Congo, Strage di Gorilla

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view post Posted on 19/8/2007, 11:26
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Congo, il giallo della strage dei gorilla L'Onu decide di inviare una missione: scorta armata
per gli animali. «Un attacco inspiegabile»


MILANO — Il ranger Paulin Ngobobo non è riuscito a trattenere le lacrime. Mburanumwe, la femmina di gorilla incinta che tante volte aveva incrociato nella foresta, era lì per terra, uccisa, il suo pelo in parte bruciato, il piccolo morto in grembo. Pochi passi più in là altre due femmine senza vita (una è la madre di un cucciolo di due anni). E poi ancora Senkekwe, un maschio dominante. Tutti sterminati a colpi d'arma da fuoco. E Paulin non sapeva spiegarsi il perché. Quello che gli era molto chiaro, fra lacrime e rabbia, era la necessità assoluta di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non vedere mai più scene come quelle. Tutto questo alla fine di luglio. Ieri le sue preghiere hanno trovato ascolto.

L'Onu ha organizzato una missione d'urgenza per salvare quel che resta della stirpe dei gorilla beringei beringei, più conosciuti come gorilla di montagna e in gran parte «inquilini» del Parco nazionale del Virunga, ottomila chilometri quadrati nella Repubblica democratica del Congo, al confine con l'Uganda e il Rwanda. È in quell'angolo d'Africa — parco più antico del continente e sito patrimonio dell'Umanità — che da mesi i rangers contano le esecuzioni dei primati, sette da gennaio a oggi. Nelle prossime settimane una squadra internazionale indagherà su mandanti, esecutori e, soprattutto, sul movente della strage («cercheremo di capire le cause per cui qualcuno attacca i gorilla» spiegano all'Unesco), mentre gli amministratori del Parco proveranno a studiare come proteggere il futuro della specie, classificata a rischio di estinzione (in tutta l'Africa ce ne sono fra i 650 e i 700). La Monuc, la missione Onu a Kinshasa, ha annunciato che nel team internazionale appena creato ci saranno esperti del Programma per l'educazione e la cultura dell'Unesco, membri dell'Istituto congolese per la conservazione della natura, componenti del Programma Onu per l'ambiente ed ecologisti dell'Unione mondiale per la natura. Nei giorni scorsi Noelle Kumpel, dirigente del Programma di conservazione delle foreste e della fauna selvaggia per la Società zoologia londinese, aveva lanciato un appello per raccogliere fondi da impiegare nella «protezione costante delle famiglie superstiti»: creare, in sostanza, una sorta di scorta armata per i 370 gorilla di montagna rimasti nel Parco del Virunga, con pattugliamenti speciali nell'area di Bukima, dove sono stati uccisi, tutti assieme, il maschio e le tre femmine.

Un piano che però le bassissime condizioni di sicurezza della zona rendono impossibile. La regione è territorio di gruppi di milizie locali o straniere, oltre che di militari dell'esercito regolare congolese, ed è la stessa missione Onu a Kinshasa e ricordare che, proprio per questo, le guardie forestali del Virunga «pagano un pesante tributo di sangue»: durante scontri a fuoco nel Parco sono stati ammazzati più di cento rangers. In gennaio anche due gorilla rimasero uccisi in uno scontro a fuoco tra le truppe dei rinnegati del General Laurent Nkunda e le forze di governo. Poi furono mutilati e abbandonati lungo i percorsi delle guardie, perché li trovassero facilmente. Lo stesso un mese fa, stavolta con una femmina. I forestali prendono tutto come un avvertimento e ipotizzano interessi economici: qualcuno vuole che loro si diano da fare il meno possibile per la causa dei primati perché proteggerli e applicare alla lettera le restrizioni ecologico-amministrative imposte dal Parco, significa ostacolare il lucroso commercio di carbone che ha bisogno del legno del Virunga e del passaggio attraverso i suoi sentieri. L'equazione, secondo questa teoria, è semplice: niente gorilla, niente controlli nel Parco, quindi via libera ai traffici commerciali. Ma ancora prima dell'ecosistema dell'area, è il Paese di Joseph Kabila ad aver bisogno di un parco come il Virunga, uno dei più ricchi di risorse naturali di tutta l'Africa e che gioca un ruolo essenziale: per i gorilla beringei beringei, certo, ma anche per il turismo che, a quelle latitudini, spesso significa sopravvivenza.

