Uomini Primitivi

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view post Posted on 21/8/2007, 11:21
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22 agosto 1984 - Il paleoantropologo Alan Walker ed il suo team trovano i resti del Ragazzo del Turkana, un Homo erectus quasi perfettamente conservato

L'Homo erectus è una specie di ominidi estinta appartenente al genere Homo.

La sua scoperta risale al 1891, quando nel giacimento di Trinil dell'isola di Giava Eugène Dubois rinvenne una calotta cranica, insieme ad un molare e un femore. Dalle conoscenze fino ad allora accumulate egli desunse che si trattasse di un uomo scimmia, per cui gli diede il nome di Pithecanthropus erectus. Oggi noi sappiamo tuttavia che l'Homo erectus, come è stato poi ribattezzato, era un ominide più evoluto rispetto al genere Australopithecus. Circa 1 - 1,5 milioni di anni fa si stabilì in Asia. La capacità cranica di questa specie è di poco superiore a quella dell'Homo ergaster, cioè varia dagli 813 cc e i 1059 cc.

I manufatti prodotti dagli Homo erectus sono molto semplici: sembra che non conoscessero la tecnica acheuleana, come è emerso anche dai ritrovamenti fatti in Cina, dove tra i numerosi manufatti litici emersi non vi è presenza di bifacciali. Nel 2000 sono emersi una serie di fossili litici nella Cina meridionale, datati tra i 700.000 e gli 800.000 anni fa, che i due scopritori, Huang Weiwen e Rick Potts, propongono di assegnare al modo tecnico acheuleano (pur non essendo bifacciali). Tra le cause di questa mancata evoluzione tecnica vi può essere un impedimento oggettivo, come la mancanza di materiale utile per la costruzione di questi attrezzi o l'impossibilità della trasmissione di questa conoscenza da una generazione all'altra per un motivo a noi sconosciuto.

Un'altra tesi più accattivante è che la colonizzazione dell'Asia sia antecedente alla scoperta delle asce a mano avvenuta in Africa e che i colonizzatori siano rimasti isolati dai loro cugini africani. Negli ultimi anni sono stati fatti degli importanti ritrovamenti che confermano tale ipotesi, anticipando di alcune centinaia di migliaia di anni la colonizzazione dell'Asia. Il più importante è un teschio ritrovato nel 2001 a Dmanisi in Georgia, risalente a 1,8 milioni di anni fa. Con un volume di 600 cc. è il fossile più antico ritrovato fuori dall'Africa; i suoi tratti somatici sembrano essere comuni a quelli degli Homo ergaster africani. Altri fossili sono stati trovati in Cina e a Giava, alcuni dei quali molto antichi, come un cranio infantile senza faccia, risalente a 1,8 milioni di anni e alcuni resti incompleti e deformati, provenienti dall'area di Sangiran, di 1,6 milioni di anni.



Edited by Claudio Bozzacco - 26/10/2007, 10:37
 
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view post Posted on 26/10/2007, 09:34
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Neanderthal con capelli rossi e pelle chiara
Convergenza evolutiva simile all'Homo Sapiens. Ma è un tratto diverso dello stesso gene



Pelle chiara e capelli rossi. Sono i Neanderthal inaspettatiche emergono dalle profondità del tempo secondo uno studio italo-ispano-tedesco pubblicato sulla rivista Science. È un adattamento alle condizioni che esistevano nelle zone in cui si erano insediati i Neanderthal: alte latitudini durante l'ultima era glaciale. Quindi poco sole, necessità di sintetizzare la vitamina D.

FOSSILI - Non sono stati trovati resti fossili di Neanderthal con i capelli rossi, il risultato è stato ottenuto analizzando il Dna di due reperti e in particolare il gene MC1r che regola la pigmentazione nell'uomo e nei vertebrati. I campioni di materiale genetico sono stati prelevati in due esemplari, uno vissuto nei monti Lessini (Verona) circa 50 mila anni fa, l'altro nelle Asturie (Spagna) di 8 mila anni più giovane. «Il fatto importante da sottolineare», spiega a Corriere.it il prof. David Caramelli, docente di antropologia molecolare del dipartimento di biologia animale e genetica dell'Università di Firenze e coordinatore dello studio per l'Italia, «è che i capelli rossi e la pelle chiara dei Neanderthal non sono dovuti allo stesso tratto fenotipico del gene MC1r che determinano gli stessi caratteri nell'Homo sapiens, cioè alla specie alla quale apparteniamo in noi. È una variante, un'espressione diversa dello stesso gene». Sembra di poco conto, invece è il vero punto nodale della ricerca: le varianti della pelle chiara e dei capelli rossi dei Neanderthal non sono mai state riscontrate in nessun essere umano attuale.

