (il servizio segreto russo erede del Kgb) all'indomani della bomba fatta esplodere (primo novembre) a bordo dell’Airbus 321 che riportava a casa turisti russi. Aleksandr Bortnikov, capo del FSB curò personalmente quell'inchiesta, ma non apprezzò lo scetticismo inizialmente oppostogli dai colleghi egiziani, da qui la decisione di “consigliare” a Putin di interrompere immediatamente ogni collegamento aereo con l'Egitto. A seguito di ciò una qualche risposta potrebbe giungere dagli stranieri rapinati dalla gang. Secondo il ministero dell'Interno egiziano sarebbero tre: un portoghese, un nigeriano e un italiano, David K, a cui sono stati rubati diecimila dollari. Qualche altro dettaglio potrebbe arrivare anche dal prossimo viaggio (è previsto i primi di aprile) a Roma di una delegazione del Cairo a livello di forze di polizia, che incontrerà le controparti italiane per discutere sulle indagini sulla morte di Regeni e sulla sparizione dell'egiziano 49enne Adel Heikal, avvenuta nella capitale a ottobre. La differenza però, è che Heikal ha chiuso il conto corrente e ha saldato l'affitto prima di far perdere le sue tracce. L'affaire Regeni invece è ben altra cosa. Nel frattempo si attende di sapere quale sarà la risposta della squadra di magistrati italiani guidata dal capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, su questi ultimi eventi.