Giusi Fasano
19 agosto 2007
Corriere sera


nella foto la repubblica democratica del Congo, otto volte e mezza l'italia, tormentata da una sanguinosa guerra civile, scaturita da bande al soldo di società europee interessate all'estrazione di materie prime, ci sono stati tre milioni ( 3 000 000) di morti sui seidici milioni di residenti e nessuno ne ha parlato. Tanto che eravamo impegnati a contare i 2800 di ground zero per motivare le azioni di conquista delle risorse energetiche irachene avendo come ulteriore effetto collaterale la morte di altre centinaia di migliaia di persone.


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Edited by Claudio Bozzacco - 9/3/2010, 14:54
 
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view post Posted on 9/3/2010, 14:50
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MILANO - Prendete due bonobo, uno in un stanza ricca di cibo, l’altro in una stanza priva di cibo, che si vedono attraverso una parete trasparente. E state sicuri che il più fortunato inviterà subito l’altro a condividere le gustose vivande, mosso da un naturale istinto di generosità, ma soprattutto trascinato dal sincero piacere del convivio. È quanto hanno sperimentato i ricercatori della Duke University in collaborazione con il Lola y Bonobo, centro per bonobo orfani situato nella Repubblica del Congo.

NATURALMENTE BUONI - L’esperimento si è articolato così: un bonobo affamato è stato condotto in una camera con molto cibo a disposizione. Adiacenti al vano c’erano altre due stanze, una vuota e l’altra con un suo simile senza cibo. Il privilegiato, attraverso un muro trasparente poteva vedere entrambi i vani. E anziché scegliere di riempirsi la pancia in isolamento, ha scelto volontariamente di aprire la porta che lo divideva dallo sventurato collega, mettendogli a disposizione ogni sorta di alimento e manifestando il dispiacere di mangiare in solitudine.

LE IPOTESI - Agli scienziati non è chiaro per quale motivo i bonobo siano naturalmente portati alla condivisione e alla convivialità. La causa dei comportamenti altruistici negli animali è già stata oggetto di studio e viene catalogata come una risposta all’istinto di conservazione della specie: in poche parole anche tra i primati esistono comportamenti di mutuo soccorso e la logica del do ut des vige anche tra le scimmie, che considerano lo scambio di favori come una garanzia per il proprio futuro. Ma a osservare bene il breve filmato del bonobo, quest’ultimo sembra un vero padrone di casa, che con grande simpatia e felicità invita l’amico al proprio desco, senza calcolo e senza diffidenza.

Emanuela Di Pasqua
09 marzo 2010

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view post Posted on 20/5/2010, 10:34
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In totale, anche se con qualche pausa, sono più di 15 gli anni di guerra che "regalano" al Congo il primato di morti in un conflitto (certificato dall'Unicef) dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: cinque milioni di vittime, il 90% delle quali civili. E non è finita: la popolazione delle zone nord orientali di questo paese africano ogni giorno, nell’indifferenza quasi totale, tenta di salvare la pelle, in stato di emergenza perenne. Mentre il resto del Congo ha trovato una via alla pacificazione, le regioni di Ituri e Kivu sono attraversate da un fiume di violenza che continua ad aumentare la sua corrente. Tutti contro tutti: esercito regolare, fronte democratico di liberazione del Ruanda, ribelli della formazione dell’ex generale Laurent Nkunda, truppe irregolari ugandesi, oltre alle milizie indigene dei Mai-Mai. Migliaia di donne, bambini e talora uomini sono stati stuprati, e centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case. Nel Nord Kivu dagli scontri armati tra fazioni si è passati alla guerriglia: ogni gruppo terrorizza la popolazione e dà fuoco alle case di un villaggio per vendicare il presunto appoggio fornito dagli abitanti alla fazione rivale. Richard Domba, vescovo della città di Dungu, parla un ottimo italiano e riferisce che i resoconti di due ragazzine di 15 anni, rapite da un gruppo di ribelli ugandesi e poi miracolosamente fuggite, lo hanno sconvolto: «Le violenze che hanno subito non sono riferibili. Loro rimarranno segnate per sempre». Il vescovo congolese spiega che sono centinaia gli adolescenti che vengono prelevati a forza dai ribelli nei villaggi: «Le ragazze servono per il sesso, gli adolescenti invece sono usati per trasportare tutto l'equipaggiamento nella foresta: sono caricati come bestie e quando uno non ce la fa più viene ucciso sul posto». La missione di pace delle Nazioni Unite, la più grande al mondo con circa 17mila uomini impegnati e un costo annuo superiore a un miliardo di dollari, non è mai riuscita a evitare i massacri ed ora sta pensando a un ritiro graduale.