EVOLUZIONE - Ciò significa due cose:che per rispondere alla stessa esigenza (necessità di avere la pelle chiara per far fronte alla scarsità di luce solare delle alte latitudini) due specie diverse hanno sviluppato le stesse caratteristiche (convergenza evolutiva), ma partendo da tratti diversi del proprio patrimonio genetico. E quindi questo dimostra che una specie (Homo sapiens) non si è evoluta partendo dall'altra (Homo neanderthalensis) e nemmeno c'è stata contaminazione genetica: cioè non ci sono stati discendenti (figli) di eventuali incroci tra Sapiens e Neanderthal che hanno trasmesso caratteri misti.Tutti i Neanderthal avevano i capelli rossi?«È difficile dirlo», risponde Caramelli. «I reperti bene conservati dai quali ricavare materiale genetico adeguato sono pochissimi. Quel che è certo è che su due campioni, entrambi presentano le stesse caratteristiche. Esemplari che sono vissuti a migliaia di chilometri di distanza e a 8 mila anni l'uno dall'altro».

ESTINZIONE - Rimane sempre la domanda sul come e perché i Neanderthal si siano estinti.Le ultime ricerche tendono a escludere il clima quale causa dell'estinzione. Probabilmente si è trattato di una superiore adattabilità dei Sapiens al cambio repentino di clima (fine della glaciazione) che ha portato a un migliore accesso alle risorse nelle stesse nicchie ecologiche nelle quali le due specie convivevano, ipotizza Caramelli. Lo diranno le prossime ricerche sul Dna dei Neanderthal, sperando nel frattempo di scoprire esemplari meglio conservati.

Paolo Virtuani
corriere sera

 
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view post Posted on 20/9/2008, 18:10
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Le ossa risalgono a 43 mila anni fa

Ricostruita «Wilma» donna neandertal
Uno studio sul Dna ha permesso di ricreare il volto di una donna della specie umana estinta


MILANO - Quando a scuola vi descrivevano l'uomo di Neandertal - sul libro di scienze era un brutto ceffo poco aggraziato. Ma come sarà stato invece la sua compagna? Un team di scienziati e artisti, servendosi in parte di tracce di Dna, ha creato il primo modello di donna neandertal. Il Dna è stato ricavato da ossa risalenti a circa 43 mila anni fa che erano state cannibalizzate. E quando i paleontologi si sono accorti che lo scheletro aveva i capelli di colore rosso hanno pensato bene di chiamarla Wilma. Come la donna di Fred nel noto fumetto dei Flintstones.

CAPELLI ROSSI - La scoperta indica inoltre che almeno alcuni tra i Neanderthal avevano capelli rossi, pelle chiare e magari anche le efelidi. Il modello è stato ricostruito per numero di ottobre del National Geographic, dedicato proprio all'uomo di Neandertal. Lo scheletro di Wilma è stato creato con repliche del bacino e del cranio prelevate da femmine della sua specie; le ossa mancanti sono state riprodotte sulla base di quelle maschili, ridotte alle presumibili dimensioni femminili.

Elmar Burchia
20 settembre 2008
corriere sera

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view post Posted on 5/5/2009, 17:32
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Rivelato il volto del primo europeo
Ricostruito in argilla sulla base di resti ossei di 35 mila anni fa ritrovati in Romania

MILANO - Un volto che sintetizza i tratti somatici africani con quelli asiatici ed europei: ecco come apparivano i primi esseri umani arrivati dall’Africa in Europa. Lo scienziato Richard Neave, esperto britannico di anatomia forense, ha costruito una sorta di modellino del primo essere umano moderno che ha abitato l’Europa. Secondo la datazione effettuata con il radiocarbonio, i resti da cui è partito Neave risalgono a circa 35 mila anni fa, data che potrebbe coincidere con le prime ondate migratorie dell’Homo Sapiens (comparso circa 200 mila anni fa in Africa orientale) verso l’Europa.

LA TECNICA DI RICOSTRUZIONE - Utilizzando un teschio incompleto e una mandibola ritrovati in una caverna dell’attuale Romania, Neave ha ricostruito completamente il cranio e i tessuti molli, riproducendo in argilla il volto di questo nostro progenitore giunto nel Vecchio Continente all’epoca in cui convivevano ancora l’Homo Sapiens e l’uomo di Neanderthal. Secondo gli esperti sono i denti molari, particolarmente larghi, a suggerire che si tratti di uno dei primi esponenti del Sapiens che, come è noto, ha avuto poi la meglio nella lotta evolutiva tra le due specie differenti. Scuro e con un taglio di occhi molto orientale, il modellino del primo uomo moderno arrivato in Europa è stato creato appositamente per la serie The Incredible Human Journey, che verrà trasmessa dalla Bbc 2.

IL VOLTO DI ARGILLA – In questo momento la ricostruzione in argilla si trova nello studio dell’antropologa Alice Roberts, della Bristol University, che darà il via alla trasmissione britannica. Roberts si dice commossa: «guardarlo in faccia e pensare che sia vissuto 35 mila anni fa è un’emozione fortissima». Ma al di là della commozione il lavoro di Neave potrebbe essere di grande importanza per risalire alle prime tracce della razza umana e intuire i meccanismi della sua evoluzione. La riproduzione, pur nelle sue inevitabili approssimazioni, viene considerata molto attendibile: Richard Neave infatti è uno dei massimi esperti di riproduzioni della fisionomia umana e nel suo curriculum vanta altre celebri ricostruzioni, come quella del volto di Filippo II di Macedonia.

Emanuela Di Pasqua
05 maggio 2009
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view post Posted on 19/5/2009, 23:44
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Uomo e scimmia, ecco l'antenato comune
Presentato all'American Museum of Natural History: ha 50 milioni di anni e somiglia al lemure del Madagascar

MILANO — Atmosfera da grandi eventi all’American Museum of Natural History di New York. Philip Gingerich, presidente della Paleontological Society presenta il fossile di un animale che potrebbe essere il progenitore comune delle scimmie e dell’uomo. Accanto a Gingerich, il sindaco Michael Bloomberg e tutti componenti del team di scienziati che hanno lavorato per la scoperta. Tanta solennità è stata organizzata per mostrare un reperto giudicato molto importante nella ricerca delle nostre origini.

Il «completo e spettacolare fossile del possibile antenato», come l’ha definito Gingerich, mostra una giovane femmina di Adapide vissuta 47 milioni di anni fa ed è stato scoperto un paio d’anni fa a Messel Shale Pit, una cava abbandonata vicino a Francoforte. Il luogo tedesco è noto per i suoi ritrovamenti di fossili ben conservati appartenenti all’Eocene (circa 50 milioni di anni fa). Ma questo ha destato subito sorpresa e interesse tanto da essere conservato e studiato segretamente per un così lungo periodo senza far trapelare notizia.

Gli antropologi si chiedono da tempo da quale dei due gruppi di proscimmie esistenti circa 50 milioni di anni fa, i tarsidi che vivevano in Asia e gli adapidi presenti nell’America settentrionale e in Europa allora unite, l’evoluzione abbia poi portato verso l’uomo. Ora le caratteristiche del reperto tedesco farebbero pensare che proprio gli Adapidi, ritenuti anche i precursori degli attuali lemuri del Madagascar, siano gli «antenati giusti» o almeno più probabili. Negli ultimi due anni il prezioso fossile è stato analizzato da numerosi scienziati, incluso Jorn Hurun del National History Museum norvegese, facendo ricorso alla tomografia computerizzata la quale ha consentito di sezionare lo scheletro pietrificato cogliendone i dettagli più minuti.

Uno degli aspetti a favore delle conclusioni pubblicate su Public Library of Science, una rivista online, è la mancanza dei denti a pettine. «L’epoca di appartenenza, la regione del ritrovamento e la presenza di qualche carattere evolutivo diverso dalle proscimmie mi sembrano gli elementi di maggiore interesse », commenta Fiorenzo Facchini, antropologo dell’Università di Bologna. «E’ infatti possibile — aggiunge — che questi particolari elementi si ritrovino specializzati, molto tempo dopo, in linee evolutive diverse. Bisogna comunque tener conto che passeranno milioni di anni per vedere tra le scimmie i progenitori degli ominidi come il Proconsul o il Kenyapiteco. Infatti la separazione fra le antropomorfe e quella degli ominidi è avvenuta soltanto 6 milioni di anni fa».

Giovanni Caprara
19 maggio 2009
corriere della sera

Il fossile di Adapide
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view post Posted on 3/11/2009, 21:20
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«L'Homo sapiens è nato in Cina»
Resti fossili umani nella provincia di Guangxi: secondo gli studiosi risalgono a 110 mila anni fa


MILANO - L'uomo moderno, l'Homo sapiens, è nato in Cina e non in Africa. Inoltre è più vecchio: ha 110 mila anni invece dei centomila dell’africano. Questa la conclusione a cui è giunto un gruppo di ricercatori dell’Istituto di paleontologia dell’Università di Pechino dopo il ritrovamento di alcuni resti fossili umani nel sud della Cina, nella provincia di Guangxi. Gli studiosi guidati dal professor Jin Changzhu hanno scoperto parti di una mandibola che analizzata ha portato al risultato annunciato con un comunicato della stessa Università. Le conclusioni porteranno sicuramente molte polemiche anche perché il territorio di ricerca delle nostre origini è complesso e in molti particolari sfumato e impreciso. I cinesi hanno dimostrato una certa determinazione nel descrivere i risultati delle analisi che saranno pubblicati sul Chinese Science Bulletin alla fine di questo mese, anche se tutti concordano, e non potrebbe essere diversamente, che le ricerche dovranno continuare.