LA DANNAZIONE DELLA RICCHEZZA - Tranne le armi manca tutto: cibo, acqua, medicine, pietà. In compenso, e non è un caso, le zone dove si combatte sono ricche, ricchissime: con la guerra continuano a prosperare gli affari legati alle materie prime, soprattutto diamanti, oro e coltan, che prendono la via di Ruanda, Uganda e Burundi. Il dramma dell’Est del Congo è in buona misura il risultato di una competizione feroce fra vari gruppi controllati quasi sempre dall'estero per lo sfruttamento illegale delle immense risorse di questa parte del Paese.

Per mantenere il controllo (illegale) su queste risorse preziose, i Paesi confinanti creano ed usano degli pseudo gruppi ribelli. Non sono casi isolati quelli che vedono militari di opposte fazioni collaborare per lo sfruttamento delle miniere: l'oro estratto viene trasportato da aerei che decollano dagli aeroporti controllati dall'esercito. Sono stati vani gli sforzi delle autorità congolesi per mettere sotto controllo la situazione: nel 2008 il 90% dell'oro era ancora estratto e commercializzato illegalmente. Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Belgio sono in competizione con la Cina in questa regione, e ognuna di queste potenze sostiene parti diverse e conflittuali del Paese, alimentando in questo modo un perenne stato di tensione.

UN MILIONE E MEZZO IN FUGA - Nel frattempo la vita della popolazione si trascina in mezzo a un inferno. Solo nella primavera 2009 si è alzata un’altra ondata di oltre 250mila sfollati, che senza poter contare su nulla si sono messi in marcia per tentare di lasciare lo scenario di guerra e si sono aggiunti alla marea di gente che vaga in cerca di una via di uscita dalle zone del conflitto: si stima che siano più di un milione e mezzo le persone in fuga solo dal Nord Kivu. Come se, nel giro di poco più di dieci anni, la popolazione di una città più grande di Milano si sparpagliasse in cerca di salvezza. «Sono assetato di pace per la popolazione del mio paese che non ne trova da anni» ha detto a Famiglia Cristiana Faustin Gahima, un esule che vive in Italia da 11 anni. Sono diverse invece le frasi dei suoi connazionali che non sono riusciti a mettersi in salvo. La pace per loro è un pensiero lontano, conta sopravvivere. Tra i pochi occidentali che li possono ascoltare, oltre ai missionari, c’è il personale di Medici senza Frontiere. Amisi, 20 anni ha raccontato di aver lasciato Kule «perché non potevo più lavorare nei campi, occupati dai militari. Sono sopravvissuto per alcuni giorni mangiando qualche frutto, poi ho deciso di tentare la fuga».

LE ULTIME NOTIZIE – Dalle ultime notizie raccolte nella zona i combattimenti nell’area di Hauts Plateaux hanno spinto altri 10 mila a fuggire dai loro villaggi (Kitoga, Mugutu, Birunga, Kangova) per cercare rifugio nella zona di Mukumba. «Le persone che hanno raggiunto la nostra struttura medica ci hanno raccontato che molti civili hanno paura di venire in ospedale, perché temono di essere aggrediti dai gruppi armati. Non esiste alcun luogo sicuro per nascondersi», dichiara Philippe Havet, capo missione di Msf. «L’Hauts Plateaux è una zona molto isolata con montagne che arrivano fino a 3mila metri di altezza e non vi sono strade ovunque. Gli scontri tra i combattenti sono molto feroci e i civili sono vittime dirette. Temiamo che molte persone potrebbero morire, perché non riescono a raggiungere l'ospedale per ricevere l'assistenza medica di cui hanno bisogno». E' difficile dire quante persone sono ancora intrappolate ai confini della foresta, senza cibo, nelle zone di conflitto. Diverse migliaia, secondo i leader delle comunità locali. Tutti in attesa che il mondo si ricordi di loro e non solo delle miniere d'oro e di diamanti. Le vicende della Repubblica "Democratica" del Congo, per la cronaca, nella tv italiana, sono state citate in totale sette volte in un anno intero. Forse qualcosa di più si può fare.

Stefano Rodi
18 maggio 2010
 
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view post Posted on 14/2/2011, 08:00
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