IPOTESI MULTIREGIONALE - Se tutto ciò sarà confermato rafforzerà in modo significativo l'«ipotesi multiregionale» che alcuni paleontologi vanno da tempo sostenendo per l'origine dell'uomo. Questa dice che i moderni umani sono i discendenti dei primi uomini usciti dall'Africa ma che poi si sono incrociati con le popolazioni che incontravano nelle altre regioni. L'ipotesi contraria vigente invece dice che tutti noi siamo diretti successori dei progenitori africani di centomila anni fa. Le opinioni già si scontrano. Il professor Milfordd Wolpoff dell’Università americana del Michigan si è espresso a favore del risultato cinese. Chris Stringer paleontologo del Natural History Museum di Londra ipotizza che potrebbero essere i resti di un uomo di Neanderthal la cui popolazione sembrava essersi estesa anche verso la Cina. La ricerca di cui riferisce New Scientist comunque continua, in attesa di conferme ulteriori.

Giovanni Caprara
03 novembre 2009
 
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view post Posted on 10/12/2009, 11:16
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Se c'è un uomo sulla Terra che non disturba nessuno è lui: l'uomo della buca, ultimo sopravvissuto di una tribù sconosciuta dell'Amazzonia, che vive nello stato brasiliano di Rondonia. E' stato individuato pochi anni fa e, da allora, ha sempre rifiutato ogni contatto con la civiltà. E' stato soprannominato "l'uomo nella buca" perché scava delle buche di diversi metri di profondità in fondo alle quali pianta pali appuntiti per catturare gli animali. Ha anche fatto una buca nel centro della minuscola capanna in cui tiene le sue poche cose in modo da potersi nascondere da qualunque estraneo si avvicini. Nascondersi fa parte della sua vita, comune a quella di tutti i membri delle circa 100 tribù "no contact" sparse negli angoli più remoti del pianeta.

COLPI DI FUCILE - Eppure, anche se è difficile immaginarsi qualcuno che si fa i fatti suoi più
dell'uomo della buca, qualcuno ha tentato di farlo fuori. L’incidente è avvenuto il mese scorso a Tanaru, ma se ne è avuta notizia solo ora. Non si sa se i sicari volessero uccidere l’indiano o solo metterlo in fuga. Ma i mandanti più probabili dell’attacco sono gli allevatori dell’area che si oppongono agli sforzi compiuti dal governo per proteggere il suo territorio. I funzionari del Funai, il dipartimento agli affari indiani del governo brasiliano, si sono accorti che il rifugio in cui l’uomo si nascondeva in caso di pericolo era stato saccheggiato e hanno trovato cartucce di fucile da caccia sparse lì vicino, nella foresta.

INDAGINI - La polizia ha indagato sull’incidente, ma per ora nessuno è stato accusato. «La situazione è molto grave - ha dichiarato Altair Algayer, un funzionario del FUNAI. «Per difendere gli interessi degli allevatori è stata messa in pericolo la vita dell’Indiano». Il Funai ritiene che l’indiano sia sopravvissuto all’attacco.

IL VIDEO - Le uniche immagini disponibili dell’Uomo della Buca, che si ritiene sia l'ultimo sopravvissuto del suo popolo, una tribù massacrata dagli allevatori negli Anni Settanta e Ottanta, sono state fugacemente catturate dal produttore cinematografico Vincent Carelli. Carelli le ha utilizzate nel suo film “Corumbiara” che documenta il genocidio degli Akuntsu, ci cui sono rimastio solo cinque membri, e di altre tribù nella regione.

Stefano Rodi
09 dicembre 2009

la capanna dell'uomo della buca
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MILANO — Ardi è la vincitrice della top ten scientifica del 2009. È una vittoria ipotecata dal momento in cui è stata annunciata la sua scoperta all'inizio di ottobre dopo quindici anni di ardue ricerche. La rivista americana Science l'ha giustamente scelta come la più importante tra le dieci che hanno segnato l'annata. Ardi (Ardipithecus ramidus) è il nostro più antico antenato e ha spodestato la famosa Lucy che deteneva da oltre trent'anni il primato, spostando più lontano nel tempo le origini: da 3,2 milioni di anni a 4,4 milioni. Sono due ominidi femmine trovati nello stesso luogo, la depressione di Afar in Etiopia, e per questo Tim White dell'Università di California, alla guida del progetto, ipotizzava che dalla prima arrivasse la seconda e quindi l'uomo aggiungendo: «Questo non è un comune fossile. Non è uno scimpanzé. Non è un essere umano. Però ci mostra come eravamo». Ardi, pesava un cinquantina di chilogrammi, aveva mani grandi, viveva sugli alberi, e quando scendeva camminava eretta sui due piedi. I suoi tratti erano un miscuglio tra gli esseri più primitivi e i suoi progrediti successori. Usava foglie, rametti ma non pietre. Capirlo, identificarla e costruirne l'identikit non è stato facile per i 47 ricercatori di diverse discipline e di nove nazioni impegnati nel decifrare 150 mila reperti di animali e piante. Alla fine ci sono riusciti avvicinandoci un po' di più al momento dell'evoluzione quando i due rami dell'uomo e dello scimpanzé si sono separati presumibilmente tra cinque e 10 milioni di anni fa.

Giovanni Caprara



il primate Ardi
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Ardipithecus
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view post Posted on 12/1/2010, 10:08
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L'uomo di Neanderthal si "truccava"
e usava conchiglie come monili
Archologi di Bristol hanno ritrovato i più antichi "gioielli" neanderthaliani in Europa, risalenti a 50 mila anni fa


MILANO - Non bisogna farsi ingannare dal suo aspetto "arcaico": l’uomo di Neanderthal era un narciso. Il desiderio di farsi bello lo manifestava sfoggiando collane di conchiglie e muscoli decorati con il body painting di vari colori. Segno che il pallino per gli accessori e l’istinto per il miglioramento estetico sono nati prima del Dna moderno dei nostri antenati. A ritrovare i più antichi "gioielli" neanderthaliani in Europa, risalenti a 50 mila anni fa, è stato un gruppo di archeologi guidati da João Zilhão dell'Università di Bristol, come riporta la rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences). Questi monili preistorici in realtà sono gusci marini perforati e dipinti che venivano usati come ciondoli appesi al collo con un cordino.

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«NASCITA DEL PENSIERO SIMBOLICO» - «Se l’uomo di Neanderthal impiegava ornamenti per il corpo, significa che aveva capacità cognitive avanzate – spiega Diego E. Angelucci, professore di archeologia dell’Università di Trento e coautore della ricerca -. L’abbellimento personale è un comportamento che indica la nascita di un pensiero simbolico e rappresenta un segno di autoidentificazione». Finora si è sempre pensato all’uomo di Neanderthal come a un essere rozzo e dal cervello limitato, ma i suoi "pendenti" recuperati in due siti archeologici della Muncia in Spagna, smentiscono questa ipotesi. A restituire l’intelligenza al Neanderthal è proprio la datazione dei reperti in Spagna: 50 mila anni fa. Cosa significa? «I gusci sono precedenti all’arrivo dell’uomo anatomicamente moderno nel nostro continente - dice l’esperto –. Vuol dire che l’uomo di Neanderthal è stato in grado di costruire ornamenti da solo, con la sua testa, senza osservare gli uomini moderni, ossia i nostri antenati, arrivati in Europa più tardi». La spinta a usare trucco e accessori è dimostrata dalla ricerca delle materie prime.

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«I materiali non erano in loco – dice Angelucci – spesso si trovavano in luoghi lontani dalla residenza, anche di 50 chilometri». Oltre alle collane non esistono reperti di altri gioielli? «Non credo che l’ominide portasse orecchini: le conchiglie erano troppo pesanti. E non ci sono tracce di anelli».

IL MAKE-UP - Giallo, rosso e viola i colori più gettonati, ottenuti dai minerali in varie tonalità cromatiche. Ma anche tanto nero con «effetto metallizzato brillante» grazie a minerali come ematite e pirite. «Sapevano mischiare e impastare i colori e probabilmente si dipingevano il corpo come gli aborigeni australiani». Il make-up esclusivo per il viso ancora non era stato inventato, ma il minerale natrojarosite di colore giallo è lo stesso che gli egizi usavano come ombretto in epoche più recenti.

Paola Caruso
 
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view post Posted on 4/2/2010, 18:01
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Morta l'ultima indigena che parlava il "Bo", lingua di 65mila anni fa

Quando gli Inglesi colonizzarono l'arcipelago, nel 1858, i c'erano almeno 5.000 persone. Ora ne sopravvivono 52

Circa la metà delle settemila lingue parlate sulla Terra è a rischio , e la gran parte potrebbe scomparire entro la fine del secolo

MILANO - Un'altra lingua che si parlava sulla Terra è scomparsa per sempre, un altro patrimonio che non sarà più recuperabile in alcun modo, non c'è tecnologia che tenga. E questo idioma, di sicuro, era uno dei più antichi: dopo circa 65mila anni l'unica donna indigena rimasta al mondo che ancora lo conosceva era Boa Sr. Aveva circa 85 anni, ed è morta: con lei si spegne per sempre il “bo” la lingua parlata da una delle più antiche tribù del pianeta. Si stima infatti questa gente abbia vissuto nelle Isole Andamane per almeno 65mila anni. Era una delle 10 tribù di cui si componeva il popolo dei Grandi Andamanesi. «Da quando era rimasta la sola a parlare il bo - ha raccontato il linguista Anvita Abbi dell'Università di Nuova Delhi, che la conosceva da molti anni, Boa Sr si sentiva molto sola perché non aveva nessuno con cui conversare. Era comunque una donna con grande senso dell’umorismo; il suo sorriso e la sua risata fragorosa erano contagiosi». «Non potete immaginare - ha commentato il professor Abbi - il dolore e l’angoscia che ho provato ogni giorno nell’essere muto testimone della perdita di una cultura straordinaria e di una lingua unica». Boa Sr aveva detto al professor Abbi di considerare la tribù confinante dei Jarawa, che non erano stati decimati, molto fortunata per il fatto di poter continuare a vivere nella foresta, lontano dai coloni che attualmente occupano gran parte delle Isole.

LA STORIA DEGLI INDIGENI DELLE ANDAMANE - Quando i Britannici colonizzarono le Isole, nel 1858, i Grandi Andamanesi contavano almeno 5.000 persone. Ora, dopo la morte di Boa Sr, ne sopravvivono 52. La maggior parte fu uccisa dai colonizzatori o dalle malattie importate. Non riuscendo a “pacificare” le tribù con la violenza, i Britannici cercarono di “civilizzarli” catturandoli e tenendoli rinchiusi nella famigerata “Casa degli Andamani”. Dei 150 bambini nati nella Casa, nessuno ha superato l’età di due anni. Oggi, i Grandi Andamanesi sopravvissuti dipendono largamente dal governo indiano per il cibo e le case, e fra di loro è molto diffuso l’abuso di alcool. «I Grandi Andamanesi sono stati prima massacrati, e poi quasi tutti spazzati via da politiche paternalistiche che li hanno condannati a malattie epidemiche e li hanno derubati della loro terra e della loro indipendenza» ha commentato Stephen Corry, Direttore Generale di Survival International, associazione che tutela le culture dei nativi in tutto il mondo. «La perdita di Boa è un tetro monito: non dobbiamo permettere che questo accada ad altre tribù delle Isole Andamane».

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LO TSUNAMI - Boa Sr, come quasi tutti gli indigeni delle Andamane, era sopravvissuta allo tsunami del 2004. «Gli anziani - aveva raccontato in quell'occasione - avevano detto che non dovevamo muoverci e che non dovevamo scappare». Nell'arcipelago gli indigeni ebbero pochissime vittime, grazie anche al fatto che molti di loro riconobbero in anticipo quello che stava accadendo, forse perché seguirono i movimenti degli animali e non si fecero trovare nei pressi della costa quando arrivarono le ondate dello tsunami. Rimangono nella memoria, a differenza della lingua di Bo, le foto nelle quali si vedono indigeni delle isole Andamane che puntano il loro arco contro barche ed elicotteri che provano ad avvicinarsi per portare aiuti.

Stefano Rodi
04 febbraio 2010

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In questa foto l'uomo primitivo appare più allegro di quello moderno.

Edited by Claudio Bozzacco - 8/2/2010, 11:05
 
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view post Posted on 5/2/2010, 13:21
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Il cavallo di odino.
La palafitta sulla tangenziale.
incredibile idea di Duilio Forte

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a pochi passi dalla tangenziale est, non lontano dall’aeroporto di Linate

«La mia casa, una palafitta sulla città»
Duilio Forte, designer milanese, sperimenta in prima persona le sue innovative idee di architettura

MILANO - Per vivere in una palafitta a Milano, in una dimensione forse più legata al mondo animale che non alla società urbanizzata e ipertecnologica dei giorni nostri ci vuole coraggio. E questo coraggio lo ha sicuramente Duilio Forte, designer milanese fuori dal comune, che ha deciso di sperimentare su se stesso le sue innovative idee di architettura. Dopo un lungo via vai di telefonate – il navigatore satellitare da quelle parti non dava segni di vita -, ci ritroviamo in un luogo sperduto: tra la vecchia campagna abbandonata milanese e quel che resta delle risaie e delle ex industrie tessili, a pochi passi dalla tangenziale est, non lontano dall’aeroporto di Linate. Quarantadue anni, milanese, Forte è un designer che sfugge ai designer. Ha superato e reinterpretato l’architettura rompendo con tutto ciò che è facilmente progettuale e si è rifugiato in questa landa di terra ai margini della città, contesa da una campagna che resiste sottoforma di sterpaglia, con qualche principio di orto qua e là, mentre la periferia si allunga con i tentacoli senza sapere dove finirà.
 
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view post Posted on 11/2/2010, 17:47
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MILANO – Fossili di frammenti ossei e una ciocca di capelli rimasti imprigionati nei ghiacci perenni: è ciò che ha permesso a un gruppo internazionale di scienziati di codificare il patrimonio genetico di un nostro antenato preistorico, vissuto circa 4mila anni fa e oggi battezzato Inuk.

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INUK – I suoi resti erano stati ritrovati nel 1986 sull’isola di Qeqertasussuk, al largo delle coste occidentali della Groenlandia (dove l’uomo è morto – per cause ancora ignote – quando era ancora in giovane età), e fino a ora conservati presso il Museo Nazionale di Danimarca. Il team di esperti guidati dagli scienziati danesi Eske Willerslev e Morten Rasmussen ha analizzato gli antichi resti, ha mappato il Dna dei capelli e sequenziato così l’80 per cento del suo genoma. In questo modo è stato possibile scoprire numerosi dettagli della vita e dell’identità di Inuk, che apparteneva alla cultura Saqqaq, discendente dalle popolazioni migrate dalla Siberia oltre 5 mila anni fa e la prima ad aver abitato le terre della Groenlandia.


FOTOGRAFIA – L’analisi genetica ha consentito di disegnare un identikit dell’uomo e regalarci così una fotografia di quello che probabilmente era il suo aspetto, e non solo. Inuk aveva la carnagione scura, i suoi occhi erano castani e così pure i suoi capelli, che erano folti anche se a quanto pare il giovane era incline alla calvizie. Si nutriva di uccelli marini e carne di foca, il suo gruppo sanguigno era A+ e sia il fisico che il metabolismo si erano adattati alla vita nel clima artico, nonostante non fossero passate molte generazioni da quando i suoi antenati erano arrivati su quelle terre.

Alessandra Carboni
 
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view post Posted on 25/3/2010, 18:30
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MILANO - Se la squadra di ricercatori che ha studiato un reperto trovato in una remota grotta dei monti Altai, in Siberia presso il confine con la Mongolia, ha ragione, allora la storia della razza umana è da riscrivere.

OSSO DI FALANGE - Secondo Johannes Krause, dell'Istituto Max Planck di Lipsia per l'antropologia evoluzionista, il pezzo di osso della falange di un dito rinvenuto nel 2008 nella caverna di Denisova, a 6 km dal villaggio di Chernyi Anui, è appartenuto a una specie di ominide diversa sia dai Neandertal sia dai moderni Homo sapiens (cioè noi). Il reperto è stato datato a 40 mila anni fa, ma in quell'epoca le uniche specie viventi di ominidi conosciuti sono appunto i Neandertal e i Sapiens. L'esistenza contemporanea di una terza linea finora sconosciuta obbligherebbe a rivedere dati ormai dati per acquisiti.

FUORI DALL'AFRICA - A questo risultato si è arrivati studiando il Dna ricavato dai mitocondri dell'osso rinvenuto. Un antenato comune delle tre specie (Neandertal, Sapiens e ominide di Altai) esisteva 1 milione di anni fa, viene spiegato sulla rivista Nature. Stabilito che il genere Homo si è originato in Africa e da là si è diffuso in tutto il mondo a partire da 1,9 milioni di anni fa con l'Homo erectus, le scoperte archeologiche hanno evidenziato che ci sono state altre due migrazioni dall'Africa: tra 500 mila e 300 mila anni fa quella dei Neandertal, poi 50 mila anni fa quella di noi uomini moderni. Ma i campioni del suolo della grotta di Denisova hanno consentito di datare i reperti tra 48 mila e 30 mila anni fa. Quindi l'ominide di Altai potrebbe essere venuto in contatto sia con i Neandertal, dei quali sono stati rivenuti resti a meno di 100 km dalla grotta di Denisova, sia con i Sapiens che frequentano gli Altai da più di 40 mila anni.

HOBBIT - Senza contare che i reperti trovati nel 2003 nell'isola di Flores in Indonesia, datati a 13 mila anni fa e chiamati Hobbit, potrebbero rappresentare un quarto ominide vissuto in contemporanea con i Sapiens, anche se su questi reperti il mondo scientifico è molto diviso.

SORPRESA E PRUDENZA - «Sono estremamente sorpreso per questa scoperta», ha dichiarato Svante Paabo, direttore del dipartimento di genetica dell'Istituto Max Planck, che ha aggiunto però prudentemente che occorrerà attendere l'analisi del genoma tratto dal nucleo delle cellule dei resti per stabilire se l'ominide di Denisova appartiene a una nuova specie o più semplicemente a una linea evolutiva diversa. Una posizione di prudenza come quella espressa da Fiorenzo Facchini, professore emerito di antropologia dell'Università di Bologna, secondo il quale prima di trarre conclusioni è necessario aspettare analisi più approfondite, non soltanto sul materiale genetico ma soprattutto sui reperti archeologici. Per l'esperto britannico Terence Brown, che su Nature ha pubblicato un commento alla ricerca, invece se le analisi saranno confermate «si sarà obbligati a rivedere la storia della recente colonizzazione umana dell'Eurasia».

Paolo Virtuani
 
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view post Posted on 6/4/2010, 06:46
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Trovato il presunto "anello mancante"
tra l'uomo e la scimmia

La nuova specie si colloca tra l'australopiteco (3,9 milioni di anni fa) e il primo ominide riconosciuto, l'homo habilis


Sarebbe stato trovato in Sudafrica l'anello mancante nell'evoluzione tra la scimmia e l'uomo. Si tratta di una nuova specie di ominide i cui resti saranno mostrati per la prima volta giovedì. La nuova specie si colloca - in linea evolutiva e temporale - tra l'australopiteco, considerata ancora una scimmia, presente in Africa 3,9 milioni di anni fa, e il primo ominide riconosciuto, l'Homo Habilis, nostro progenitore di 2,5 milioni di anni fa. La nuova specie non ha ancora un nome; l'autore del ritrovamento è il ricercatore sudafricano Lee Berger, dell'università di Witwatersrand (Johannesburg).

Berger ha scoperto lo scheletro di un bambino a Sterkfontein, in un sistema di grotte noto come la "Culla dell'umanità", un sito catalogato come "Patrimonio dell'umanità" dall'Unesco. Lo scheletro, che è quasi completo nonostante abbia circa 2 milioni di anni, appartiene a un ominide che secondo gli esperti assomiglia all'Homo Habilis. Il dottor Simon Underdown, della Oxford Brookes University, dice al Times: «Un ritrovamento di questo tipo può veramente aumentare la conoscenza dei nostri primi antenati, in un'epoca in cui cominciarono a essere riconoscibili come uomini». Nel 1994 a Sterkfontein fu trovato un fossile quasi completo di un australopitecus risalente a 3,3 milioni di anni fa.
 
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view post Posted on 7/5/2010, 09:37
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MILANO - C’è un po’ di uomo di Neandertal in tutti noi. Letteralmente o, meglio, geneticamente parlando. Contrariamente a quanto si è pensato finora, l’Homo neandertalensis (scomparso 30 mila anni fa) e l’Homo sapiens (da cui ha origine l’uomo moderno) si sono incontrati e accoppiati, probabilmente nella zona della mezzaluna fertile in Medio Oriente, fra i 100 mila e i 50 mila anni fa. A dimostrarlo è il confronto della mappa genetica dell’ominide, il cui primo esemplare fu scoperto nel 1856 in Germania, nella valle di Neander (da qui il nome), con quella di cinque individui dei nostri giorni: un francese, un cinese, un abitante della Papua Nuova Guinea, uno dell’Africa del Sud e un altro dell’Africa occidentale. E qualcuno, come l’esperta di Dna antico dell’Università Tor Vergata di Roma Olga Rickards, sostiene che questa ricerca potrebbe mettere in dubbio alcune teorie sull’evoluzione dell’uomo.

POLVERE D’OSSA - «L’ibridazione fra Neandertal e Sapiens c’è stata – ha commentato l’ideatore del Progetto Genoma di Neandertal, Svante Paabo del Max Planck Institute di Lipsia, in Germania – ed è avvenuta dopo la loro fuoriuscita dall’Africa, dove sono nati da un progenitore comune. L’uomo moderno, europeo, asiatico o melanesiano condivide con l’uomo di Neandertal fra l’uno e il quattro per cento del suo patrimonio genetico. Nel Dna degli africani, invece, non c’è traccia di quello dell’ominide estinto». La ricerca è stata appena pubblicata sulla rivista Science dai tedeschi del Max Planck in collaborazione con un gruppo di ricercatori internazionali fra cui spagnoli e americani dell’University of California a Santa Cruz e dei National Institutes of Health. I ricercatori hanno ricostruito la sequenza genetica di Neandertal basandosi sull’analisi di polveri di ossa prelevati dai resti di tre donne trovati in Croazia, nella grotta di Vindija, ma anche da reperti rinvenuti in Russia e Spagna e da quelli «originali» tedeschi di Neader (anche in Italia è stata documentata la presenza dell’ominide in alcune aree come quella dei monti Lessini in Veneto , poi in Liguria, in Toscana, nel Lazio e in Puglia).

CAPELLI ROSSI - Analisi preliminari sul Dna, rese note l’anno scorso in occasione del meeting annuale dell’American Association for Advancement of Science a Chicago, avevano già documentato che l’uomo di Neandertal aveva i capelli rossi e la carnagione chiara, possedeva geni del linguaggio e dell’intolleranza al latte. Secondo altre ricostruzioni, basate sui reperti ossei, l’aspetto fisico era quello di un uomo di altezza media (circa 1,60 m), eretto e muscolarmente molto robusto, con uno spiccato prognatismo e un mento sfuggente. Adesso il sequenziamento del suo Dna (per il 60 per cento del totale) ha permesso non solo di stabilire le somiglianze con l’uomo moderno, ma anche di confrontare le caratteristiche di quest’ultimo con quelle dei suoi antenati, scimpanzé compreso. E di individuare un catalogo dei tratti genetici esclusivi dell’uomo contemporaneo.

GENI VANTAGGIOSI - Si tratta soprattutto di geni che hanno fornito vantaggi in termini evolutivi e riguardano, in particolare, le funzioni cognitive, il metabolismo energetico, lo sviluppo del cranio, della clavicola e delle costole, la capacità di guarire dalle ferite. E che, quando presentano alterazioni, possono rendersi responsabili di malattie tipiche dell’uomo come la schizofrenia o l’autismo. «Ma siamo soltanto all’inizio – ha commentato Richard Green dell’University of California a Santa Cruz, che ha partecipato alla ricerca .- Il genoma di Neandertal è una miniera di informazioni». Il lavoro dei ricercatori è stato un vero e proprio tour de force tecnologico: il problema principale è stato quello di ripulire il materiale da analizzare da tutte le contaminazioni successive soprattutto da parte dei microbi; l’analisi del Dna invece ha sfruttato tecniche di sequenziamento avanzatissime.

Adriana Bazzi
07 maggio 2010
 
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